di Marcello Gaballo
Le vicende storiche del castello di Nardò, oggi sede della civica amministrazione, sono soltanto in parte note, restando le sue origini approssimative e degne di essere ancora studiate.
Intanto occorre dire che il primitivo “castrum” neritino, forse eretto su una preesistente e strategica acropoli o una costruzione romana, era stato concesso nel 1271 ai francescani
dal re Carlo d’ Angiò (1266-1285), tramite il suo congiunto Filippo di Tuzziaco o de Toucy, a causa delle cattive condizioni statiche in cui si trovava e quindi non più atto alla difesa dell’abitato.
Il celebre storiografo francescano Luca Wadding[1] così scrisse a proposito: nel 1271 …Neritoni in regno Neapolitano Carolus Andegauensis huius nominis primum utriusque Siciliae Rex concessit in habitaculum Fratibus extruendum regium castrum temporum & bellorum iniuria destructum. Donationis instrumentum ipso rege praesente factum, apparet in vetusta membrana. Recensetur hic conventus sub Provincia S. Nicolai, & custodia Brundisina Patrum Conventualium.
Sui resti e su quanto avanzava dell’antico maniero, che non è dato di sapere a quale anno risalisse, probabilmente realizzato dal normanno Roberto il Guiscardo, i frati fissarono la loro dimora, a lato dell’ attuale chiesa dell’ Immacolata, rimanendovi ininterrottamente per ben sei secoli, fino alla metà dell’800, quando furono soppressi quasi tutti i conventi presenti in città.
Dell’antico castello restò solo il nome al pittagio in cui esso sorgeva, detto per l’ appunto “castelli veteris” (vecchio castello).
Se l’attuale castello è della fine del XV secolo o dei primi decenni del successivo è inevitabile chiedersi, come già altri studiosi hanno fatto, se la città di Nardò abbia o meno posseduto un castello nel periodo compreso tra il 1271 e l’epoca a cui risale il nostro. Oltre due secoli, durante i quali era impossibile che una città importante e grande come Nardò fosse sprovvista di difesa e di un castello.
Sebbene finora nessuno sia riuscito a scoprire dove fosse collocato, esiste invece certezza che Nardò aveva la sua fortezza, forse non tipicamente angioina o sveva e magari non con i poderosi torrioni o con le caratteristiche dei castelli presenti in ogni luogo d’Italia.
La prova è data dal qualificato lavoro di Lucio Santoro titolato “Castelli Angioini e Aragonesi nel Regno di Napoli” (Milano, 1982), in cui si riporta l’ elenco dettagliato e documentato dei castelli esistenti al momento dell’ occupazione angioina, suddivisi per “Giustizierato”. Tra i castelli di Terra d’Otranto, oltre a quelli di Ydronti (Otranto), Licii, Galipuli, Brundusii, Meyani (Mesagne), Orie, Hostuni, Tarenti, Massafre, Motuli (Mottola), Ienusie (Ginosa) e Mante (Matera), è incluso il castrum Neritone, cioè il nostro.
In altro documento del 10 dicembre 1463 il re Ferrante d’Aragona nel castello di Nardò riceve l’omaggio dei cittadini di Ceglie, qui convenuti per la conferma della concessione al loro feudatario.
Forse solo nuovi documenti potranno identificare il sito su cui sorgeva, a meno che pesanti ristrutturazioni o modifiche non lo abbiano eclissato, senza tuttavia poterne escludere la distruzione.
Nel 1482 il re Ferrante aveva preso le difese del suo parente duca di Ferrara contro la Repubblica di Venezia e questa, per vendetta, aveva allestito una flotta da guerra per attaccare la Puglia. Iniziarono con Brindisi, poi con San Vito dei Normanni e Carovigno, e da qui mossero verso Otranto e Gallipoli, che venne assediata nella primavera del 1484 per alcuni mesi. Si diressero quindi verso l’ entroterra sottomettendo numerosi centri salentini, tra cui Copertino, Galatone e Nardò, che, accerchiata in maniera pressante, si arrese nel luglio 1484. In tale gesto la nostra città era stata incoraggiata dal suo signore Anghilberto del Balzo, conte di Ugento, filo-veneziano, al quale era stata venduta nel 1483 “…con suo castello seu fortellezza et con la Portulania, pesi et misure mezo Banco della Giustizia, et cognitione di prime cause civili, criminali et miste et integro stato per prezzo di 11.000 ducati donandoli tutto lo di più che forse detta Città valesse…”.
