di Armando Polito
Ai lati dell’Atlante sallentino Giuseppe Pacelli (1763-1811) e Giuseppe Gigli (1862-1921) in due immagini tratte, rispettivamente, da: Elio Dimitri, Un erudito manduriano, Barbieri, Manduria, 1993 e G. B. Arnò, Manduria e Manduriani, Tipografia editrice salentina, Lecce, 1943
Dopo essermi occupato delle torri costiere quali appaiono in una copia dell’Atlante salentino di Giuseppe Pacelli (https://www.fondazioneterradotranto.it/2016/10/03/le-torri-costiere-del-salento-nelle-mappe-giuseppe-pacelli/), oggi l’attenzione è rivolta alle comunità di lingua albanese trattate dallo stesso autore in un’altra sezione del suo atlante. Questa volta utilizzerò il manoscritto autografo del 1803 custodito a Manduria nella Biblioteca comunale Marco Gatti (MS. Rr/5)1.
Di seguito riproduco la carta 1r contenente la dedica e la 2r contenente il frontespizio, trascrivendo ed annotando il testo quando l’ho ritenuto necessario. In blu la mia traduzione.
carta 1r
Ad comptum incomparabilemque Equitem D. Dominicum Salzedo Patricium Hydruntinum Iosephi Canonici Pacelli Disticon
Quem tibi nunc mitto, graphicus Salzede, libellus,/est dulcis est fructus nostrae Amicitiae
Distico di Giuseppe Pacelli per l’elegante ed incomparabile cavaliere Don Domenico Salzedo patrizio otrantino
Il libretto illustrato che ora t’invio, o Salzedo, è il dolce frutto della nostra amicizia.
In basso si leggono due note posteriori corrispondenti ad (a) e (b) aggiunte anch’esse nel frontespizio:
a) Quest’atlante fu ideato e copiato dal Canonico Giuseppe Pacelli di Manduria, mio lontano parente, essendo egli zio o cugino a Maddalena Pacelli, madre di mio padre Salvatore3. Quand’io l’ebbi trovai cancellato il cognome Pacelli, come si vede. A scanso di qualunque equivoco ho scritta questa nota. Manduria 13 giugno 1893 Giuseppe Gigli.
b) Il nome dell’autore, cancellato forse in malafede, fu rimesso al suo posto da me 5/12/09 Cesare Antonio ?
Il compilatore della scheda descrittiva considera della stessa mano le due note e le trascrive puntualmente; solo che la trascrizione della seconda si ferma alla data, proprio in corrispondenza di quella che non può essere altro che una firma e della quale mi pare di leggere abbreviati Cesare (nell’originale Ces) e Antonio (nell’originale Ant), mentre il presunto cognome mi ha posto serie difficoltà, tant’è che ho usato il punto interrogativo.
Nelle due immagini che seguono la comparazione tra il Pacelli riscritto nel frontespizio e quello che compare nella nota a).
Direi che le differenze sono notevoli (vedi soprattutto la a). La differenza appare ancor più evidente se si compara la grafia della lettera d della prima nota con quella della seconda. Difficile ipotizzare un’evoluzione dovuta ai sedici anni trascorsi tra la stesura della prima nota e quella della seconda. E poi: il Pacelli, se fosse stato l’estensore pure della seconda nota, non avrebbe ritenuto opportuno fare un riferimento, per quanto lapidario, alla prima? Rimane, comunque, il problema della lettura della presunta firma dopo la data nella seconda nota e sarò grato a chiunque, essendoci cimentato col problema, sia giunto a qualche risultato.
In conclusione: per me questa seconda nota non fu scritta e sottoscritta dal Gigli e il compilatore della scheda si è lasciato trarre in inganno da alcune somiglianze grafologiche.
Prima di passare alle carte dell’atlante in cui è trattato l’argomento del titolo, mi pare doveroso dire qualcosa a proposito di Giuseppe Gigli (1862-1921) al di là del filo che lo lega al Pacelli parentalmente, come lui stesso dichiarato nella nota a), territorialmente (nato anche lui a Manduria) e per il comune interesse manifestato per la Terra d’Otranto.
