di Armando Polito
immagine tratta da https://www.facebook.com/Salentocomeeravamo/photos/a.305648509568488.1073741828.305645896235416/1010137312452934/?type=3&theater
Intanto, come e ormai per ogni scritto che si rispetti …, voglio dare al post il sottotitolo Da “pezze e capiddhi” e “ci tene la mòria” all'”usa e getta”, più o meno dove ti trovi … Toltami questa soddisfazione, comincio.
Chi, avendo la mia età, non ricorda il fascino esercitato nella sua adolescenza da quella specie di cartiglio che sui manifesti sanciva per un film vietato ai minori di 14 anni? Poi, col mutare dei costumi, si passò prima ai 16, poi ai 18 anni ed ora, vecchierelli, sorridiamo pensando che oggi quei film potrebbero essere proiettati tranquillamente in un convento senza suscitare scandalo …
Ora, chi legge immagini che su questo scritto non sia un post ma un poster su cui campeggia vietato ai minori di 40 anni. Dico questo non per suscitare malsane curiosità al fine di avere furbescamente qualche lettore in più, ma proprio perché non voglio far perdere tempo a chi ha un’età inferiore a quella dell’amichevole divieto. Come potrebbe, infatti, credere verosimili i due personaggi di cui nel post si parla? Per questo, con quanto segue, mi rivolgo esclusivamente agli ultraquarantenni.
Periodicamente passava per le strade con un carretto tirato da un asinello o con un trabiccolo frutto di un trapianto di solito operato personalmente, che prevedeva il sacrificio di una bicicletta i cui 3/4 posteriori, compresa la parte della trasmissione, venivano saldati ad un telaio sorreggente un un cassone di legno con un asse con la ruota residua della bicicletta ad un’estremità ed un’altra simile rimediata all’altra. I suoi clienti erano esclusivamente donne e l’operazione commerciale che esercitava con loro era basata sul baratto: bottoni, lacci per le scarpe, spilli, merletti in cambio di stracci (pezze) e capelli femminili (capiddhi).
Non molto dissimile (in questo caso il principale sacrificato era un mosquito) il mezzo utilizzato da chi raccoglieva la morchia e l’olio esausto (quello delle fritture, non quello minerale, dato l’esiguo numero dei veicoli a motore in circolazione) in cambio per lo più di recipienti in latta smaltata o in alluminio. A partire dai primi anni ’60 si aggiunsero i contenitori in moplen. Al grido di mòria, ci tene la mòria (morchia, chi ha la morchia) su ogni strada principale e relative traverse le donne si precipitavano ad operare il baratto. Probabilmente per loro le due operazioni non erano solo eventi in grado di dare uno sviluppo concreto alla filosofia allora vigente del non si butta niente, la possibilità di un riconoscimento visibile, tangibile delle loro virtù domestiche ma anche una delle rarissime occasioni per entrare in qualche modo in contatto, più o meno consapevolmente, con l’altro sesso. E se disfarsi di moria e pezze era comodo e pure conveniente, i capiddhi restavano pur sempre una parte, per quamto morta, del proprio corpo che veniva consegnata ad un uomo, per di più sconosciuto …
Torno a mòria per dire che ha il suo corrispondente italiano nel prima nominato morchia, che è da un latino *amùrcula(m), diminutivo di amurca. che è, a sua volta, dal greco ἀμόργη (leggi amorghe) connesso col verbo ἀμέργω che significa spremere (in rapporto a morchia è da intendersi in senso passivo, come ciò che viene depositato dal prodotto dopo la spremitura), Va precisato che tale attività era esercitata da persone del Brindisino (il che spiega il mezzo di locomozione a motore), come dimostra proprio moria, che è la variante brindisina del neretino murga. Facile constatare come moria e murga derivano, a differenza di morchia, direttamente dal latino amurca per aferesi di a– e come, sotto il punto di vista del consonantismo, siano più vicini alla voce greca di quanto non lo sia lo stesso amurca.
A quell’improbabile giovane che, nonostante il mio divieto (!), abbia letto queste quattro righe voglio ricordare che oggi va di moda la locuzione raccolta differenziata della spazzatura e riciclaggio dei materiali (compreso il ricordato moplen, per il quale Giulio Natta e Karl Ziegler vinsero il premio Nobel per la chimica nel 1963. Non potevano immaginare all’epoca quale rischio il pianeta avrebbe corso a causa loro e non si può certo revocare loro il premio visto che il titolo di cavaliere o commendatore continua ad essere esibito da personaggi che non hanno nulla di cavalleresco o di commendevole …
Certo, rispetto a pezze e capiddhi ed a ci tene la moria i tempi sono cambiati e nel frattempo, a parte la plastica, sono arrivati pure i rifiuti speciali non trattati ma direttamente tombati. E al giovane, improbabile lettore, dopo aver ricordato quanto appena detto, mi vergogno di chiedergli se, dopo il fallimento della mia generazione, se la sua sarà in grado di dare spessore concreto, anche con piccoli gesti, a quella coscienza ecologica che fino ad oggi, a livello mondiale, è rimasta solo un fragile e, tutto sommato, ipocrita, sostanzialmente disatteso proposito? La coscienza e la responsabilità personali sono fondamentali, ma il legislatore deve esercitare la sua parte con disposizioni chiare, tempi precisi per una loro seria messa in opera, sanzioni ineluttabili per i trasgressori. Mi chiedo se il CONOE (Consorzio Obbligatorio Nazionale Oli Esausti), costituitosi nel lontano 1998 ed entrato in attività nel 2001 ad oggi assolva o meno adeguatamente alle funzioni per cui fu creato. Resta comunque il fatto che, se per gli oli vegetali o animali esausti il conferimento obbligatorio è previsto solo per il settore della ristorazione, il privato cittadino può assolvere al suo dovere solo laddove ci sono gli appositi contenitori nelle isole ecologiche. Non so cosa succede altrove, ma a Nardò non esistono, per cui il nostro bravo olio esausto finisce nel lavandino o nel terreno; in un caso e nell’altro, pur esausto, ciò che resta della nostra goduria gastronomica sarà capace nella modica quantità di un litro di esaurire la vita, creando in mare (i depuratori, se ci sono e funzionano, non riescono a catturarlo tutto) o nella falda freatica per una superficie pari a quella di un campo di calcio uno strato che impedisce il passaggio dell’ossigeno: in un tragico gioco di parole (un climax1), che coinvolge dialetto e lingua, la mòria (morchia) a causa della nostra mòria [in medicina: atteggiamento fatuo ed euforico quale è quello determinato da lesioni dei lobi frontali; dal greco μωρία (leggi morìa)=stoltezza, pazzia] si trasforma in morìa (elevata mortalità di organismi vegetali o animali dovuta a fattori chimici o ad inquinamento).
E tutto questo lo chiamiamo progresso…, anche se l’arte dovesse stigmatizzare il fenomeno a modo suo; per esempio, con la natura morta (che altro, sennò?) che segue accompagnata dal titolo Olio di frittura su mare …
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1 In letteratura è disposizione di vocaboli o concetti in un crescendo di effetti espressivi; in sessuologia è sinonimo di orgasmo. La voce è dal latino tardo climax, a sua volta dal greco κλίμαξ (leggi climax)=scala, da κλίνω (leggi clino)=inclinare, tendere.