Raggiunta la pace tra il re di Napoli Alfonso II, figlio di Ferrante, e Venezia, Nardò per la sua resa fu punita con l’abbattimento delle mura e la perdita delle difese militari. La città fu data in vassallaggio a Lecce (secondo quanto scrive Bernardino Braccio in “Notiziario o parte di Istoria di Lecce”:…con spianarne tutte le mura e vi fece morire il sindaco Notare Andrea e sospese alle forche quattro gentiluomini e dopo li fece in quarti. La possessione della quale città anno perduto i leccesi per loro trascuraggine e negligenza…”). Ecco dunque come la città avrebbe potuto perdere il suo castello.
Per effetto della pace di Bagnolo, il 9 settembre 1495 Nardò, con altri centri, venne restituita al re di Napoli Federico d’Aragona, il quale il 12 marzo 1497 tolse la città al figlio di Anghilberto, Raimondo del Balzo, per donarla a Belisario I Acquaviva d’ Aragona. Fu questi dapprima conte, poi marchese, quindi primo duca, per privilegio di Ferdinando il Cattolico del 1516.
Belisario fece costruire l’attuale castello, realizzato dunque dopo la sua presa di possesso di Nardò, e fece realizzare la cinta muraria, in parte ancora visibile.
Inizialmente provvisto di ponte levatoio, cannoniere, balestriere e feritorie disposte sui lati, il castello ha subito diversi rifacimenti e restauri, che hanno mutato le linee architettoniche originarie e l’antica facies, mutandosi in palazzo gentilizio.
A pianta quadrangolare, secondo le più aggiornate tecniche di difesa dell’epoca, mostra ancora oggi quattro torrioni a mandorla, di cui uno, quello che protende verso Piazza Battisti (più noto come “torre ti lu ‘nnamuratu”) è il più sporgente rispetto al perimetro del castello e alle mura della città, ed un tempo era collegato con porta Viridaria. L’altro, compreso tra Piazza Battisti e Via Roma, è certamente il più antico, e forse il solo originario, come documenta il bellissimo bucranio con l’arme dei duchi Acquaviva ancora visibile nella parte più alta, incastonato nella cortina muraria.
Altri stemmi della stessa famiglia, evidentemente posteriori, sono sui due torrioni del prospetto principale, che, come gli altri, sono cilindrici nella parte superiore e a scarpa nel pian terreno. Cornicioni lievemente aggettanti poggiano su piccole mensole, riprese su quasi tutto il perimetro.
Subito prima del portone, a sinistra, vi era il corpo di guardia, che vigilava l’ingresso alla ridotta piazza d’armi, cioè il cortile interno. Nella parte superiore dimoravano i duchi Acquaviva ed i loro familiari, come è documentato nei secoli XVI-XVII.
Il fossato che lo circondava fu colmato nel secolo scorso ed una parte, quella attaccata alla città, fu trasformata in giardino inglese (attuale Villa Comunale).
Le decorazioni ottocentesche della facciata, con fregi ed archetti molto eleganti, fu aggiunta dai baroni Personè, la cui arme col motto è visibile sul prospetto del balcone, con diverse figurazioni di corazze e trofei che si vedono un po’ dappertutto. I lavori di restyling e le decorazioni furono eseguiti dall’ing. Generoso De Maglie (Carpignano, 1874 – 1951), che aveva prestato la sua opera anche per alcune delle ville gentilizie degli stessi baroni in località Cenate.
Per altre notizie si rimanda a:
https://www.fondazioneterradotranto.it/2012/09/27/note-storiche-sul-castello-aragonese-di-nardo/