di Marcello Semeraro
Ripropongo in questa sede la versione integrale del mio saggio sull’iconografia araldica dei Carmelitani Calzati di Nardò, apparso sul volume Decor Carmeli. Il convento, la chiesa e la confraternita del Carmine di Nardò, a cura di Marcello Gaballo (Mario Congedo editore, Galatina 2017, pp. 259-264).
ARALDICA CARMELITANA A NARDÒ
LO STEMMA CARMELITANO: ORIGINE E SVILUPPI
L’uso degli stemmi da parte dei membri della Chiesa risale alla prima metà del Duecento, un secolo dopo la comparsa delle prime armi in ambito militare e cavalleresco. Questo ritardo si spiega facilmente se si considera che il sistema araldico primitivo si elaborò interamente al di fuori dell’influenza di Roma, la quale in un primo momento si dimostrò refrattaria all’utilizzo di emblemi profani legati a guerre e tornei. Fu solo col prevalere di un più generico significato di distinzione sociale che l’uso degli stemmi troverà piena giustificazione negli ambienti ecclesiastici, soprattutto per via della sua utilità nei sigilli[1]. L’iniziale avversione della Chiesa nei confronti delle armi cadde quindi nel momento in cui esse persero il loro carattere esclusivamente militare, diffondendosi, tra il XIII e il XIV secolo, a tutte le classi e le categorie sociali. I vescovi furono i primi a fare uso di stemmi (ca. 1220-1230), seguiti dai canonici e dai chierici secolari (ca. 1260), dagli abati e, verso la fine del Duecento, dai cardinali[2]. Quanto ai papi, il primo a utilizzare uno stemma fu Niccolò III (1277-1280), ma è con Bonifacio VIII (1294-1303) che tale uso divenne sistematico[3]. Le comunità ecclesiastiche fecero lo stesso a partire dal XIV secolo: ordini religiosi, abbazie, priorati, conventi e case religiose faranno via via un uso sempre maggiore di emblemi araldici, con le dovute differenze, a seconda del particolare ordine e delle regioni di appartenenza[4]. Anche i Carmelitani si dotarono di proprie insegne araldiche, tuttora innalzate dagli appartenenti a due distinti ordini religiosi: i Carmelitani dell’antica osservanza (o Calzati) e i Carmelitani Scalzi (o Teresiani) (figg. 1 e 2).
Sulle origini dell’arma carmelitana non si hanno riferimenti cronologici certi. Quel che sappiamo è che l’insegna vanta una lunga storia, attestata sin dalla prima metà del XV secolo[5]. In origine i frati portarono uno scudo “di tanè, cappato di bianco (d’argento)”[6], composizione che rappresenta l’araldizzazione dell’abito carmelitano, formato dalla cappa bianca aperta sull’abito di colore tanè (marrone rossiccio)[7]. Questo fenomeno di araldizzazione dell’abito si ritrova, del resto, anche nello stemma innalzato dall’Ordine dei Frati Predicatori (Domenicani), nel quale però il cappato rappresenta la cappa nera aperta sull’abito bianco[8]. Il più antico esemplare a noi noto di stemma carmelitano si trova su un sigillo ogivale usato intorno al 1430 dal Capitolo Generale dell’Ordine (fig. 3).
Il campo mostra la Vergine in trono – un tipo assai ricorrente nella sfragistica carmelitana, che perdurerà fino al XVIII secolo – dentro un edicola tardo-gotica e in basso un frate genuflesso, affiancato da due scudi: quello dell’Ordine, accollato a un pastorale posto in palo, e quello di famiglia[9]; attorno la legenda SIGILLUM COMMUNE CAPITULI GENERALIS CARMELITARUM. Un altro sigillo ogivale, datato 1478 e pubblicato dal Bascapè, ha il campo suddiviso in tre piani: in alto un sole raggiante, al centro l’Annunciazione, in basso un frate affiancato da due scudetti cappati dell’Ordine[10]. Nel corso dei tempo, tuttavia, questa forma grafica primitiva conobbe numerosi sviluppi e varianti, in linea con una tendenza riscontrabile anche in altri stemmi di ordini religiosi. Lo studio delle testimonianze araldiche dimostra che l’evoluzione dell’insegna carmelitana può essere fatta risalre al XVI secolo. Sul frontespizio del Jardín espiritual di Pedro de Padilla, pubblicato a Madrid nel 1585, si trova inciso uno scudo cappato che reca per la prima volta, nelle due metà del campo, tre stelle dell’uno nell’altro[11], figure allusive alla Vergine Maria e ai profeti Elia ed Eliseo (fig. 4).
