di Armando Polito
C’è da meravigliarsi se la superficialità (indotta dalla velocità, non sempre giustificata, cui i tempi attuali quasi obbligano ognuno di noi) connessa con la scarsa considerazione in cui il passato è tenuto da una società totalmente immersa nel presente, indurrà qualcuno, neppure tanto giovane, imbattutosi nelle indicazione viaria sottostante (immagine tratta ed adattata da GoogleMaps) a manifestare la sua meraviglia esclamando, magari in versi: – Strano, ho percorso tutta questa via, ma non c’è ombra di salumeria! -.
Non m’illudo certo che queste note elimineranno per sempre il rischio e sarebbe già tanto se, veicolate dalla rete, lo riducessero sensibilmente.
Preliminarmente giova ricordare che accademia è dal greco Ἀκαδήμεια (leggi Acadèmeia), che, secondo Teognide1 e Plutarco2deriverebbe dal nome dell’eroe eponimo Ἀκάδημος (leggi Acàdemos). Originariamente era il nome proprio della scuola filosofica fondata da Platone, poi fu il nome comune indicante un’associazione di studiosi creata per promuovere le lettere, le arti o le scienze oppure una scuola superiore (di indirizzo artistico o militare). L’aggettivo derivato, accademico, indica genericamente un docente universitario ma anche, con accezione negativa, un’esibizione virtuosistica fine a se stessa,
Superfluo far notare il carattere elitario di tale istituzione nelle manifestazioni appena ricordate, per cui, soprattutto in passato, gli adepti erano persone di elevata cultura, provenienti di solito da famiglia di ceto altrettanto elevato, molto spesso nobiliare.
Tra le più famose accademie di cui il lettore conoscerà almeno il nome vanno citate la Crusca (sorta a Firenze nel secolo XVI) e l’Arcadia (sorta a Roma nel 1690). Quest’ultima in particolare ebbe numerosissime diramazioni locali, dette colonie. Quella chiamata Sebezia (dal fiume Sebeto) comprendeva i letterati meridionali, non pochi salentini, e tra questi il neretino Antonio Caraccio.3 Ogni pastore (così si chiamavano i membri dell’Arcadia) assumeva uno pseudonimo, di regola di origine greca; così quello del Caraccio era Lacone Cromizio. Tuttavia già nei secoli precedenti erano sorte accademie locali: per esempio, per Nardò il Tafuri4 c’informa che il duca Belisario Acquaviva provvide a rinnovare l’estinta Accademia del Lauro e che dopo la morte del duca il vescovo Cesare Bovio dette nel 1571 l’incarico di rinnovarla a Scipione Puzzovivo, il quale mutò il nome Accademia del Lauro in Accademia degli Infimi. In questo dettaglio onomastico c’è già la tendenza a quella che potrebbe definirsi dichiarazione di umiltà attraverso l’ironia, quasi un omaggio al ben noto principio socratico. E così, per restare a Nardò, dal Lauro agli Infimi e da questi, nel 1724, agli Infimi rinnovati. Così era stato per l’Accademia degli Intronati nata a Siena tra il 1525 e il 1527, per quella degli Insensati nata a Perugia nel 1561, per quella degli Oscuri nata a Lucca nel 1585, per quella dei Sepolti a Volterra nel 1597, per quella degli Erranti a Brescia nel 1619 e, ancora a Siena, per quella dei Rozzi nel 1665 (già Congrega dal 1531). Curiosamente … contraddittoria sembra l’Accademia degli Infecondi, dal momento che fu il nome di due accademie distinte, una fondata a Roma nel 1613, l’altra a Prato nel 1715.
Sull’omonimia, poi, emblematico è il caso dei Trasformati, nome sotto il quale si registrano ben 5 accademie diverse: a Milano intorno al 1550, a Lecce intorno al 1558, a Firenze nel 1578, a Noto intorno al 1672, a Milano nel 1743, sulle fondamenta dell’omonima Accademia milanese del Cinquecento.
Non fa eccezione a Mesagne l’Accademia degli Affumicati riconosciuta ufficialmente nel 1671 ma nata prima di tale data.5 Non sempre delle accademie si hanno notizie dettagliate e la stessa produzione degli associati raramente è stata oggetto di pubblicazione e molto spesso qualche contributo di qualcuno di loro si trova inglobato in raccolte varie, il che non rende agevole, a parte la loro non facile reperibiltà, una ricerca mirata.
Tra l’altro, nonostante la fantasia mostrata dai fondatori nel dare il nome alla loro creatura, era tutt’altro che improbabile che il nome non fosse stato già usato da altri e non sempre, essendo incerta la data di nascita di certe accademie, è possibile stabilirne la priorità d’assunzione e d’uso.
Così è pure per l’Accademia degli Affumicati. Intanto va detto che, a quanto pare, non fu l’unica con quel nome, visto che in Rime degli Ereini di Palermo, Bernabò, Roma, 1734, tomo I, a p. X si legge: In Modica v’ha memoria, che vi fu l’Accademia degli Affumicati fondata intorno al 1673, ch’elesse per impresa un Sciame d’api affumicati presso l’Alveare. L’informazione è ribadita da Francesco Saverio Quadrio, Della storia e della ragione d’ogni poesia, Bologna, Pisarri, 1739, p. 81, mentre a p. 93 dello stesso volume si legge: Fiorivano in questo luogo [Policastro] fin dal secolo scorso gli Affumicati; dell’accademia di Policastro, però aveva già dato notizia Elia De Amato in Pantopologia calabra, Mosca Napoli, 1725, p. 319: Ex Urbis Accademia, degli Affumigati, vulgò dicta, multi exiere viri …6 Inoltre in Biblioteca Picena, tomo I, Quercetti, Osimo, 1790, a p. 17, a proposito di Francesco Abondanzieri (1708-1763) di Rocca Contrada7 si legge: Ritornato in Padria, promosse ivi gli studi ameni, riassumendo gli esercizi dell’Accademia degli Affumigati, già da molti anni intermessi; insomma, un’accademia marchigiana si aggiunge, con lo stesso nome, alla siciliana ed alla calabrese prima citate.
