Transizione socio-ecologica dell’oliveto nel lungo periodo
in Italia e Spagna (1750-2010)[1]
di Gianpiero Colomba
In questo articolo cerchiamo di spiegare brevemente il livello di multifunzionalità e di produzione dell’oliveto, ovvero la sua resa agronomica, e di ricostruire l’evoluzione di alcuni indicatori biofisici basati sulla proposta metodologica del metabolismo agrario, come per esempio l’indicatore di efficienza energetica “ERoEI” (Energy Returned on Energy Invested)). Lo scopo principale è quello di analizzare le dinamiche di sostenibilità storica della coltivazione dell’oliveto, con l’obiettivo finale di ottenere insegnamenti utili per individuare gestioni efficienti nel presente.
Il contesto storico della ricerca, parte dell’epoca in cui la base energetica era quasi esclusivamente solare e arriva ai giorni nostri, descrivendo la transizione socio-metabolica industriale quando, per la prima volta nell’agricoltura, ebbe luogo l’arrivo a grande scala dei combustibili fossili e dei fertilizzanti chimici.
La maggior parte degli indicatori agronomici e ambientali, si riferiscono alla provincia di Cordova in Andalusia, che oggi rappresenta la regione leader al mondo in quanto a superfici investite a oliveto e alla provincia storica di Terra d’Otranto che lo fu nel XVIII° secolo e gran parte del XIX°.
Abbiamo cercato di dare una risposta al come fu possibile che in Italia si riuscì a “sostenere” un’alta densità di popolazione in un contesto di agricoltura «organica avanzata» (Wrigley, 1988), e in condizioni agro-climatiche simili a quelle spagnole. Per pratiche agrarie migliori o più intensive? O attuando pratiche insostenibili per lungo tempo? Inoltre, quale fu la causa della forte caduta della produttività in Italia agli inizi del XX° secolo?
Analizzando la porzione di terra utile per abitante in Terra d’Otranto nel 1880, si calcola che vi era una disponibilità teorica di 1,3 ettari (superficie territoriale / abitanti), mentre in Cordova di 3,6 ettari per abitante. Mezzo secolo dopo, nel 1930, questa proporzione nella provincia del sud della Spagna era di 2,1 ettari, all’incirca uguale alla quota che si calcola in Terra d’Otranto nel 1809, più di un secolo prima. Analogo discorso se consideriamo la porzione di terra coltivabile per abitante, con 1,0 e 1,9 ettari rispettivamente nel 1880. Si ricorda che il limite per il sostentamento di una comunità in epoca pre-industriale era all’incirca fissato in 1,5 / 2,0 ettari per abitante (Malanima, 1995), per cui in Terra d’Otranto questo limite lo si era superato già a partire dagli inizi del secolo XIX. Completare il sostentamento in queste situazioni richiese evidentemente delle strategie di “risparmio del suolo” (Kander et al., 2014) e l’oliveto ne fu un esempio paradigmatico, soprattutto in Italia.
Per quel che concerne l’efficienza, abbiamo stimato gli input applicati all’oliveto, tanto a livello tradizionale (lavoro umano e animale, concimi, ecc.) come a livello attuale (fertilizzanti, trattamenti, macchinari, ecc.) e gli output (produzione di olive, legna, ecc.) considerando la materia secca e traducendo il tutto in unità di misura energetica (Joule).
Le stime che riguardano il territorio salentino, sono l’analisi di libri contabili privati di fine secolo XVIII e di gran parte del XIX, relativi alla conduzione di alcuni oliveti nel territorio di Poggiardo e Tricase (Le), mentre per l’attualità attraverso interviste a esperti e agronomi condotte nell’anno 2016 sul territorio leccese.
La grande espansione dell’oliveto nel mediterraneo è avvenuta in epoca contemporanea e Italia e Spagna sono stati i paesi di maggiore produzione di olio di oliva nel mondo. Valga un dato per descrivere l’importanza dei due paesi nel contesto mondiale: durante il quinquennio 1903/07, agli inizi quindi del XX° secolo, l’Italia produceva 226.000 tonnellate di olio che equivaleva al 40% della produzione mondiale e la Spagna, secondo produttore, con 189.000 ne produceva il 34%.
Oggigiorno, insieme, questi due paesi producono il 63% della produzione mondiale, con l’Italia che produce il 18% dell’olio mondiale, mentre la Spagna il 45%. Pur tuttavia, i principali risultati della ricerca mostrano che Italia e Spagna hanno avuto specifiche e distinte evoluzioni.
