di Alessio Palumbo
Trattandosi della prima intervista per il sito della Fondazione Terra d’Otranto, le chiediamo di presentarsi ai nostri lettori. Ci dia qualche nota biografica, ma soprattutto ci parli del suo percorso artistico.
Sono nato a Brindisi il 10 marzo 1983 ed ho studiato presso l’Accademia di Belle Arti di Lecce; appassionato cultore della nostra storia, sono stato co-fondatore del Gruppo Archeo Brindisi, collaborando a numerosi progetti per lo studio e la salvaguardia del patrimonio storico ed artistico della mia città e del suo territorio.
Nonostante la giovane età, ho già nel mio pregresso numerose mostre personali e diverse collettive d’arte. Oggi vivo in Veneto e insegno discipline pittoriche in un istituto superiore.
Per ciò che attiene il mio percorso artistico, in un primo periodo ho realizzato soprattutto architetture dipinte e paesaggi urbani tutti molto dettagliati. Tanto rigore e precisione geometrica, che sembrava sottintendere tranquillità, poneva in risalto l’inconsapevole assenza della figura umana.
Durante il soggiorno a Venezia, bellissima città che mi ha fortemente segnato nel carattere e nelle vedute personali, ho avviato una sorta di seconda fase: ho rivisto e maturato diverse tecniche, concentrandomi sulle figure e particolarmente sui volti e sul fisico, sforzandomi di cogliere ed evidenziare la differenza tra la corporeità dell’uomo e la leggerezza della sua psiche.
Il risultato di tale percorso sono state le varie mostre tenute in numerose città come Lecce, Milano, Pechino e, ultima in ordine di tempo, Venezia, presso la Carriòn Gallery.
Soffermiamoci per un momento sulla produzione artistica. La prima impressione che si ha osservando le sue opere è quella di trovarsi di fronte ad un affascinante gioco temporale: soggetti appartenenti al passato, volti e corpi da arte classica, rinascimentale o barocca, ma con tracce di attualità
Tecnicamente mi ritengo legato al passato, ma le tematiche, i corpi e gli sguardi sono decisamente attuali, anche perché sono ispirato dalle persone che incontro casualmente o volutamente. Mi sforzo di ritrarre il loro pensiero, tentando di fermare il loro inconscio che cerco di percepire dallo sguardo e dalla mimica facciale, tendendo ad un surrealismo che è slegato dagli schemi classici. Magari poi gioco con i sentimenti percepiti, specie se il soggetto ed il suo sguardo lo consentono, altalenando tra la sua fisicità, che carico di pensieri, il tempo e lo spazio, evidenziando contrapposizioni e ambivalenze e soprattutto la malinconia e la gioia.
Il rapporto tra peso e leggerezza è un altro tema da me molto avvertito da quando sono a Venezia, città lagunare caratterizzata dalla mole dei suoi palazzi sontuosi che apparentemente galleggiano sull’acqua: un’eccezionale metafora della fragilità umana impostata su apparenze spesso inconsistenti se non vane.
Veniamo ora ai soggetti delle sue ultimissime opere, ossia i dogi veneziani. I motivi di questa scelta? Un omaggio alla “patria d’elezione”?
Una bella prova, che è felicemente capitata nel mio percorso artistico. I ritratti dei dogi mi sono stati commissionati dall’hotel Antico Doge di Venezia, grazie alla segnalazione loro pervenuta dalla professoressa dell’Accademia di Belle Arti Francesca di Gioia, cui va la mia gratitudine e riconoscenza.
Pur se dura prova, ho subito accolto la proposta con entusiasmo, dando inizio ad una quadreria di ritratti di alcuni dogi della Serenissima. Ovviamente la rassegna è parziale, vista la lunga serie dei celebri personaggi.
A conferma di quanto le ho detto, gli sguardi sono il punto di forza dei personaggi ritratti, per ognuno dei quali ho voluto ricercare una interazione con chi li osserva, che non è più semplice spettatore ma protagonista anch’egli. Tenga presente che per alcuni dogi ritratti sono ricorso a modelli reali, i cui nomi ovviamente qui non rivelerò; sono tuttavia certo che essi vi si riconosceranno, magari ricusando quelle tinteggiature rosseggianti che ho pastellato intorno ai loro volti, per astrarli dalla contemporaneità e per conferire loro la sacralità che conviene ad eterni personaggi che hanno scritto la storia della Serenissima.
Pur nelle loro pose ieratiche, consapevoli del ruolo importante ricoperto, paludati negli sfarzosi abiti del tempo in cui vissero, ecco che attraverso gli occhi si rivelano comuni mortali, magari fragili, malinconici, paurosi. Buona parte dei soggetti da me ritratti, come può notare, li ho voluti raffigurare in età giovanile, racchiudendo in ognuno di essi l’inconsapevolezza ed il mistero della vita che sta loro davanti, con le sue mille sorprese, belle o brutte che siano, ma comunque meritevole di essere vissuta.
Alla base di questa eccezionale abilità realizzativa c’è, presumibilmente, l’esempio e l’insegnamento dei grandi “maestri”. C’è qualche pittore al quale fa uno speciale riferimento?
Non ho una particolare predilezione per un pittore, ma tecnicamente mi sono ispirato a quelli del passato a me tanto cari e che ho particolarmente studiato e continuo ad osservare. Dei nomi? Tiziano, Tintoretto, Jacopo Palma il Giovane, Caravaggio, etc.
Un’ultima domanda a chiusura di questo nostro primo incontro: ha già pensato alla prossima fase della sua vita artistica?
Vivo al presente, giorno per giorno cercando di migliorarmi sempre più e mi auguro che le mie opere arrivino nel cuore di chi le osserva.