Lo scudo è timbrato da una corona, formata da un cerchio rialzato da tre fioroni e da sei perle poste a trifoglio e diademato da un arco di dodici stelle: chiaro riferimento alla corona della “donna vestita di sole” di biblica memoria (cfr. Ap 12, 1). L’uso di questo tipo di corona quale timbro dello scudo è documentato già alcuni anni prima, come si vede nell’incisione presente sul frontespizio delle Costituzioni del 1573[12].
Nel 1595 furono pubblicati i decreti per i Carmelitani di Spagna e Portogallo, dove si trova inciso uno scudo ovale[13], timbrato da una corona con cinque fioroni alternati a quattro perle, dalla quale esce come cimiero un braccio sinistro impugnante una spada fiammeggiante; sopra, un cartiglio svolazzante reca il motto Zelo zelatus sum pro Domino Deo exercituum (“Ardo di zelo per il Signore Dio degli eserciti”) (fig. 5).
La spada e il motto alludono, chiaramente, al profeta Elia (cfr. 1Re 19, 10). Nei secoli seguenti, questa rappresentazione completa dell’arma carmelitana, costituita dallo scudo e dalle sue ornamentazioni esterne, godette, pur tra varianti, di una certa fortuna. La riforma dell’Ordine, avvenuta nella seconda metà del Cinquecento per opera di Santa Teresa d’Ávila e di San Giovanni della Croce, ebbe conseguenze anche dal punto di vista araldico.
I Carmelitani Scalzi, infatti, si differenziarono dai Calzati aggiungendo una crocetta[14] sulla sommità del triangolo, probabilmente per “denotare la vita più penitente che essi menano osservando la primitiva regola”[15]. Ne troviamo un esempio antico sul frontespizio dei Privilegia Sacrae Congregationis Fratrum Regulam primitivam Ordinis B. Mariae de Monte Carmeli profitentium, qui Discalceati nuncupantur, opera edita a Madrid nel 1591 (fig. 6).
Come si vede nell’illustrazione, la modifica operata dagli Scalzi, una sorta di brisura[16] araldica nel senso lato del termine, riguardò solo il contenuto dello scudo, lasciando inalterate le ornamentazioni esterne, vale a dire la corona nimbata, il cimiero e il motto eliani. A poco a poco il triangolo della partizione prese la forma di un monte stilizzato, probabilmente per effetto di una diversa interpretazione attribuita al cappato, considerato come rappresentazione simbolica del biblico Monte Carmelo – al quale le origini dell’Ordine sono ricondotte – piuttosto che come araldizzazione dell’abito religioso.
Una forma particolare di stemma fu poi quella adottata in epoca moderna dalla Congregazione Mantovana, dal Camine Maggiore di Napoli e, più in generale, dai Calzati delle Province del Sud Italia, che si caratterizza per l’aggiunta, nella metà inferiore del campo, di un ramo di palma e di giglio – attributi iconografici di S. Angelo di Sicilia e S. Alberto di Trapani, i primi due canonizzati dell’Ordine – spesso infilati in una corona e talora uscenti da un monte di tre cime all’italiana[17] (figg. 7, 8)[18].
Le varianti a cui andò incontro l’insegna nel corso del tempo furono molteplici e riguardarono sia il contenuto dello scudo che le sue ornamentazioni esterne[19]. La corona, ad esempio, non compare in tutti gli stemmi e non sempre da essa esce il braccio d’Elia impugnante la spada. Anche il motto Zelo zelatus sum pro Domino Deo exercituum non è di uso costante. Gli smalti della metà inferiore del campo sono il tanè o il nero, ma vi sono casi eccezionali in cui esso è d’azzurro. Nel Settecento, al posto del cimiero col braccio di Elia, apparve sporadicamente un monogramma mariano dentro un sole raggiante. In linea generale si può sostenere che lo sviluppo grafico dello stemma è stato vario, condizionato, da una parte, dall’aggiunta di figure allusive alle origini e ai santi patroni dell’Ordine, e, dall’altra, da altri fattori propri della creazione artistica, quali il capriccio degli esecutori o il gusto del tempo.
