di Armando Polito
Il primo personaggio, del quale mi accingo a parlare, del titolo molto probabilmente non è noto, neppure di nome, a nessuno dei circa tremila abitanti1 del piccolo comune salentino che gli ha dato i natali. Sarei un ipocrita, oltre che uno stupido e presuntuoso, se non confessassi che anche io lo ignoravo totalmente. prima che una fortuita circostanza me lo facesse incontrare.
Galeotto fu il libro e chi lo scrisse è il caso di dire, prendendo a prestito il famoso verso dantesco. Ma il lettore più acculturato non si faccia illusioni: tra Paolo e Francesca da una parte e me dall’altra non c’è nessun punto di contatto, nonostante al tragico della loro storia d’amore qui si sostituisca il funereo, anzi il funebre …
Non faccio perdere ulteriore tempo e presento il frontespizio (l’intero volume è consultabile e scaricabile da https://books.google.it/books?id=M11JAAAAcAAJ&pg=PP5&dq=la+palma+spiccata+da+sassi&hl=it&sa=X&ved=0ahUKEwi5697HzL7ZAhWCCewKHdwwDk0Q6AEISTAG#v=onepage&q=la%20palma%20spiccata%20da%20sassi&f=false).
Si direbbe che, se si fosse voluto aggiungere qualcosa, non ci sarebbe stato lo spazio …
Siffatta struttura è la regola per i libri di qualche secolo fa e, se al lettore moderno la kilometricità dello scritto può non essere graficamente gradevole e apparire dispersivo,.per lo studioso è un’autentica fortuna, perché contiene una tal messe d’informazioni che gli consentono di orientarsi prima ancora di iniziare la lettura del testo vero e proprio.
Apprendiamo così che si tratta di un’orazione funebre in onore di Giovanni Federico duca di Brunswick e Luneburg. Interrompo per un sattimo l’analisi del frontespizio per dire che il volume si apre con la dedica ad Ernesto Augusto, fratello del defunto, della cui protezione l’autore (ne anticipo gli estremi traendoli dallo stesso frontespizio: P(adre) F(ra) Gioseppe Bono dà Diso Predicatore Cappuccino, della Provincia di Otranto. in Regno di Napoli) si augura di poter continuare a fruire sperando che il frutto della sua fatica riesca gradito come con tanta umanità si compiaceva il Serenissimo Suo Fratello, nel corso di cinque anni gradirne, e tollerarne l’aridità. E più avanti: A lei più d’ogn’altro era dovere ch’io presentassi et offerisse come picciol tributo della mia servitù questi frutti primaticci di Palma, aspersi non con altri fiori, ché di puri affetti di dincerissima divotione, et d’humilissima osservanza, poiche niuno havrebbe meno abborrito la rusticità della mia penna, se non L’A. S. Serenissima chìè Fratello, e Successore di chi hà si benignamente tolerata la rozzezza dellz mia lingua. Dopo le solite parole di circostanza e prima dell’altrettanto socntata di chiarazione di umiltà con nome del dedicante, si legge: Hannover, 20 Aprile 1680.
Non deve suscitare meraviglia questo servizio, per così dire, in trasferta, fuori d’Italia di un frate. E non è il solo esempio che la terra salentina offre. Poco prima lo stesso aveva fatto Diego Tafuro da Lequile, del qualr ho avuto occasiione di occuparmi in https://www.fondazioneterradotranto.it/2016/11/11/diego-tafuro-lequile-xvii-secolo-un-frate-fra-santi-principi-parole-13/.
Riprendo l’analisi del frontespizio e, ricordando al lettore il Palme della dedica, dò ragione del titolo vero e dell’orazione, che è La palma spiccata da sassi col motto Ex duris gloria. Quel che segue ha una funzione esplicativa e ci fa capire che il titolo prima enucleato non è altro che la descrizione della divisa adottata a suo tempo dal defunto. E qui bisogna precisare che divisa non è da intendersi nel senso strettamente araldico di insegna o stemma di famiglia, poiché quest’ultimo è quello che compare nella parte inferiore del frontespizio stesso.
