di Armando Polito
Una delle via più lunghe ed importanti di Mesagne è intitolata a Luca Antonio Resta. L’omonimia è sempre in agguato e il trascorrere inesorabile del tempo rende sempre più complicato evitare equivoci, soprattutto quando sono coinvolti personaggi del passato sì, ma cronologicamente non così distanti l’uno dall’altro. E la situazione si complica ulteriormente se si pensa al vezzo, molto diffuso, direi comunemente usuale e quasi obbligato, in passato di dare al neonato lo stesso nome del nonno o, addirittura, del padre. Intanto, però, una prima possibilità di equivoco va eliminata per chi non abbia notato l’iniziale maiuscola di Affumicato, il che esclude qualsiasi amore o, perché no?, odio del vescovo per un particolare tipo di salame o di formaggio. …
Probabilmente a Mesagne i Luca Antonio Resta succedutisi nel tempo sono stati una miriade, ma due di loro si distinsero a tal punto che la memoria del loro nome non rimase nascosta tra le pieghe di atti notarili o di registri di nascita e di morte. Sotto questo punto di vista, poi, Mesagne appare più favorita rispetto ad altre realtà territoriali. perché un suo figlio illustre, Epifanio Ferdinando junior1, scrisse l’opera genealogica Delle famiglie mesagnesi in quattro volumi. Il manoscritto, di proprietà della famiglia Cavaliere di Mesagne, costituisce un’autentica miniera per gli studiosi di storia locale. Non ho avuto il privilegio di averne tra le mani neppure una, sia pur parziale, riproduzione digitale e, quindi , non posso andare al di là dell’affermazione generica che sicuramente i due Luca Antonio erano parenti.
Posso, invece, sfruttando altre fonti, collocarli cronologicamente. Comincio dal più anziano, prima arciprete della Collegiata di Mesagne e poi, dal 1565, vescovo di Castro, dal 1578 di Nicotera e dal 1582 fino alla morte, avvenuta nel 1597, di Andria. Al periodo andriese risalgono le opere che di lui ci restano. La prima è Constitutiones editae in diocesana synodo andriensi, Desa, Copertino, 1584
Da notare nel frontespizio lo stemma vescovile del quale dirò tra poco.
Fu autore inoltre di Directorium visitatorum, ac visitandorum cum praxi, et formula generalis visitationis omnium, & quaruncumque ecclesiarum monasteriorum, regularium, monialium, piorum locorum, & personarum, Facciotti, Roma, 1593.2
Di seguito il frontespizio recante lo stemma degli Aldobrandini, essendo l’opera dedicata al papa Clemente VIII, al secolo Ippolito Aldobrandini (1536-1605).
Al testo dell’imprimatur concesso dal papa e sottoscritto da Vestrius Barbianus segue l’immagine di Luca Antonio, che deve riferirsi, giocoforza, al periodo andriese, cui, d’altra parte, fanno esplicito riferimento il frontespizio e l’imprimatur.
L’immagine precedente ricalca nel dettaglio dello stemma) quella di una lastra collocata nell’episcopio di Andria (di seguito nella foto di S. De Tommaso tratta da http://www.andriarte.it/ChiesaMonache/documenti/Monastero-OrdinationiEtCostitutioni_LAResta1593.html), commemorativa della ricostruzione fatta dal vescovo nel 1582 (anche se sulla lastra si legge, incredibilmente, 1532) del vecchio monastero delle suore benedettine.
LUCAS ANT(ONIUS) )RESTA/MESSAPIEN(SIS) DEC(ANUS) DOCT(OR)/EP(ISCOP)US ANDRIEN(SIS) A fUNDA(MENTIS) EREXIT/1532 (Luca Antonio Resta dottore decano di Mesagne, vescovo di Andria eresse dalle fondamenta 1532
Nello scudo qui compare il motto CHARITAS, mentre nella stampa si legge CARITAS. E qui s’innesca una polemica antica che già vide contrapposti, pressoché contemporaneamente, due pezzi grossi dell’epoca: il Vico e il Muratori. Il primo nel De constantia philologiae usa charitas in unione a patriae (amor di patria) e nel De constantia philosophiae per la ben nota virtù teologale. In una nota del De uno universi iuris principio et fine uni usa la locuzione caritas sapientis (la manchevolezza del sapiente) e ancora nel De constantia philologiae usa frugis caritas (la mancanza del raccolto); in entrambi i casi è evidente come caritas sia connesso con il verbo carere=mancare3 e come i precedenti charitas vengano connessi con il greco χάρις (leggi charis)=benevolenza.
