di Fabrizio Suppressa
Ha destato notevole meraviglia la notizia, apparsa su testate locali e nazionali[1], del ritorno del lupo nel Salento e più in particolare nell’Arneo. È sembrato quasi di tornare indietro nel tempo, quando un anonimo giornalista de “La Provincia di Lecce” il 12 marzo 1911 riportava il seguente dispaccio:
“Avetrana, 10 marzo.
Da parecchi giorni due grossi lupi scorazzano in contrada Arneo, facendo una vera strage nelle masserie: cavalli, vacche, pecore, agnelli sono stati addentati o divorati e ogni tentativo per catturarli è riuscito vano. Le masserie più danneggiate sono quelle denominate Cursoli, Donna Menga e Santa Teresa.”[2]
L’occasione è ghiotta per segnalare in queste brevi note uno degli inediti segni di questo passato ancora individuabile nell’Arneo, ovvero una probabile “trappola per lupi” o “lupara” costituita da uno scavo a sezione circolare nella roccia tufacea (parzialmente colmo di terra e vegetazione) del diametro di circa due metri con al centro un pilastro.
La collocazione del manufatto non è certo delle più felici[3]; è infatti situato a Porto Cesareo, in uno svincolo stradale tra le intersezioni delle provinciali Nardò-Avetrana e Leverano-Porto Cesareo, all’altezza dell’antica masseria Salmenta.
L’identificazione in una trappola per lupi è stata possibile attraverso il raffronto con un’altra opera simile, seppur leggermente più grande, situata ad Ugento in località Terenzano[4]. Qui lo studioso A. Pizzurro, in “Ozan: Ugento dalla preistoria all’età romana” descrive l’“enigmatica costruzione litica” come “Un unicum che non trova altri riscontri nella penisola salentina. Tale costruzione serviva sicuramente da trappola per la cattura di lupi e selvaggina varia e, dato che presenta forti analogie con quanto descritto da Senofonte nel Cinegetico 11,3, non si può escludere a priori un suo impiego come trappola durante le battute di caccia nell’antichità”[5].
Proprio grazie al Cinegetico del Senofonte segnalato dall’autore, è possibile capire il funzionamento della trappola:
“Si scavano pure per la suddetta caccia [al lupo] delle fosse larghe, cupe, e rotonde lasciandovi in mezzo come un cilindro di terra [leggi pietra], di altezza uguale alla medesima fossa, e nella di lui sommità attaccano in tempo di notte una capra, covrendo la cennata fossa con delle ramate, acciò non sia veduta; mentre la fera correndo alla voce della capra per cibarsene, cade e precipita entro detto fosso da cui non potendo per la profondità uscire vi resta e vien presa”[6].
Forse un tempo la presenza di queste opere era molto più diffusa nell’antica Terra d’Otranto, come è possibile dedurlo dal “Codice di Maria d’Enghien” (1445-46) in cui si legge:
“Per che al presente li lupi sono multiplicati: et per loro multiplicatione fanno di gran danno tanto alle bestie de la cità de leze, quanto de li casali vicini, et de la dicta cità de leze: e ordinato per lo dicto capitanio: acciocchè omne persona habia materia de amazare dicti lupi: che quillo chi ammazasse lupo per omne volta havera tari. X. quando fosse ucciso con balestra, et cum cani tari. vij. et in lupara tari. V.”[7]
Dove per “lupara” è lecito ipotizzare che non si intenda il tipo di arma da fuoco tristemente famosa ai giorni nostri, quanto invece questo tipo di trappola, il cui termine è ben diffuso nella letteratura in lingua volgare dell’epoca[8]. Non a caso il compenso stabilito dal codice per questo tipo di cattura – molto meno pericoloso per l’uomo – era decretato in 5 tarì ovvero nella metà rispetto ad un più azzardato scontro frontale con balestra, giustamente risarcito con 10 tarì.
La pratica della ricompensa per l’uccisione di un lupo continuò almeno fino la metà dell’Ottocento, come annota Giustiniano Gorgoni nel suo celebre vocabolario:
“Nella provincia di Lecce: lu lupu, mercè i disboscamenti, non si vede più di frequente come nel tempo passato. Pur non si manca di tenere dei forti cani a guardia dell’armento, ai quali si mette un collare armato di punte di ferro. Anche qui, come altrove, l’Amministrazione dava un premio in denaro a colui che uccideva un lupo, o prendeva dei lupicioni (lupo lattante) ed oltre al premio, colui girando per le masserie riceveva dei regali”[9].