Qui divisa sta nel senso estremamente generico di simbolo, quello che compare puntualmente nel rovescio delle monete (nel dritto pure costante è la testa del duca) coniate in numerose serie, anche nello stesso anno, da Giovanni Federico durante il periodo del suo ducato (1665-1679). Le immagini che seguono, ad esse relative, sono tratte da https://www.acsearch.info/search.html?similar=1011640.
1669
1677
1679
Costante è pure in tutte la presenza del motto EX DURIS GLORIA (dai sacrifici la gloria), parafrasi del più efficace, per il gioco allitterativo, PER ASPERA AD ASTRA (Attraverso le difficoltà alle stelle). La palma sull’isolotto roccioso appare da sola nella prima moneta nelle altre le fanno compagnia due navi in balia dei flutti. Il significato metaforico dell’insieme motto e immagine è tanto scontato che non è il caso di soffermarsi.
Il resto del frontespizio ci informa che l’orazione e i tre altri discorsi furono composti e recitati dall’autore nella chiesa Ducale di Hannover. Il duca morì il 16 dicembre del 1679 ed il libro avrebbe visto la luce per i tipi di Wolfango Schwendimano stampatore ducale l’anno successivo.
Dopo la dedica di cui ho già detto si legge un messaggio rivolto Al Prudente Lettore, cui segue il ritratto del duca, che, a differenza delle monete, qui appare di 3/4. Guardando attentamente si nota sul petto quella che sembra essere una curiosa replica. Se è così, direi che qui viene anticipata di secoli, con una punta di esibizionistica autocelebrazione, una moda che a partire dagli anni ’60 mitizzò definitivamente la figura di Ernesto Guevara, alias el Che. Più probabile, tuttavia, che si tratti del ritratto di un antenato, magari di suo padre.
Tale dettaglio, è assente nell’incisione di Cornelis Meyssens (1640-1673) risalente al 1668 circa, custodita nel Museum Herrenhausen Palace ad Hannover
ma appare, invece, in un altro [disegnatore Jean Michelin (1623-1695 ), incisore Robert Nanteuil (1623-1678)] a corredo dell’opera Globi celestis in Tabulas planas redacti descriptio uscita Parigi nel 1674. Appare evidente, al di là della cronologia, come di questo sia rifacimento quello del libro del Bono.
Subito dopo il ritratto, su cui credo di essermi attardato a sufficienza, inizia il testo dell’orazione funebre con in testa l’immagine che abbiamo già visto nel rovescio delle monete.
Essa poi riappare all’inizio di ognuno dei tre discorsi, tale e quale nel primo (Per il giorno della Gloriosa Ascensione in Cielo di Christo S. N.) e nel secondo (Della Gloriosa Resurrettione di Christo N. S.) e con piccole differenze in qualche dettaglio nel terzo (Per il Martedì di Pasqua).
La parte conclusiva proprio di quest’ultimo discorso recitato nella Chiesa Ducale d’ Hannover in presenza di S. A. S. Giovanni Federico Duca di Brunsvich, Luneburgh, etc. nell’anno 1679 contiene un ricordo di S. Giuseppe da Copertino. Il brano occupa le pp, 113-119 del volume, ma qui riporterò solo la parte iniziale: E qui confesso il vero, che la gratitudine dovuta al servo di Dio F. Giuseppe da Cupertino mio compatriota, con interne piccjiate, chiama e me, e voi ad immortalare con archi di trionfo il suo nome. Voi, perche essendosi egli interessato con le sue orationi di donare il vostro SERENISSIMO DUCA alla religione cattolica, vi diede d’un ottimo, e perfetto Cattolico il ritratto e l’idea. Né, perche à lui uguale di cittadinanza, e di nome, non senza special privilegio vengo contr’ogni mio merito onorato à servir S. A. SERENISSIMA in quest’hospitio; ma vorrei però per dimostrar tal gratitudine ritrovarmi quel braccio robusto, con cui l’Angelo portò di peso per un capello Abacuch in Babilonia la Reale, per trasportar voi per duecentocinquanta leghe3 all’ultimi confini d’Italia per contemplarlo, ò nel Convento della Grottella in sua, e mia patria, o d’Assisi nell’Umbria, ò di Fossombrono nella Marca, là destinato dalla sacra Congregatione acciò vivendo tra Cappuccini pietra di paragone, dove egli altre volte, essendo stato nella sua gioventù nostro Novizio, imparò l’abbecedario di Cristo, s’esperimentasse wea tutt’oro finissimo di santtà nell’interno, ciò che nell’esterno appariva.