Contro l’opinione del Vico vi è Il Caritas del suo contemporaneo Ludovico Antonio Muratori ricorrente nelle citazioni in latino presenti in Della carità cristiana, Soliani, Modena, 1723. Proprio nella prefazione ai lettori il Muratori giustifica la sua scelta e ribadisce la derivazione dal latino carus, essendo la a di caritas lunga, mentre quella del greco χάρις è breve.
Le ragioni addotte dal Muratori mi appaiono filologicamente ineccepibili e, oltretutto, il passaggio carus>caritas è di una linearità esemplare, associandosi nella tecnica di formazione a fecundus>fecunditas, humilis>humilitas, etc. etc. Altrettanto non si può dire di χάρις>charitas perché, essendo χαριτ– il tema di χάρις (che deriva da *χάριτς con normalissima caduta della dentale davanti al sigma), pure in latino avremmo dovuto avere non charitas ma charis (da *charits), come miles è da *milits.
Non è da escludere, come ipotizzava il Muratori, che la possibilità di equivoco tra caritas=mancanza (deverbale da carere) e caritas=benevolenza (deaggettivale da carus) abbia indotto all’aggiunta di h nel secondo per una sorta d’influsso paretimologico di χάρις.
Questa epentesi di h sembrerebbe abbastanza datata e nel glossario del Du Cange mi appare sintomatico che al lemma CHARITAS si rinvii a CARITAS, assunto, dunque, come principale). Mi pare particolarmente interessante CARITAS 5, che riporto in formato immagine con la mia tradizione a fronte.
Quanto riportato rende plausibile credere che la confusione, prima concettuale (carità diventa, addirittura il corrispettivo di un donativo con paradossale inversione delle parti: i monaci danno, non ricevono la carità) e poi grafica, risalga all’epoca medioevale. in cui dev’essersi sviluppata in ambienti non molto i acculturati l’epentesi paretimologica di cui ho detto. D’altra parte il processo inverso ha coinvolto charta, che è dal greco χάρτης (leggi chartes) con innumerevoli attestazioni medioevali di carta.
Questa volta, perciò, non condivido le argomentazioni dell’amico professor Federico La Sala, che pure sento il dovere di citare rinviando il lettore al link http://www.ildialogo.org/filosofia/interventi_1360186035.htm.
Infine c’è da notare che tutti i vocabolari, nessuno escluso4, nonché gli studi etimologici, continuano imperterriti a recare il lemma carità derivato da carus.
Tornando alla pubblicazione del nostro, lo stemma che campeggia in alto a sinistra nel ritratto risulta replicato all’inizio della seconda parte. Nello scudo si notano nell’ordine: una croce maltes5, una stella a otto punte ed un’armatura, oltre al CHARITAS di cui si è estesamente detto.
Il Directorium visitatorum … ebbe un’edizione postuma per gli stessi tipi e col titolo Praxis visitatorum ac visitandorum … nel 1599.
Passo ora all’altro Luca Antonio, all’Affumicato. Riprendendo quanto detto all’inizio sull’iniziale maiuscola e per non rendere troppo seriosa la trattazione, dico che non si hanno notizie di sue malattie curate coi suffumigi e tanto meno di morte dovuta ad intossicazione da fumo di tabacco o sviluppato da qualche incendio. Affumicato è semplicemente perché faceva parte dell’accademia mesagnese degli Affumicati, riconosciuta ufficialmente nel 1671 ma nata certamente prima di tale data.6
Sull’accademia uscirà a breve un post più corposo; di questo anticipo qui ciò che riguarda il nostro dicendo anzitutto che sull’accademia ben poco sapremmo senza le notizie lasciateci da Antonio Mavaro (1725-1812), giurista e storico locale mesagnese, in un manoscritto (ms. M/4) custodIto nella Biblioteca pubblica arcivescovile Annibale De Leo a Brindisi. Lì il Mavaro, fra l’altro, riporta l’elenco dei 19 soci, dei quali riproduce, da un manoscritto più antico in suo possesso secondo quanto dichiara, anche l’emblema, il motto e lo pseudonimo assunto dal socio in seno all’accademia, non mancando di fornire la sua interpretazione di questi tre dati.
Ecco quanto si riferisce al nostro (dettaglio tratto dalla carta 336r) che nell’elenco compare al n. XIV:
Apprendiamo, così, che il nostro era detto Il tormentato e che il suo motto era Purgatur non comburitur (Viene purificato, non bruciato). Quanto all’emblema il Mavaro a carta 341v così si esprime.
XIV Siegue il Tormentato, col motto Purgatur, non comburitur. Ciocché nel di lui emblema si vede, abbenché non sia con chiarezza espressato, potrebbe riferirsi all’oro, ò qualche altro metallo simile, che nel crogiuolo si purifica, ma non s’abbrugia).