Degli Affumicati di Mesagne, poi, ben poco sapremmo senza le notizie lasciateci da Antonio Mavaro (1725-1812), giurista e storico locale mesagnese, in un manoscritto (ms. M/4) custodIto nella Biblioteca pubblica arcivescovile Annibale De Leo a Brindisi8. Ho ritenuto opportuno, perciò, riprodurre e trascrivere le parti testuali riguardanti l’accademia, nonché i disegni, e di commentare le une e gli altri con note in calce atte a far comprendere anche al lettore comune la vivacità culturale di quell’epoca.
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Il motto (Explorat robora) è tratto del verso 175 delle Georgiche di Virgilio (Virg. Georg.), laddove si parla della costruzione dei pezzi dell’aratro. Riporto, per risparmiarmi la descrizione dell’immagine centrale, i vv. 173-175: Caeditur et tilia ante iugo levis altaque fagus/stivaque, quae currus a tergo torqueat imos,/et suspensa focis explorat robora fumus (Prima vengono tagliati per il giogo il leggero tiglio e l’alto faggio e il manico che da dietro guidi i profondi solchi; e il fumo saggia la solidità dei pezzi sospesi sul focolare).
Per quanto riguarda et I.° Aeneid. (e [libro] I dell’Eneide)va detto intanto che la locuzione explorat robora non è presente nell’Eneide. Tuttavia il verbo explorare ricorre due volte nel libro I dell’Eneide, cioè al v. 779 e al v. 30710 e, dunque, il riferimento è, metaforicamente concettuale, ai due passi relativi.
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La tabella che segue sintetizza i dati presenti nella carta precedente. Il lettore troverà notizie sui personaggi di questa tabella e della successiva nell’Appendice che costituirà l’ultima parte di questo lavoro, dove il loro nome comparirà in ordine alfabetico. Sarò grato a chiunque fornirà, a pubblicazione integralmente avvenuta, integrazioni, precisazioni o correzioni.
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Eccone la trascrizione in tabella.
Per la seconda parte: https://www.fondazioneterradotranto.it/2018/01/27/mesagne-la-sua-accademia-degli-affumicati-25/
Per la terzaa parte: https://www.fondazioneterradotranto.it/2018/02/01/mesagne-la-sua-accademia-degli-affumicati-35/
Per la quarta parte: https://www.fondazioneterradotranto.it/2018/02/06/mesagne-la-sua-accademia-degli-affumicati-45/
Per la quinta parte: https://www.fondazioneterradotranto.it/2018/02/13/mesagne-la-sua-accademia-degli-affumicati-55/
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1 992.
2 Theseus, XXXXII, 5.
3 Armando Polito, Antonio Caraccio, l’Arcade di Nardò, in Nardò e i suoi.Studi in onore di Totò Bonuso, a cura di Francesco Gaballo, Fondazione Terra d’Otranto, Nardò, 2015, pp. 41-66.
4 Giovanni Bernardino Tafuri nel capitolo VIII del libro I della sua opera Dell’origine, sito, ed antichità della città di Nardò, in Opere di Angelo, Stefano, Bartolomeo, Bonaventura, e Giovanni Bernardino di Nardò ristampate ed annotate da Michele Tafuri, Stamperia dell’Iride, Napoli, 1848, v. I, p.p. 468-469. I primi sei capitoli del libro I erano usciti in Raccolta di opuscoli scientifici e filologici, a cura di Angelo Calogerà, tomo XI, Zane,Venezia, 1735. Il curatore lì alla fine avverte che La continuazione di questo Primo Libro si darà nel Tomo seguente. Il che non avvenne.
5 In Pietro Marti, Movimento intellettuale nel Salento, nel secolo XVII, in Fede: rivista quindicinale d’Arte e di Cultura, anno III, n. 5 (15 marzo 1925) in nota a p. 69 si legge che sorse il 1638, per opera di Giovan Matteo Epifanio, che ne fu più volte Principe.
6 Dall’accademia della città [Policastro], detta volgarmente degli Affumicati, uscirono molti uomini …
7 Oggi Arcevia, in provincia di Ancona.
8 Integralmente leggibile all’indirizzo http://www.internetculturale.it/jmms/iccuviewer/iccu.jsp?teca=&id=oai%3Awww.internetculturale.sbn.it%2FTeca%3A20%3ANT0000%3ACNMD0000209601
9 Vv. 77-78: Aeolus haec contra: – Tuus, o regina, quid optes/explorare labor; mihi iussa capessere fas est – (Eolo in risposta: – O regina, è tua fatica cercare di scoprire ciò che vuoi, mia adempiere gli ordini).
10 Vv. 305-309: At pius Aeneas per noctem plurima volvens,/ut primum lux alma data est, exire locosque/explorare novos, quas vento accesserit oras,/qui teneant (nam inculta videt), hominesne feraene,/quaerere constituit sociisque exacta referre (Ma il pio Enea rimuginando per tutta la notte molti pensieri, non appena fece alba decise di uscire, di esplorare quei luoghi sconosciuti, dove sia approdato spinto dal vento, chi abiti il luogo, infatti lo vede incolto, o uomini o bestie, e di riferire tutto ai compagni).