Letterato dai molteplici interessi, la sua produzione spaziò dalla poesia alla saggistica, a parte i contributi sparsi in varie riviste. Mi limiterò a fornire l’elenco delle opere più importanti: Visioni e paesi, Puccini & figli, Ancona, s. d.; Confidenze: poveri versi, Parodi, Taranto, 1884; Fiammelle, Vecchi, Trani, 1885; Foglie al vento, Bellinzaghi, Gallarate, 18854; Antiquus fons, Tipografia Editrice Salentina, 1887; Le perle dell’imperatrice, Tipografia dell’unione cooperativa editrice, Roma, s. d.; Superstizioni, pregiudizi, credenze e fiabe popolari in Terra d’Otranto, Barbera, Firenze, 1893 (ristampa: Filo, Manduria, 1998); Scrittori manduriani, Tipografia salentina del cav. G. Spacciante, Lecce, 1888 (IIa edizione: Spagnolo, Manduria, 1896, ristampata a cura di Walter Tommasino, Filo, Manduria, 2002); Lecce e dintorni e Gallipoli, Otranto e dintorni, due monografie facenti parte della collana Il tallone d’Italia, Istituto italiano d’arti grafiche, Bergamo, rispettivamente, 1911 e 19125; Novellieri minori del Cinquecento: Girolamo Parabosco-Sebastiano Erizzo, Giuseppe Laterza & figli, Bari, 1912 (volume curato insieme con Fausto Nicolini); Sigismondo Castromediano, Formiggini, Genova, 1913.
carta 1v
Atlante salentino o sia la provincia di Otranto divisa nelle sue diocesi MDCCCIII
In basso quello che definirei, più che stemma, una sorta di sigillo in cui spicca un’aquila bicipite, mentre nella corona circolare che la delimita si legge IOSEPHUS CANONICUS PACELLI MANDURIENSIS. Lascio al’altrui competenza specifica la lettura e l’interpretazione del valore simbolico, oltre che dell’aquila (l’autorità imperiale?) degli altri dettagli (il sole in alto e all’interno dello scudo circolare centrale quelle che appaiono come due fabbriche (o due seggi) separate da un fiume (distinzione tra papato e impero?).
Passo ora alle carte riguardanti l’Albania Salentina. .
carta 17r
Fra i paesi, che compongono la Diocesi di Taranto, ve ne sono alcuni, ne’m quali gli Abitanti, oltre del linguaggio a tutta la Provincia comune, parlano fra di loro la lingua Albanese, per cui si è dato a questa mappa il Titolo di Albania Sallentina. Sei sono al presente i Paesi di linguaggio Albanese, cioè San Crispiere, Faggiano, Rocca Forzata, San Martino, Monteparano, e San Marzano. La città di Taranto, allorché era Repubblica in tempo della Magna Grecia, fu tanto famosa per la gloria delle sue armi, che non solo colle truppe alleare de’ Lucani, de’ Bruzi, de’ Sanniti, de’ Messapi,de’ Sallentini fece posto ai Romani, de’ quali più volte ne arrestò le conquiste, e venne a patti: ma avea prestato anche prima militari soccorsi ai Stranieri, come agli Epiroti nella conquista della Macedonia, e dell’Isola di Corcira, e ai Lacedemoni contro degli Ateniesi. Roma però, la quale gli ostacoli stessi rendevan più forte, dopo avere o a se associati, o debellati, o interamente distrutti gli eserciti or dell’una, or dell’altra delle vicine Provincie, aspirò ben presto all’impero di tutta l’Italia; e le vicine Repubbliche delle Città Italo-Greche, non ostante che tenevano in piedi poderosissime armate e di terra, e navali, si avvidero di buon’ora, che presto, o tardi sarebbe anche ad esse toccato. di correre l’istessa sorte. Infatti no tardò molto, che l’Esercito Tarantino, e gli Alleati non furono più valevoli ad opporsi da se soli ai Romani, e furono costretti a ricorrere alle forze di que’, ai quali altra volta avevan prestato l’aiuto. Invitarono perciò Pirro, re dell’Epiro, il quale coi suoi Epiroti volò in soccorso di Taranto contro i Romani. Le