Similmente è riscontrabile nei documenti dell’archivio storico del Comune di Nardò, dove si legge che il sindaco, dietro ordinanza del prefetto, si obbliga a “pagare a titolo di premio la somma di £. 25,50 a Caramia Giuseppe, vero uccisore della lupa e non già a Mazzeo Giovanni” per la soppressione avvenuta nel 1872 nei pressi della masseria detta “la Grande”[10]. Ed ancora, nelle stesse carte si legge un verbale sull’uccisione di due lupicini (un maschio e una femmina) fatta da Marinaci Vito di Giuseppe, contadino guardiano di boschi, in contrada Arneo nel 1884[11].
In conclusione, è doveroso segnalare che “Lupara” è anche un toponimo ancora vivo nell’Arneo (come anche in Gallipoli e Scorrano), al confine tra i territori di Nardò e Avetrana, tra le masserie Fellicchie e Serra degli Angeli ai margini dell’antico Bosco dell’Arneo e che non mancano sempre nel suddetto comprensorio altri toponimi testimonianti della presenza in passato del lupo, quali ad esempio “Cantalupi” tra Salice Salentino e Veglie e masseria Scorcialupi in Maruggio.
Spero quindi, con queste poche righe che questo sconosciuto, nonché raro, “monumento della civiltà contadina” possa essere, se non valorizzato, almeno riconosciuto e tutelato da eventuali costruzioni o ampliamenti stradali.
Note
[1] http://www.ansa.it/puglia/notizie/2017/11/24/dopo-100-anni-lupi-in-salentotracce-dna_af48d1d1-4c37-4d98-9560-44ea7e3d0151.html
[2] M. Spedicato, Politica e conflitti sociali nel Salento Post-Fascista, Conte Editore, Lecce 1998, p. 186;
[3] Le coordinate geografiche sono: 40.267870, 17.910096, di seguito il link di Google Maps: https://www.google.it/maps/place/40%C2%B016’04.3%22N+17%C2%B054’36.4%22E/@40.2678935,17.9099803,21z/data=!4m5!3m4!1s0x0:0x0!8m2!3d40.26787!4d17.910096?dcr=0
[4] Le coordinate geografiche sono: 39.910196, 18.105765, di seguito il link di Google Maps: https://www.google.it/maps/place/39%C2%B054’36.7%22N+18%C2%B006’20.8%22E/@39.9101941,18.0882125,6310m/data=!3m2!1e3!4b1!4m6!3m5!1s0x0:0x0!7e2!8m2!3d39.9101957!4d18.1057651?dcr=0
[5] A. Pizzurro, Ozan: Ugento dalla preistoria all’età romana, Edizioni del Grifo, Lecce 2002, p. 27;
[6] F. Testa, Il cinegetico o sia Libriccino intorno alla caccia del greco filosofo ed oratore Senofonte tradotto in italiano, e di annotazioni, e prefazione fornito, Donato Campo, Napoli 1790, p. 130;
[7] M. Pastore, Il codice di Maria d’Enghien, Congedo Editore, Galatina 1979, p. 67
[8] Si veda ad esempio la Novella XXXVIII di Giovanni Sabadino degli Arienti “E per questo, facto secretamente cogliere tutte le persiche, excepto uno piede delle più belle, subito sotto quello fece fare una gran buca a modo de lupara, dove se pigliano li lupi, e aconciarla cum sì cauto modo che persona non se ne sarebbe mai aveduto. E circa tre nocte lui personalmente cum certi suoi famigli fece la guardia per sentire venire el malfactore e cadere ne la lupara. Il quale la terza nocte, venendo in zanche, entrò nel broilo e senza troppo cercare se n’andò al persico che miser Lippo avea salvato: dove non fu prima giunto, che cadde nella lupara; e per essere in zanche, quasi non fu per romperse el collo. Il che sentendo miser Lippo, che vigilava e stava attento, chiamò li famigli, dicendo: — Su presto! pigliate quella caldara de aqua è al foco e venite meco, ché l’è preso el lupo —.” Novella XXXVIII di Giovanni Sabadino degli Arienti, Porretane, dove si narra novelle settanta una etc. Nuovamente stampato, Merchio Sessa, Venezia 1531, p. 110.
[9] G. Gorgoni, Vocabolario agronomico con la scelta di voci arti e mestieri attinenti all’agricoltura e col raffronto delle parole e dei modi di dire del dialetto della provincia di Lecce, Forni Editore, Bologna 1973 (ristampa anastatica dell’edizione edita a Lecce nel 1891), p. 308;
[10] Archivio Storico dei Comune di Nardò (=ASCN), b. 37\232.1;
[11] ASCN, b. 37\232.2;
Grazie