Tu non conosci il Sud, le case di calce
da cui uscivamo al sole come numeri
dalla faccia d’un dado.
(Vittorio Bodini)
di Elio Ria
Sono ad esistere in un altrove che è Sud, ancora il Sud di Bodini, con le case di calce di un tempo e i dadi che non rinunciano alla casualità.
Qui vorrei anch’io morire non di noia. Percorrere le vie polverose della periferia. Studiare le ore di un campanile vecchio che scandisce fatica. Ascoltare dalle donne vestite di nero rosari e ave maria. Sbucciarmi le gambe e non andare in farmacia. Scazzottare con il gruppo (nemico) dell’altro rione e poi fiondarci a nascondino in un campo di grano. Vestire primavera ogni giorno. Correre con scarpe distratte e gambe spelacchiate.
D’estate rincorrere la corriera blu bombata affollata da ragazzi e mamme con le borse piene di angurie. Sudare mare e sabbia.
Qui il mare mi appare ancora oceano e ho un altro cielo sopra il cielo, le nuvole – collane di pioggia, il sole – forza per resistere.
Qui ho libri di ore sparsi sulle torri sorveglianti del silenzio e quiete di destino.
Qui vedo un prete in piazza distrarsi all’ombra di un breviario. Qui Cristo ha sempre la croce.
Qui mi pare meraviglia di ricordo quando ascolto frammenti di canti remoti, vedo feste di piazza, spade che si sfidano, tarante che si mordono e pizziche duellare.
Qui è tutto: nostalgia e meraviglia, dolore e gioia, voglia di vivere per assaporare acqua dolce e salata per un grammo di felicità.
Qui vorrei morire, possibilmente in un giorno di maggio, con il sole tiepido delle prime ore del mattino, nel sonno di un dio.