Ricordo che Giuseppe era morto da sedici anni ed era stato proclamato santo da dodici. La Pasqua del 1679 cadde il 2 aprile, Giovanni Federico sarebbe morto di lì a pochi mesi (16 dicembre, come s’è detto). L’episodio della sua conversione dal luteranesimo al cattolicesimo ad opera del santo dei voli in quel di Assisi, dove il duca venticinquenne (dunque siamo nel 1650, essendo egli nato nel 1625) si era recato da Roma nel corso di uno dei suoi frequenti viaggi per l’Europa, è riportato estesamente in Domenico Bernino, Vita del Venerabile Padre Fra Giuseppe da Copertino, Tinassi e Mainardi, Roma, 1722, pp.180-189. Dallo stesso libro4 apprendiamo che nel 1668 il duca sposò Benedetta Enrichetta Filippina, della quale, ormai vedova, il Bernino riporta la testimonianza (p. 194): “Attesta la Serenissima di Bransuvik, ancor viva, mentre questo libro sriviamo, qualmente in quella Corte à tempo del Duca Giovanni Federico suo Marito, Non vi faceva altro, che parlare del Servo di Dio Padre Frà Giuseppe da Copertino, al quale egli conservava una tenerissima divozione, e ne aveva l’Effigie: et à questo riguardo, volendo egli qualche Religioso nè suoi Stati, prescelse li Padri Cappuccini, come che Francescani, frà quali haveva il suo Confessore, e quali mantenne, fin’ che visse. Così un’authentica testimonianza pervenuta a Noi da quelle parti, insieme con un’ discorso morale del Padre Frà Giuseppe Bono da Diso Predicator’ Cappucino della Provincia d’Otranto, stampato, e recitato nella Chiesa Cathedrale di Hannover, in presenza del Duca Giovanni Federico nel martedì di Pasqua 1679, cioè nove mesi avanti, che quel Sovrano nel nuovo viaggio d’Italia morisse, in cui nel fine si fà lunga, e degna commemorazione dell’Heroiche virtù del nostro Venerabile Padre Giuseppe, non senza tenerezza di lacrime negli Astanti, frà quali il Primo dava, e riceveva Maestà il medesimo Beneficato Serenissimo Sovrano, Uditore, Testimonio, e Soggetto di quanto in quella Predica si esponeva”.
L’episodio della conversione del duca era troppo eclatante perché non trovasse un posto di rilievo nell’iconografia del santo, oltre che nelle immaginette devozionali o santini, anche nell’arte propriamente detta. Di seguito due espressioni sul tema: la prima è opera di Giuseppe Cades (1750-1799), custodita nella cappella intitolata al santo copertinese nella Chiesa dei SS. XII Apostoli a Roma (foto tratta da http://poloromano.beniculturali.it/index.php?it/457/13-cappella-di-san-giuseppe-da-copertino)
la seconda è un dipinto attribuito da Nuccia Barbone Pugliese a Domenico Antonio Carella e da Stefano Tanisi a Saverio Lillo da Ruffano (1734-1796) custodito nel santuario di Giuseppe a Copertino (foto di Stefano Tanisi tratta da https://www.fondazioneterradotranto.it/2014/09/18/il-pittore-del-santo-dei-voli-saverio-lillo-da-ruffano/).
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1 Secondo i dati ISTAT erano 2960 al 31 luglio 2017.
2 La dedica al cardinale Francesco Barberini consente di collocare la data di stampa nel range temporale della sua carica (1623-1679)-
3 La lega era un’unità di misura di distanza variabile tra i 4 e i 5 km a seconda dei luoghi.
4 Integralmente leggibile e consultabile in https://books.google.it/books?id=dI4CChboW_0C&pg=PA186&dq=Giuseppe+bono&hl=it&sa=X&ved=0ahUKEwjGs5Ptkq_XAhVJthoKHaw4DH0Q6AEIUzAI#v=onepage&q=Giuseppe%20bono&f=true