avventure di tal calata di Pirro nell’Italia le racconta l’Istoria, a cui rimetto il Lettore. Or mi sembra un delirio l’opinar di taluni, che pretendono attribuire alla gente, che seco menò Pirro in soccorso di Taranto, l’origine de’ Paesi, de’ quali parliamo, e ‘l lor linguaggio Albanese. Essi non vantano un’antichità sì prodigiosa, e sono di origine assai posteriore, surti ne’ tempi bassi. Ad altri Albanesi asunque più a noi vicini, e non a quelli menati da Pirro, è dovuta l’introduzione del lor linguaggio fra noi. Son d’accordo moltissimi, che la lingua Albanese s’introdusse nel Regno dopo la metà del secolo XV, colla venuta che fece nella Puglia il celebre Re d’Albania Giorgio Castrioto, sotto il nome di Scanderbeg, per soccorrere il nostro Re Ferdinando d’Aragona, assediato dentro la Città di Bari, e da cui poi per il soccorso prestato n’ebbe in dono alcune Città, e fra le altre la Città di Trani. E i naturali della nostra Albania Sallentina a tal’epoca riportano l’introduzione anche fra loro di tal linguaggio. Io non voglio ciò loro contendere; ma non ritrovo memorie, né so, qual rapporto abbia mai avuto lo Scanderbeg, o la dilui gente con i loro Paesi, né tampoco collo Stato di Taranto, allora posseduto da Gio. Antonio del Balzo, sicché per la vicinanza si possa dire, che abbian potuto gli Albanesi di Scanderbeg in questi Paesi annidarsi. Se io mal non mi avviso, credo piuttosto, che l’introduzione della lingua Albanese in questi luoghi debbasi attribuire alla seconda venuta in Regno degli Albanesi, che accadde poco meno d’un Secolo dopo, e propriamente il 1530, quando per sottrarsi dalla tirannia del Turco molte nobili, e ricche Famiglie abbandonando la Patria, dall’Albania nella Puglia
carta 17v
si trasferirono sotto la protezione del Cattolico Re di Spagna.Tra queste Famiglie di Gentiluomini Albanesi vi fu la Famiglia Basta, da cui uscì il celebre Guerriero, conduttore di eserciti, e valoroso Scrittore di dotte Opere, Giorgio Basta, un ramo della quale Famiglia perché fece compra di alcuni di questi Paesi della nostra odierna Albania Sallentina, come di San Martino, di Monteparano, vi si venne a fissare. E l’istesso Giorgio Basta, che comprò Civitella, oggi distrutta, si crede che in questi Paesi avesse sua spoglia mortale lasciato; d’onde nacque poi l’errore, adottato alla cieca da tutti i Biografi, ed ultimamente dai Traduttori dell’ultimo voluminosissimo Dizionario degli Uomini Illustri, che Giorgio Basta nato fosse in Rocca Forzata, mentre nacque iun Ulpiano nel Monferrato, come nella nostra Bibliografia Sallentina faremo chiaro. Al dominio dunque, ch’ebbe la Famiglia Basta su alcuni Paesi di questa Contrada, e alla dimora che vi fece per molti anni piuttosto, che alla gente menata in Regno da Scanderbeg inclinerei a credere (semprecché non si avessero prove in contrario) doversi attribuire l’introduzione in questi Paesi del linguaggio Albanese.
carta 18v
Riporto dalla mappa (a chi volesse esaminarla personalmente in tutti i dettagli basterà un primo clic col tasto sinistro su di essa e un secondo quando il cursore sarà diventato una lente d’ingrandimento) i toponimi dell’isola alloglotta:
BELVEDERE: oggi contrada di Roccaforzata.
SANTO CRISPIERE: oggi San Crispieri, frazione di Faggiano, da cui dista 2 km, con 300 abitanti.
FAGGIANO: oggi idem
MONTEPARANO: oggi idem
ROCCA FORZATA; oggi Roccaforzata,
SANTO MARTINO: nome di un antico casale tra Roccaforzata e Monteparano: ne fu possessore Raffaele delli Falconi di Lecce fino al 1507, anno in cui passò al comandante albanese Lazzaro Mathes.
