di Armando Polito
Continuo ora con la descrizione del resto del volume. Al frontespizio seguono venti facciate di testo non numerate (le indicherò virtualmente, per distinguerle dalle altre) con numeri romani: nel nostro caso da I a XXiX. La facciata XXXr contiene l’immagine di seguito riprodotta.
Seguono quattro facciate non numerate ma che chiamerò virtualmente 1r-2v perché subito dopo compare sul retto della pagina il n. 3. Da qui in poi la numerazione compare solo sul retto di ogni pagina, ma, essendo evidente che il criterio di numerazione seguito è una via di mezzo tra la numerazione dei manoscritti (retto e verso di ogni carta) e quella moderna, userò carta seguito da r o da v per consentire al lettore di capire su quale facciata si trova il dettaglio preso in esame. A carta 76r termina la prima sezione del volume e incontriamo un primo colophon.
Explicit Psalterium.
Venetiis per Ioannem Antonium et fratres de Sabio. Ad instantiam magistri Donati Sommarini et Franciscusde Ferrariis sociis de Licio. Anno Domini MDXXVI
Finisce il salterio.
Venezia, per (i tipi di) Giovanni Antonio De Sabio e fratelli. Su istanza di mastro Donato Sommarino e Francesco De Ferrariis soci di Lecce. Nell’anno del Signore 1526.
Sorprendono non poco in questo colophon, a differenza degli altri, alcuni gravissimi errori grammaticali: Franciscus per Francisci e sociis per sociorum).
La seconda parte inizia con pagine non numerate, la prima delle quali (la indico virtualmente come carta 76v) contenente la tavola che segue.
Dopo cinque pagine di testo, sempre non numerate (virtualmente da carta 77r fino a carta 79v). segue ancora una pagina di testo non numerata che indicherò come carta 1r-1v virtuale perché la successiva reca il n. 2 (quindi carta 2r). Da questa la numerazione prosegue regolarmente con testo fino a carta 216r. A seguire la virtuale 216v occupata dalla tavola di seguito riprodotta e della quale mi sono già occupato in .https://www.fondazioneterradotranto.it/2018/04/01/buona-pasqua-2018-con-tre-tavole-leccesi-del-1527/
Segue una pagina di testo non numerata (virtualmente carta 217 r e carta 217v) e poi la numerazione riprende da pagina 218 (carta 218r) fino a pagina 236 (carta 236 r). Nella pagina successiva non numerata (carta 236v) c’è un’altra tavola.
Segue una pagina di testo non numerata (virtualmente carta 237r e carta 237v) e poi la numerazione riprende da p. 238 (carta 238r) fino a p. 600 (carta 600v). qui termina la seconda parte del volume con in calce un secondo colophon.
Finis
Impressus Venetiis per Ioannem Antonium et fratres de Sabio. Anno Domini 1527 mense octobris.
Fine.
Stampato a Venezia da Giovanni Antonio e fratelli De Sabbio. Nell’anno del Signore 1527, nel mese di ottobre.
Segue pagina di testo non numerata (virtualmente carta 1r e carta1v), poi la numerazione riprende da p. 2 (carta 2r) fino alla fine con p. 42 (carta 42v) con in calce un terzo ed ultimo colophon preceduto da una sorta di doppia dedica che ci rivela il nome del compilatore (l’abate Bartolomeo Cerasino) e di colui (Francesco De Ferrariis, socio, come recita il frontespizio, del libraio Donato Sommerino, entrambi leccesI) che avanzò la richiesta di stamparlo a Giovanni Antonio De Sabbio e fratelli.
Venerandis Canonicis presbiteris ac Clericis Liciensibus Abbas Bartholomaeus Cerasinus aeternam in Christo salutem.