L’arma carmelitana può anche comparire come quarto di religione all’interno dello scudo, dov’è associata, mediante una partizione (soprattutto il partito), all’arma (personale o familiare) dell’ecclesiastico proveniente da tale Ordine (fig. 9).
L’uso del partito, in particolare, è documentato sin dal XVII secolo negli stemmi dei priori generali e dei Carmelitani divenuti cardinali o vescovi. Talora, l’insegna dell’Ordine è posta su uno scudetto, come si vede nello stemma del cardinale Joaquín Lluch y Garriga (†1882, O.C.D.) e in altri esempi[20]. Le suore del Secondo Ordine carmelitano, infine, portano le medesime insegne dei rispettivi ordini maschili[21].
GLI STEMMI DEI CARMELITANI CALZATI DI NARDÒ
L’arrivo dei Carmelitani dell’antica osservanza a Nardò risale al 1568, come già trattato da diversi autori in questo lavoro. Dai documenti d’archivio risulta, infatti, che in quell’anno ai frati, rappresentati da Crisostomo Romano di Mesagne, con il beneplacito del vescovo Giovan Battista Acquaviva d’Aragona e del duca Giovan Bernardino II Acquaviva, fu assegnata provvisoriamente la chiesa dell’Annunziata, dimorando in un primitivo e ridotto insediamento che avrebbero ampliato negli anni seguenti. Alla fine del XVI secolo è databile l’esemplare araldico più antico giunto fino a noi, scolpito sulla facciata dell’ex convento (fig. 10).
All’interno di uno scudo appuntato, col lato superiore sagomato a due punte, è rappresentato un monte[22] stilizzato e acuminato, accompagnato, nel cantone destro del capo, da una cometa di sette raggi (più la coda), ondeggiante in banda. Lo scudo è timbrato da una corona costituita da un cerchio gemmato di stelle, sostenente fioroni oggi quasi del tutto abrasi. La composizione araldica è posta su un medaglione circolare, attorno al quale corre la scritta INSIGNE CARMELI VEXILLUM. L’uso del termine “vexillum” con riferimento allo stemma carmelitano non è certo una novità (fig. 5) e si riferisce probabilmente all’origine vessillare dell’insegna dell’Ordine[23].
Come ho già ricordato sopra, fu solo alla fine del Cinquecento che lo stemma carmelitano assunse la forma col cappato (variamente interpretato) e le tre stelle, che sarebbe poi diventata classica (figg. 4 e 5). L’esemplare litico neretino si rivela, da questo punto di vista, una testimonianza di notevole interesse perché mostra una variante insolita nell’evoluzione dell’iconografia araldica dell’Ordine, ascrivibile a una fase transizione dello stemma dalla versione primitiva a quello classica. Probabilmente seicentesca è, invece, l’arma affrescata sulla volta dell’ingresso dell’ex convento (fig. 11), riconducibile alla variante con i rami di palma e di giglio, decussati e uscenti da una corona, usata in epoca moderna nel Meridione d’Italia (figg. 7, 8)[24].
Lo scudo, di foggia semirotonda e con contorno a cartoccio, timbrato da una corona con cinque fioroni e quattro perle, appare ingentilito, ai lati, da un cordone di tanè terminante con due nappe e, al di sotto della punta, da un cherubino; il tutto è circondato da un serto di alloro. Alla stessa tipologia appartengono due altri esemplari presenti nell’ex convento. Uno di questi è dipinto sul trono su cui è assisa la Vergine nell’affresco della Madonna del Carmelo e reca uno scudo sagomato e accartocciato, timbrato da una corona all’antica[25] (fig. 12).
