di Armando Polito
Tra le scienze l’etimologia è forse quella più aleatoria poiché la formazione delle parole ha seguito strade contorte, incappata in processi spesso incoerenti, in condizionamenti anche psicologici tutt’altro che facili da ricostruire senza il risschio di incorrere in ipotesi fantasiose sì, suggestive, per qualcuno perfino geniali, ma senza uno straccio di prova a conforto. C’è, poi, al suo interno un settore particolarmente complicato che è quello delle voci gergali e di quelle infantili. Le nostre di oggi appartengono a quest’ultimo gruppo e il lettore non prenda per oro colato quello che dirò e, soprattutto, non abbia paura, soprattutto se ha più anni dei miei che sono tanti ma non tantissimi, di esprimere il suo pensiero nella consapevolezza che qualsiasi suggerimento, anche sbagliato, talora è la scintilla che ci fa fare un passo, per quanto piccolo, se non verso il vero, almeno verso il provvisoriamente certo. A riprova di ciò non posso tacere che questo post probabilmente non sarebbe nato se il concittadino Ennio Giannuzzi non avesse posto il quesito su Facebook il 6 u. s. chiedendo anche, se l’avessi letto, il mio eventuale intervento. Il destino ha voluto che leggessi il suo post dopo pochi minuti dall’inserzione e mi è parso degno di un rilievo non semplicemente, con tutto il rispetto, facebookiano. Ecco perché per la risposta ho scelto questo blog che ormai da parecchio tempo costituisce la mia palestra quasi quotidiana, che, a differenza delle normali palestre (senza per questo demolire il mens sana in corpore sano), consente il proficuo allenamento della nostra parte più nobile, il cervello.
Mi auguro che, per quanto detto, questa pappardella iniziale non venga considerata un mettere le mani avanti o, peggio, il predicozzo di un insegnante in pensione un po’ o tanto o tutto rincoglionito.
Entro in argomento con una piccola premessa (niente paura, il giorno in cui dovessi candidarmi o accettare una candidatura sarebbe quello più triste della mia vita, perché significherebbe che il processo di rincoglionimento di cui sopra è arrivato al capolinea …): anche se probabilmente le parole create dai primi uomini erano di natura onomatopeica (riproducevano, cioè, i rumori sentiti in natura per significare concetti abbastanza vicini al rumore stesso o agli effetti del fenomeno che l’avevano generato), sarebbe semplicistico a mio avviso attribuire al linguaggio infantile sempre e comunque la stessa genesi di quello dell’umanità fanciulla, anche se l’acquisizione del linguaggio nel bambino è inizialmente di natura imitativa. Probabilmente il cervello di ognuno di noi non è alla nascita una tabula rasa, qualcosa di culturale forse è già impresso a livello genetico e costituisce il sostrato su cui s’innesterà l’apporto della famiglia prima e della scuola dopo. A tal proposito va ricordato che anche il sostrato più fertile è destinato a non dare frutti apprezzabili se i coltivatori (genitori prima ed insegnanti poi) sono poco o per niente all’altezza.
A questo punto, prima di essere mandato al diavolo insieme con il mio ispiratore, entro nel cuore dell’argomento e passo in rassegna le voci ricordate da Ennio proponendo per ognuna la mia riflessione etimologica.