Habetis fratres charisssimi mihi observandi Breviarium Liciense ex antiquo ecclesiae ritu numquam alias impressum hactenus quidem incuria et squallore quodam vetustatis obsitum ac totum fere depravatum; omissis historiarum, semonum, omeliarum et capitulorum auctoribus, rubricisque et aliis suo loco necessariis, nunc autem non parvo pro meis viribus labore instauratum ac reformatum; si quod autem bene dictum ac ordinatum offenderitis ei a quo hoc bonum gratias agite. Rogo vim tantum atque obsecro ut in vestris orationibus ipsius Abbatis Bartholomaei humilissimi fratris vestri qui se charitati vestrae suppliciter obnixeque commendat pro sui laboris mercede meminisse dignemini apud deum, cui soli laus, honor et gloria. Amen. Franciscus de Ferrariis.
Venetiis per Ioannem Antonium et fratres de Sabbio ad instantiam Magistri Donati Sommorini Bibliopolae Liciensis Anno MDXXVI.
Ai venerandi canonici, preti e chierici leccesi l’abate Bartolomeo Cerasino1 (augura) l’eterna salvezza in Cristo.
Fratelli carissimi degni di ogni rispetto da parte mia, avete il breviario leccese secondo l’antico rito, mai altrove stampato, fino ad ora certamente avviluppato dall’incuria e da un certi squallore di vetustà e quasi tutto corrotto dall’omissione degli autori dei sermoni, delle storie, delle omelie, dei capitoli e delle rubriche e delle altre cose necessarie al loro posto: ora invece con non poca fatica per le mie forze rinnovato e riformato. Se però lo offenderete dopo che è stato benedetto ed ordinato chiedete la grazia a colui dal quale [proviene] questo bene. (Vi) prego solo e (vi) scongiuro che nelle vostre preghiere vi degniate di ricordarvi dello stesso abate Bartolomeo, umilissimo fratello vostro che si affida supplichevolmente e con tutte le forze alla vostra carità per ricompensa della sua fatica, presso Dio al quale solo (spettano) la lode, l’onore e la gloria. Amen. Francesco De Ferrariis.
(Stampato) a Venezia da Giovanni Antonio De Sabbio e fratelli su richiesta di mastro Donato Sommorino2 libraio leccese nell’anno 1526.
La discrepanza tra la data di questo ed ultimo colophon e del primo (1526) e quella riportata nel secondo e nel frontespizio (1527; per il secondo c’è l’indicazione aggiuntiva del mese di ottobre) spiega anche le stranezze d’impaginazione che ho prima messo in rilievo. A questo punto la conclusione è una sola: vennero prima stampate nel 1526, ma non pubblicate, la prima e la terza parte e l’anno successivo fu stampata la seconda. Con le tre parti assemblate il volume venne pubblicato nel 1527 e non prima di ottobre.
Si deduce da ciò che il lavoro preparatorio non fu facile e non indifferente anche l’impegno economico, come, d’altra parte, conferma lo stesso De Ferrariis (non parvo pro meis viribus labore).
(CONTINUA)
Per la prima parte: https://www.fondazioneterradotranto.it/2018/03/28/lecce-sua-veduta-cinquecentesca-14/
Per la terza parte: https://www.fondazioneterradotranto.it/2018/04/10/lecce-e-una-sua-veduta-cinquecentesca-3-4/
Per la quarta parte: https://www.fondazioneterradotranto.it/2018/04/14/lecce-e-una-sua-veduta-cinquecentesca-4-4/
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1 Tra i decreti di preambolo per assegnazione di eredità emessi dalla Regia Bagliva di Lecce (busta 43, fascicolo 58) è registrato per l’anno 1695 un Bartolomeo Cerasino figlio di Diego, entrambi di Lecce. Ciò autorizza ad ipotizzare che pure il nostro Bartolomeo appartenesse alla stessa famiglia o fosse leccese. Nella memoria difensiva Per D. Diego e D. Irene Cerasini contro li fratelli Maresgallo pubblicata nel 1789 da p. 5 a p. 7 il relatore ricorda un Bartolomeo Cerasini di Lecce morto indebitatissimo nel 1738. E, infine, come dimenticare a Lecce in via Vittorio dei Prioli al numero civixo 42 il cinquecentesco Palazzo Cerasini?
Al di là di Cerasino/Cerasini quanto fin qui detto può essere un indizio dell’appartenenza del nostro abate a questa famiglia e, dunque, della sua origine leccese.
2 Sommerino nel frontespizio.