Nel caso dell’oliveto italiano, si osserva un livello intensivo che possiamo definire impropriamente “industriale” già alla fine del secolo XVIII° e per gran parte del XIX° rispetto allo spagnolo, il quale si poteva considerare con una vocazione più “contadina”. L’oliveto italiano, infatti, dedicava una parte maggiore della sua produzione di olio per il mercato e l’esportazione. Alla fine del secolo XIX° poi, si ebbe un’inversione con l’Italia che risentì maggiormente della crisi di fine secolo rallentando la sua crescita e la sua produttività. In questo stesso periodo, la Spagna iniziò una vera e propria “età di oro” che le permise di superare l’Italia in quanto a superfici e produzioni, diventando paese produttore leader indiscusso. L’importante transizione tra Italia e Spagna, da un punto di vista commerciale e produttivo, si può riassumere in questi numeri: tra i quinquenni 1871/75 e 1901/05, quindi nell’ultimo quarto di XIX° secolo, in Italia le esportazioni di olio caddero da 70.400 tonnellate a 32.200, mentre in Spagna passarono da 23.500 a 43.400.
Il livello produttivo medio nel sud d’Italia a metà del secolo XVIII° (11,3 quintali/ettaro), era maggiore di quello del sud della Spagna (6,0 q./et.). Ipotizziamo quindi che in Italia, all’interno di una “economia organica” e in condizioni agro-climatiche simili, l’oliveto richiedeva un maggior livello di fertilizzazione o più in generale di input esterni, per soddisfare la sua vocazione “industriale”. Successivamente, agli albori dell’era pre-industriale tra il 1880 y 1930, registriamo una rilevante caduta della produttività in Terra d’Otranto pari al 25% (da 13,5 a 10,1 q./et.). La rivoluzione verde, infine, permise un esponenziale aumento delle rese agrarie le quali, in condizioni analoghe in quanto ad accesso a energie fossili tendono a convergere, raggiungendo una produzione pari a circa 34 q./et.. Nell’attualità, per ogni 10 olive prodotte nel mondo 1 arriva da una di queste due province del Mediterraneo.
Produzione di olive nell’oliveto specializzato. (Quintali / ettaro / anno).
L’aumento della quota di suolo dedicata alla coltivazione dell’olivo si comprende, da un lato per la grande domanda di olio che proveniva dall’estero dando luogo quindi a una spiegazione di tipo «monetarista» e dall’altro venne determinata dalla capacità di somministrare una molteplicità di beni fondamentali per le comunità e per il sostentamento familiare, spiegazione quest’ultima, legata alla “multifunzionalità” dell’oliveto.
La legna prodotta rappresentava la fonte più importante di approvvigionamento energetico. Le foglie dell’olivo erano un eccellente alimento per il bestiame; la sansa vergine si usava per fertilizzare, come combustibile, per alimentare il bestiame e, se trattata con solfuro, si usava per ricavarne una supplementare quota di olio; la sansa esausta mescolata con la melassa, era un ottimo alimento per cavalli e maiali; l’acqua di vegetazione si usava come fertilizzante e come disinfettante per le radici delle piante e per la produzione di alcol; e il residuo della “morchia” era utile per la fabbricazione del sapone.
Se consideriamo la legna prodotta con la potatura, secondo una recente stima (Colomba, 2013), intorno al 1870 in Terra d’Otranto, c’era una disponibilità teorica di 3,2 quintali di legna di olivo pro-capite/anno. Se si considera che in Italia la necessità di legna pro-capite/giorno era minore di 1 chilo (Malanima, 1995), stimiamo per il sud d’Italia, con temperature meno rigide, un fabbisogno pari a ca. 3 quintali pro-capite. Tutto ciò ci fa pensare che prima dell’arrivo dei combustibili fossili la legna d’olivo fosse indispensabile da un punto di vista energetico, giacché in Terra d’Otranto era molto scarsa la quota di terra forestale (appena il 16,5% dell’intero territorio provinciale al 1930).
Abbiamo analizzato le possibili cause della crisi produttiva di fine secolo XIX° da un punto di vista energetico e non solo commerciale, studiando le relazioni tra il maggiore livello produttivo verificatosi in Italia tradizionalmente e l’efficienza e quindi la sostenibilità dell’oliveto. Abbiamo stimato innanzitutto la quantità di energia applicata al suolo in epoche distinte. La variabile è stata contabilizzata in ore di lavoro (umano e animale) per ettaro. Per esempio, si è calcolato che intorno al 1750 in Terra d’Otranto si impiegavano, mediamente, 368 ore/ettaro/anno (equivalenti a 345 MJ) per lavorare la terra (questo lavoro spesso includeva anche il sovescio fatto a zappa) e occorrevano 27,6 ore per arare con una coppia di buoi. Inoltre, la raccolta manuale prevedeva un dispendio di 276,2 ore. Nell’attualità si dedicano, in media, appena 2,9 ore di lavoro umano per la gestione del suolo e 96 ore per la raccolta.