CCICCI (carne) Chiara deformazione, con raddoppiamento della consonante iniziale tipica del nostro dialetto e accorciamento con l’eliminazione dell’ultimo fonema, dell’italiano CICCIA, che ha lo stesso etimo di SALSICCIA.che è da un latino *isicia, a sua volta dal classico insicia, neutro plurale di insicium che significa salsiccia o, in genere, carne insaccata. E proprio la parte finale di insicia rivela l’origine del dialettale salciccia, che probabilmente ha subito l’incrocio con sale. Ricordo che, sempre nel dialetto neretino, carne! è l’interiezione privilegiata per esprimere disappunto rispetto a qualcosa di spiacevole che ci viene prospettato. Quest’interiezione è stata da sempre considerata volgare perché rientra metaforicamente in quella categoria di parole che contengono riferimenti a quello che ci consente di esistere e che pure ancora consideriamo come qualcosa di peccaminoso, se non schifoso: il sesso. Insomma,per farla breve, il neretino carne! corrisponde esattamente all’italiano col cazzo!. Ora è vero che il dialetto è in disuso e che, quindi, è più probabile che un bambino di oggi apprenda dai genitori non CCICCI ma direttamente il nome commerciale dell’omogeneizzato firmato che la multinazionale di turno ha approntato (in attesa dei precotti e simili …) per lui nel vasetto dalla forma strana e con l’etichetta dai colori sgargianti che, a detta dello psicologo infantile ammanicato, stimolano tanto la sua intelligenza …
Tuttavia, se oggi dovesse capitarvi di sentire un bambino proferire CICCIA! (attenzione al tono, che è importantissimo!) dopo che gli è stato detto di non continuare a fare qualcosa che non ci aggrada (ma a lui sì …), non sta contestando, purtroppo, l’omogeneizzato firmato ma sta applicando la metafora di cui sopra. Occhio a quel bambino! Potrebbe essere un genio precoce …
A DDHÌ DDHÀ. (a passeggio, fuori) Semplice traduzione in dialetto, con aggiunta della preposizione a, dell’italiano LÌ LÀ.
AN GALÈ (sulle spalle) Anche qui traduzione in dialetto dell’italiano IN CALESSE, con soppressione della sillaba finale e sostituzione della preposizione in con an (che è da a+in) Non so quanti padri di oggi sarebbero disposti a fungere da calesse e dubito che il nonno esiliato in un ospizio abbia la voglia di farlo in occasione di una delle rare visite del nipotino, ammesso che la presenza dell’artrite o dell’artrosi glielo consenta, nonostante certe pillole facciano miracoli per almeno dodici ore (almeno così assicura la multinazionale che la produce) …
NGONGA (atto del far saltellare il bambino sulle ginocchia). Se degli etimi precedenti sono sicuro, questo va accettato con beneficio d’inventario. Potrebbe essere trascrizione dell’italiano SUL GINOCCHIO (con sostituzione della preposizione articolata sul con in, per cui la n iniziale di ngonga sarebbe ciò che rimane di an (lo stesso visto in an galè). Per questo mi pare che la scrittura più corretta sarebbe (A)N GONGA. Ne approfitto per dire che ginocchio è dal latino genùculum, variante di genìculum, a sua volta diminutivo di genu, che è dal greco γόνυ )leggi gòniu).
PEPÈ (dolcetto) L’ho lasciato per ultimo, ma non mi vergogno di confessare che le cartucce erano esaurite da tempo, nel senso che fin dall’inizio è stato l’unico a crearmi difficoltà, tant’è che, essendoci ritornato più volte, non son riuscito a cavare il ragno dal buco, cioè la pepè dall’involucro che la nasconde. Non mi convince nemmeno ciò a cui per la disperazione ho pensato, che, cioè, fosse deformazione del napoletano babà (che è, tal quale, dal francese).
Altro che pepè! Chiudo con l’amaro in bocca e, in attesa che qualcuno ci sveli l’arcano, mi permetto di aggiungere alle voci ricordate da Ennio ‘MBRU ‘MBRU o ‘MBRUÈ (acqua, bere). Credo che questa sì sia voce di origine in qualche modo onomatopeica, anche se la deformazione professionale mi costringerebbe a prendere in considerazione il latino imbre(m), accusativo di imber=pioggia o il greco βροχή (leggi brochè) che ha lo stesso significato o il francese boire=bere (dal latino bìbere) deformato nella sua pronuncia (buàr). Se è così, la grafia più esatta sarebbe ‘MBRU ‘MRU (se da imbrem per aferesi di i-, se dalle altre sempre per aferesi di i- appartenente alla preeposizione in che vi è stata aggiunta).
E con questa annotazione indegnamente poliglotta, anzi politoglotta …, saluto chi mi ha fin qui seguito.