SANTO MARZANO: oggi San Marzano di san Giuseppe.
Questa era la situazione agli inizi del XIX secolo. Oggi nei centri sopra indicati sopravvive qualche tradizione del paese d’origine, ma la lingua solo a San Marzano di san Giuseppe. Quanto questo residuo dell’Albanuia salentina riuscirà a sopravvivere o subirà inesorabilmente l’azione catalizzatrice della globalizzazionee ricalcando in questo la Grecìa salentina?
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1 integralmente leggibile e scaricabile da http://www.internetculturale.it/jmms/iccuviewer/iccu.jsp?id=oai%3Awww.internetculturale.sbn.it%2FTeca%3A20%3ANT0000%3ACNMD0000216271&mode=all&teca=MagTeca+-+ICCU
2 Per l’estensore della scheda è un 9.
3 Su Salvatore Gigli così scrive Cosimo De Giorgi in La provincia di Lecce; bozzetti di viaggio, Spacciante, Lecce, 1882, p. 129: Nel 77 vi stabilii un osservatorio termopluviometrico affidandone le cure al mio distintto amico signor Salvatore Gigli, che ha collocato gli strumenti nel suo stabilimento a vapore per la macinazione dei cereali e per la frangitura delle olive a pochi passi dalla città. Nell’immagine che segue, tratta da http://rete.comuni-italiani.it/w/images/Manduria_-_Lapide_a_Salvatore_Gigli_-_Chiesa_Santissima_Croce.jpg, la lapide posta nella chiesa della Santissima Croce.
4 Libro rarissimo, del quale riproduco il frontespizio dall’esemplare rinvenuto in ebay (https://www.ebay.it/itm/GIUSEPPE-GIGLI-poesie-manduria-opera-di-estrema-rarita-sconosciuta-ai-biografi/112763732993?hash=item1a413e0401:g:ZZ4AAOSwTM5Y24Uw)
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A proposito dell’ovale raffigurato nel frontespizio, segnalo che lo scudo con l’aquila bicipite, la “pila” (cioè il triangolo rovesciato visibile nel capo dello stesso scudo) e la stella rappresenta l’arma innalzata dai Castriota Scanderbeg: http://www.nobili-napoletani.it/Castriota.htm
Confermo quanto ha scritto Marcello Semeraro. E riprendendo quanto hai scritto:
Lascio al’altrui competenza specifica la lettura e l’interpretazione del valore simbolico, oltre che dell’aquila (l’autorità imperiale?)
“è l’aquila imperiale dell’Albania”
degli altri dettagli (il sole in alto
“è una stella, inserita in un triangolo (pila), dunque si tratta dello stemma dei Castriota Scanderbeg, concesso a qualche famiglia (il Pacelli?), che inserisce all’interno dello scudo le proprie armi di famiglia”
e all’interno dello scudo circolare centrale quelle che appaiono come due fabbriche (o due seggi)
“sono due torri o castelli”
separate da un fiume (distinzione tra papato e impero?).
“araldicamente è una banda ondata”.
Ringrazio Marcello Semeraro e Marcello Gaballo per le preziose rettifiche, a conferma, ove ce ne fosse stato bisogno, che la conoscenza, per quanto umanamente possibile completa, oggi più che mai ha bisogno della confluenza di diverse competenze. Rimane, tuttavia, l’amaro in bocca per i tre dettagli inseriti nello scudo centrale, per la cui interpretazione nessuno dei due studiosi, se ho ben capito, si è sbilanciato. Ancora grazie.
Lo scudetto ovale “sul tutto” mostra una gemella ondata in banda, accompagnata da due torri. Normalmente questo scudetto rappresenta l’arma familiare, ma in questo caso potrebbe anche essere un’arma personale, creata ad hoc dallo stesso canonico Pacelli. La sua famiglia, comunque, non compare negli stemmari e nei repertori araldici locali, per cui non disponiamo di altri esemplari con cui fare raffronti. L’unica via possibile, allo stato attuale delle ricerche, è la consultazione dello stemmario Montefuscoli, manoscritto settecentesco conservato presso Biblioteca Universitaria di Napoli. Conto di farlo prossimamente.