Abbiamo quindi calcolato l’indicatore di efficienza energetica, che rapporta output a input come descritto in metodologia.
Evoluzione storica dell’efficienza dell’oliveto. (ERoEI; Otput/Input).
La storia descrive una caduta continua di questo indicatore dal secolo XVIII° fino ai giorni nostri. Nel caso italiano è passato da 6,6 a 2,6 (efficienza più bassa) mentre nel caso spagnolo da 9,6 (efficienza più alta) a 3,1. Questo significa che la produzione, seppur in crescita, è aumentata a un ritmo inferiore rispetto agli input esterni, disegnando così un processo continuo di perdita di efficienza.
L’agro-ecosistema di Terra d’Otranto, necessitava tradizionalmente più energia di quello di Cordova, generando così uno svantaggio ecologico in ottica comparativa. Si entrò in una sorta di rendimento decrescente in prospettiva energetica, mentre nel caso di Cordova si aveva un oliveto al quale, aggiungendo poca energia addizionale si ottenevano maggiori ritorni. In Terra d’Otranto bisognava investire maggiori risorse per ottenere la stessa quantità di prodotto. Non fu solo, quindi, una mera questione di mercato e prezzi bassi del prodotto olio con conseguente abbandono di coltivazioni non più redditizie, ma un collasso socio-ecologico mediato da rendimenti decrescenti nel sistema produttivo energetico e di nutrienti.
Infine, la transizione descritta ha generato dei problemi all’agro-ecosistema oliveto che in estrema sintesi si possono descrivere così: caduta di efficienza energetica, recente incremento delle emissioni di CO2 e «sovra-fertilizzazione» di Azoto con la conseguente contaminazione da nitrato. Nell’attualità, infatti, nell’oliveto industrializzato si fertilizza con più N di quello che sarebbe necessario, creando un surplus stimato in circa 74 kg/et. di N nel caso di Terra d’Otranto mentre, al contrario, nel 1880 si stima un deficit di quasi 20 kg/et. Questa importante coltivazione che caratterizza così fortemente il paesaggio ha smesso di essere un serbatoio di carbonio, per diventare un problema per il cambiamento climatico.
Nota biografica
Colomba Gianpiero, vive attualmente nella città di Firenze e ha terminato un dottorato di ricerca presso l’Università “Pablo de Olavide” di Siviglia, il cui titolo è: “L’Europa, il mondo mediterraneo e la sua diffusione atlantica. Metodi e teorie per la ricerca storica”. Si è avvalso della direzione di tesi dei professori Manuel González de Molina e Juan Infante Amate.
Dall’inizio del 2011 fa parte del gruppo di lavoro del “Laboratorio di Storia degli Agroecosistemi” dell’Università UPO di Siviglia. Durante questi anni ha illustrato i principali risultati della sua ricerca in vari forum accademici (UGR, Granada 2012; UEX, Badajoz 2013; AHC, Madrid 2013; SISS, Firenze 2017), presentando lavori inerenti alla storia ambientale e al mondo rurale.Il 7 settembre 2017 ha raggiunto il punteggio massimo difendendo la Tesi dal titolo: “La transizione socio-ecologica dell’oliveto nel lungo periodo. Uno studio comparato tra il sud d’Italia e il sud della Spagna. (1750/2010)”. La ricerca descrive la storia della grande espansione dell’oliveto nel Mediterraneo negli ultimi due secoli e mezzo da una prospettiva socio-ecologica.Il contributo di questo lavoro è stato quello di stimare inediti dati riferiti alla storica provincia di Terra d’Otranto (Sud Italia), presentando i dati relativi all’utilizzo del suolo, alla produzione e alla sostenibilità agricola dell’uliveto, attraverso uno studio in cui sono presenti metodologie trans-disciplinari.
Indirizzo mail: gianpiero.colomba@gmail.com
[1] Il lavoro di ricerca che qui si riassume è una estrema sintesi di una tesi dottorale presentata presso l’Università “Pablo de Olavide” di Siviglia agli inizi di settembre del 2017 e descrive la storia della coltivazione dell’olivo nel mediterraneo nell’arco degli ultimi due secoli e mezzo, da una prospettiva socio-ecologica.
I dati statistici che si indicano, sono proprie stime le cui fonti primarie sono riportate nella bibliografia della tesi conservata presso gli archivi informatici dell’Università UPO di Siviglia e consultabile su http://www.upo.es/rio.