La conferma dell’interpretazione data dal Mavaro dell’emblema viene dal fatto che il concetto e i vocaboli fondamentali della relativa locuzione erano ben radicati nella cultura del XVII secolo. Un esempio per tutti in Elogium de laudibus, et prerogativis sacrorum liliorum in stemmate Regis Gallorum existentium, Apud Stephanum Colineum, Parisiis, 1608, p. 126: Et iterum aurum in igne positum non comburitur, sed probatur, et purgatur (E d’altra parte l’oro posto sul fuoco non viene bruciato ma viene temprato e viene purificato).
Molto probabilmente, a sua volta è lo sviluppo dell’in fornace ardet palea et purgatur aurum (Nella fornace la paglia viene bruciata, l’oro viene purificato) di Agostino nel suo commento al Salmo 61.
Per dovere di completezza debbo aggiungere che nell’elenco del Mavaro compare un altro rappresentante della famiglia Resta e precisamente al n. XII Francesco detto L’inabile, con il motto Ad fabrilia ineptus (Non adatto a lavori manuali) e per emblema un pezzo di legno inservibile posto sul fuoco.
Ecco quanto al proposito scrive il Mavaro a carta 340r.
(XII L’inabile col motto Ad fabrilia ineptus. Viene nell’emblema espressato un pezzo di legno, posto ak fuoco, volendosi collo stesso significare essere quello inservibile all’Artefice. L’Accademico, che volle dirsi L’inabile, volle per effetto di sua umiltà far presente all’assemblea,ed à quei dotti Accademici che la componeano, che sebbene in quella fosse stato annoverato, pure inabile egli riputavasi à poter produrre colle sue forze cosa di buono.)
Giunto a questo punto, rischio di sbagliare se dico che il Luca Antonio della via è il vescovo (del quale ci resta una pubblicazione e pure il ritratto) e non l’Affumicato, del quale, senza il Mavaro, nulla ci sarebbe pervenuto?
Su segnalazione di Vincenzo Zito (vedi in calce il relativo commento) aggiungo il frontespizio dell’opera non citata, nonché una tavola che all’interno si ripete due volte.
Nell’ovale DEXTRA SECUNDET URBEM QUAM LAEVA SUFFULCIT (La destra favorisca la città che la destra siostiene) e nel cartiglio interno S, RICCARDUS EP(ISCOP)US ANDRIENSIS (S. Riccardo vescovo di Andria)
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1 Per restare nel tema dell’omonimia …, era figlio del medico Diego e nipote di Epifanio, il più famoso dei Ferdinando.
2 Mi sono limitato a riportare i dati essenziali, quelli che, conosciuti, sanciscono, piaccia o no, lo spessore storico di qualsiasi personaggio. Per altri dettagli secondari rinvio a Giovanni Bernardino Tafuri, Istoria degli scrittori nati nel Regno di Napoli, tomo III, parte IV, Severini, Napoli, 1755, pp. 82-84.
3 Cfr. Livio, Ab Urbe condita libri, II, 12: Obsidio erat nihilominus et frumenti cum summa caritate inopia (C’era non di meno l’assedio e disagio con l’estrema mancanza di frumento). Ne approfitto per ricordare che connesso con carere è pure l’aggettivo carus=caro (in base ad un’elementare regola psicologica ci è più caro ciò che ci manca e in base all’altrettanto elementare principio economico del rapporto inverso tra offerta e domanda, per cui il prezzo è più caro quando il bene non è molto richiesto.
4 C’è da dire, però, che ne conosco uno, illustre, che nel tempo se n’è lavato le mani. È quello della Crusca che nella prima e seconda edizione (1612 e 1623) fa derivare carità da charitas, nella terza (1691) si limita a citare come sinonimo il greco ἀγάπη (leggi agape) in cui l’assenza di coincidenze fonetiche con il presunto charitas e con χάρις la rileverebbe il più superficiale dei lettori. Il lavaggio si completa con la quarta e con la quinta edizione (1729-1738 e 1863-1923) nelle quali non c’è ombra di proposta etimologica.
5 Allusiva, insieme con la stella ad otto punte, alle benemerenze acquisite nella difesa della cristianità da qualche antenato. Leggo in Mario Vinci, Lucantonio Resta, in I Mesagnesi, a cura di Marcello Ignone, Tipografia Neografica, Mesagne, 1998, p. 131: La sua famiglia, originaria dalla Dalmazia, si stabilì dapprima a Ragusa (dove troviamo il ramo dei Resta di Ragusa) e successivamente alcuni di loro si trasferirono in Mesagne nei primi del 1500 con Mariano Resta. Mariano de Resta arriva in Mesagne nella II metà del XV sec. al seguito di Castriota Scanderbeg).
