di Marcello Gaballo
Sempre il 28 dicembre prossimo (ore 19, presso il salone dell’ex Seminario, in piazza Pio XI, di fronte alla Cattedrale di Nardò), tra le opere “ritrovate”, dallo storico dell’arte Dott. Paolo Giuri saranno presentati al pubblico gli affreschi di gran pregio recuperati dalla Soprintendenza negli anni ’50 del secolo scorso e provenienti dalla chiesa domenicana del Rosario in Parabita, già esposti nella sede di rappresentanza della Regione Puglia nella Capitale.
Non sono note le vicende della predetta chiesa, annessa al convento di Santa Maria dell’Umiltà, che si ritiene fondato agli inizi del XV secolo, per poi essere soppresso con le leggi eversive agli inizi del XIX secolo, quando fu acquisito dal Comune, che poi lo destinò a sede dei Regi Carabinieri, del Giudicato e della Cancelleria Comunale[1].
Gli inevitabili rimaneggiamenti hanno snaturato il complesso, sino a cancellare l’originario impianto, che si sviluppava anche su un piano superiore, adibito a dormitorio della fraternità, con il coro “di notte”.
L’antica chiesa che ospitò gli affreschi fu invece ceduta negli anni 30 del Novecento alla parrocchia di San Giovanni Battista, che nel 1954 la riadattò parzialmente per attività ricreative, con danni irreparabili e distruzione dei diversi cicli di affreschi, di gran parte degli elementi architettonici, tra cui ben dieci altari, sedici cenotafi[2] ed un fonte battesimale lapideo, probabilmente realizzati verso la metà del ‘500, essendo barone e feudatario Pirro Granai Castriota[3].
La mancanza di adeguata descrizione dell’importante complesso in qualificate pubblicazioni e le scarse notizie documentarie finora reperite impediscono di cogliere le varie espressioni artistiche che erano senz’altro presenti nell’unico ambiente chiesastico, le cui vicende forse potrebbero essere chiarite da uno studio attento su quanto è sopravvissuto sino ai nostri giorni. Non resta traccia del suo soffitto ligneo a cassettoni, di cui si tramanda il solo ricordo, mentre avanzano la facciata con il caratteristico rosone e le sculture raffiguranti la Crocifissione e una Annunciazione.
Pur trattandosi di frammenti, tuttavia quelli che saranno ospitati nel museo sono ben identificabili in alcune delle figure rappresentate: la Madonna della Coltura, un S. Antonio abate e due santi vescovi, forse realizzati da differenti frescanti ed inseriti in più cicli di epoche diverse.
Di essi senz’altro merita maggiore attenzione quello della Vergine con il Figlio, se non altro per essere attualmente (e sin dal 1847) la Protettrice di Parabita (da compatrone che era insieme a San Sebastiano e San Giovanni Battista).
In attesa di conoscere le valutazioni del Dott. Giuri, non è peregrino ipotizzare per questa una datazione intorno alla metà del ‘400[4]. Di lì a poco, nel 1456, la nostra chiesa sembra costituisse una delle tappe da raggiungere prima di concludere il pellegrinaggio sino a Finibus Terrae disposto dal re di Napoli Alfonso d’Aragona, che “mandao certi penitentiali, vestiti di bianco per tutte le perdonancie fieni (fino) a Santa Maria de Leuche per applicare (sedare) l’ira di Dio”[5].
Il nostro affresco della Madonna della Coltura sembra esser la copia dell’omonima immagine del celebre monolito parabitano (oggi nel santuario), copia di quella Madonna del tipo dell’Eleousa rappresentata nella basilica orsiniana di S. Caterina in Galatina (1435-1445) e nella chiesa di Santo Stefano a Soleto[6].
[1] A. D’Antico (a cura di), Parabita. Memorie e sue antichità di Giuseppe Serino, Il Laboratorio, Alezio 1998, p. 33.
[2] O. Seclì, Parabita nel ‘700. Dinamiche storiche di un secolo, Il Laboratorio, Parabita 2002, p. 93.
[3] Cfr. O. Seclì, Note e documenti sul culto della Madonna della Cultura, Il Laboratorio, Parabita 1992, p. 4.
[4] O. Seclì, Note e documenti sul culto della Madonna della Cultura, cit., p. 19.
[5] A. De Bernart, Iconografia della Madonna della Cultura nella storia di Parabita, Galatina 1998, p.19.
[6] Idem, p.19; AA.VV., Il santuario della Coltura e l’Ordine dei Frati Predicatori, Bari 1982, p.125.
Sarei felice di confrontarmi con lei sulle vicende della (ex) chiesa del Rosario in Parabita e dell’attiguo (sempre ex) convento dei PP. Domenicani. Un sopralluogo sul posto potrebbero portarla ad aggiornare il suo articolo, anche in virtù ed alla luce dei recentissimi lavori di restauro e ripristino della fabbrica. A disposizione per qualsiasi chiarimento, la saluto cordialmente. Antonio Nicoletti