Però, caro Armando, dovresti darci un riferimento alla contrada “Ngonga” che si trova a Nardò, mi pare in direzione Copertino-Leverano.
Se stesse al “ginocchio” che hai riportato, mi viene in mente solo una angolazione del percorso del torrente Asso in quel punto. Non dispongo dell’idrografia del nostro territorio per valutare se corrisponda o meno a tale ipotesi, ma non mi pare da scartare
mi pare manchino pure “la popò”, l’automobile; “la puppù”, cacca; “li pizzicandilli”, i pizzicotti sulle guance dei piccoli
Per quanto riguarda “Ngonga” del precedente commento (se non ricordo male tempo fa ipotizzai che fosse deformazione di “conca”) possiamo solo contare su qualche anima pia in possesso dell’idrografia (che la rima sia di buon auspicio, ma ci credo poco …) per rendere concretamente plausibile l’una ipotesi o l’altra o entrambe.
Passo alle altre voci. “popò” e l”ppuppù” sono di origine onomatopeica (imitazione del rumore del clacson e raddoppiamento di quello dello sputo, il raddoppiamento iniziale (a differenza di “popò”) infatti è di natura espressiva, amplificazione del disgusto. Quanto a “pizzicandilli” si direbbe in prima battuta trascrizione dell’italiano “pizzichiamone essi”, ma mi sarei aspettato non “pizzicandilli” ma “pizzicandigghi”; per questo credo che la sillaba “-ca-” funga da cerniera tra “pizzica” e “*candilli” (ritorno al primitivo del diminutivo “candillini” (piccoli confetti con all’interno un filo di cannella) che, quando di color rosa, evocherebbero le gote.
Chiedo scusa per lo stillicidio,ma mi è venuto in mente proprio ora: “pepè” potrebbe essere accorciamento, con sopravvivenza della sillaba tonica e suo raddoppiamento, di “cupeta”.
Scisci?
che starebbe per?
Per “vestito”. Anche qui si direbbe originato dal raddoppiamento di “sci” ma, secondo me, l’accento sulla prima sillaba lo differenzierebbe da “popò”, “ppuppù” e “pepè”. Dal francese “chic”?
Dallo spagnolo, la parola “salchicha”. La traduzione di google, e la fonetica è proprio “salciccia”.
Ora mi chiedo: può essere una delle tante parole entrate nel nostro dialetto durante gli anni di influenza spagnola?
Anche la parola spagnola “chaqueta”, che si legge “giacheta”, è simile al corrispondente dialettale “giacchetta”, che sta per giacca.
oppure “huevo”, uovo in italiano, “ueo la voce dialettale.
Può essere?
Tutto in teoria può essere, soprattutto quando sono implicate, come nei casi da lei proposti, due lingue, l’italiano e e lo spagnolo entrambe derivanti dal latino. Passo, però, in pratica, ad esaminare una parola per volta:
SALCICCIA L’italiano “salsiccia” è dal latino tardo “salsìcia”, neutro plurale con valore collettivo di “salsìcium”, incrocio di “salsus” (=salato) e “insicia” (=polpetta). Nel latino medioevale sono attestati “salciccia” e “salcitiae”; direi che dalla prima derivano tanto la voce spagnola quanto “salciccia” (per quest’ultima,poi, non escluderei un ulteriore inconsapevole incrocio con “ciccia”.
GIACCHETTA Premesso che “giacca” è dal francese antico “jaque”, a aua volta da “Jacques” (=Giacomo), nome proprio poi passato al significato di “contadino”, perché indossava tale indumento, “giacchetta” mi pare, senza scomodare lo spagnolo, normale formazione diminutiva (come in “cacca”>”cacchetta”).
UEU “uovo” è dal latino “ovum”. In “ueu”, è normale la caduta di -v- intervocalico e l’esito di o- in ue- (che avviene anche in parole che non hanno corrispondente spagnolo (longus>lungo>luengu).
Mi pare di poter concludere dicendo che in nessuno dei casi prospettati sia ipotizzabile l’intermediario spagnolo.