6 In Pietro Marti, Movimento intellettuale nel Salento, nel secolo XVII, in Fede: rivista quindicinale d’Arte e di Cultura, anno III, n. 5 (15 marzo 1925) in nota a p. 69 si legge che sorse il 1638, per opera di Giovan Matteo Epifanio, che ne fu più volte Principe.
DUE CRISTIANESIMI: COSA RESTA?! IL CRISTIANESIMO DEL “DEUS CHARITAS EST” O IL CATTOLICESIMO COSTANTINIANO DEL “DEUS CARITAS EST”?! O nessuno dei due?!
*** “Solo la carità cristiana insegna la prassi del Bene metafisico: Boni metaphysici praxim una CHARITAS christiana docet” (G.B. VICO, De constantia iurisprudentis, 1721). ***
INNANZITUTTO UN GRAN PLAUSO al prof . Armando Polito per il coraggioso intervento chiarificatorio sul tema e, al contempo, un modesto invito a riconsiderare i termini di una questione filologica e teologica di rilevantisima portata che ha il suo luogo di riferimento innanzitutto nei testi dell’evangelista Giovanni e poi nel famoso “INNO ALLA CARITÀ” di Paolo di Tarso, il romano persecutore dei cristiani (cfr.: MEMORIA FILOLOGICA E TEOLOGICA. GESU’, IL FIGLIO DELLA GRAZIA EVANGELICA (“CHARITAS”) O IL “TESORO” DI “MAMMONA” (“CARITAS”) E DI “MAMMASANTISSIMA” DEI FARAONI ?!!: http://www.lavocedifiore.org/SPIP/article.php3?id_article=4492)
Come sappiamo da sempre, non si possono servire “due padroni”, la Verità e la Menzogna contemporaneamente, “Dio Amore” e Dio Mammona” nello stesso tempo!!! Ciò che è in gioco è la questione delle questioni, quella stessa dell “ragione” e della “fede” unitamente, a tutti i livelli.
“CHARITAS” o “CARITAS”? COSA RESTA?!
MURATORI, BENEDETTO XVI, E “UNO SPROPOSITO MAIUSCOLO”: LA LEZIONE DI VICO. Un breve testo dalla “Prefazione ai lettori” del “Trattato sulla carità cristiana” di Ludovico A. Muratori (cfr: http://www.lavocedifiore.org/SPIP/article.php3?id_article=5617).
MURATORI E RATZINGER: “DEUS CARITAS EST”!!! FINE DEL CRISTIANESIMO: TOLTA AL PESCE (“I.CH.TH.U.S.”) L’ ACCA (“H”), IL COLPO (“ICTUS”) E’ DEFINITIVO!!!
SE UN PAPA TEOLOGO SCRIVE LA SUA PRIMA ENCICLICA, TITOLANDOLA “DEUS CARITAS EST” (“CHARITAS”, SENZA “H”), E’ ORA CHE TORNI A CASA, DA “MARIA E GIUSEPPE”, PER IMPARARE UN PO’ DI CRISTIANESIMO (cfr. http://www.lavocedifiore.org/SPIP/article.php3?id_article=4089); E, INFINE CERCHI DI SAPERE “CHI” SIAMO NOI IN REALTÀ (cfr. http://www.lavocedifiore.org/SPIP/article.php3?id_article=4198).
Federico La Sala
Un altro esemplare dello stemma gentilizio dei Resta, dipinto su una tela che si trova nella chiesa di Casa Resta e Francavilla Fontana: https://s1.postimg.org/1c5ozs55bj/2017-08-04-_PHOTO-00000117.jpg
CHA = CHARITAS: FRANCESCO DI PAOLA (1416-1507)
MEMORIA EVANGELICA (CRISTICA E CRITICA):DA TREVISO E DALLA CALABRIA, SAN FRANCESCO DI PAOLA “RICORDA” ANCORA LA PAROLA-CHIAVE DELLA SUA VITA E DEL SUO ORDINE. Una scheda di lettura del dipinto del fiammingo Lodewijk Toeput (Ludovico Pozzoserrato)
– (…) la figura del Santo, rappresentato come un vecchio in abiti francescani, è contornato da dieci scene che raffigurano altrettanti fatti prodigiosi a lui attribuiti. Nella mano tiene un bastone al quale si appoggia pesantemente, sormontato da quello che diverrà il suo motto CHA: charitas. (…): http://www.lavocedifiore.org/SPIP/article.php3?id_article=5304.
Federico La Sala
Alle due pubblicazioni citate occorre aggiungere l’ “Officium Sancti Richardi primi episcopi andriensis e patroni” pubblicato da Resta nel 1586.
La ringrazio della segnalazione. Ho già provveduto ad aggiornare il post.