L’altro si trova scolpito sulla volta del salone al pianterreno, racchiuso da uno scudo semirotondo e accartocciato, timbrato da una corona con perle sostenute da punte (fig. 13).
Nella chiesa della Beata Vergine Maria del Carmelo (in origine chiesa dell’Annunziata) si conservano altri tre esemplari che invece rispecchiano, seppur con varianti, l’iconografia classica dello stemma dei Carmelitani Calzati. Il primo è raffigurato su una lastra marmorea che in origine copriva l’accesso della sepoltura dei frati e che attualmente si trova come pezzo erratico in un deposito della chiesa (fig. 14).
Tale lastra mostra al centro l’emblema dei Calzati, racchiuso da uno scudo ovale e accartocciato, timbrato da una corona rialzata da cinque fioroni, alternati a quattro perle, sostenute da altrettante punte. Il secondo esemplare è uno stemma ligneo che fa bella mostra di sé sul fastigio dell’edicola centrale del coro (fig. 15).
Uno scudo sagomato e accartocciato, dalla foggia tipicamente settecentesca, timbrato da una corona di cui resta solo il cerchio, contiene un’irregolare rappresentazione dell’arma dei Calzati, così blasonabile: “troncato in scaglione di tanè e di…?, a tre stelle di otto raggi d’oro”[26].
Chiude questa carrellata di stemmi l’esemplare che decora un drappo rosso conservato fra gli arredi sacri della chiesa[27]. L’insegna è contenuta in uno scudo sannitico accartocciato, munito di una punta nel lato superiore e timbrato da una corona all’antica (fig. 16).
In conclusione, in base alle testimonianze superstiti si può affermare che la rappresentazione dello stemma innalzato dai Calzati di Nardò seguì, pur tra varianti, l’evoluzione dell’iconografia araldica dell’Ordine, caratterizzata dalla progressiva aggiunta sul cappato originario di figure e simboli allusivi agli ispiratori e ai santi patroni dell’Ordine. Se letti correttamente e in senso diacronico, gli esemplari neretini mostrano tre diverse fasi evolutive nella conformazione dell’insegna, che vanno dallo sviluppo della forma primitiva (fig. 10) alla forma classica (figg. 14, 15 e 16), passando attraverso la variante seicentesca adoperata nel Sud Italia (figg. 11, 12 e 13).
Riprodotti su supporti di vario tipo, questi stemmi furono impiegati dai frati con la duplice funzione di segni di appartenenza all’Ordine e motivi decorativi. Malgrado il notevole numero di varianti, i Calzati si riconobbero tutti nella propria insegna, professando orgogliosamente per mezzo di essa la propria fede e la propria appartenenza all’Ordine, con l’intento di trasmettere questo patrimonio ideale alle future generazioni. Sta a noi, dunque, decifrane il contenuto e diffonderne il messaggio: è questo, in fondo, l’obiettivo che il presente contributo, scevro da qualunque pretesta di esaustività, si propone di raggiungere.
[1] B. B. Heim, L’araldica nella Chiesa Cattolica. Origini, usi, legislazione, Città del Vaticano 2000, pp. 23-24; M. Pastoureau, Le nom et l’armoirie. Histoire et géographie des armes parlantes dans l’Occident médiéval, in “L’identità genealogica e araldica. Fonti, metodologie, interdisciplinarità, prospettive”, Atti del XXIII Congresso internazionale di scienze genealogica e araldica (Torino, 1998), Roma 2000, pp. 78-79.
[2] M. Pastoureau, Medioevo simbolico, Bari 2014, pp. 201-202; E. Bouyé, Les armoiries pontificales à la fin du XIII siècle: construction d’une campagne de communication, in “Médiévales”, 44 (2003), pp. 173-198.
[3] Sulle origini dell’araldica papale, v. Bouyé, Les armoiries pontificales cit., pp. 173-198; Heim, L’araldica cit., p. 100.
[4] A. Cordero Lanza di Montezemolo, A. Pompili, Manuale di araldica ecclesiastica nella Chiesa Cattolica, Città del Vaticano 2014, pp. 17-18.
[5] Le fonti per lo studio dell’arma carmelitana antica sono costituite essenzialmente dai sigilli. Sulla sfragistica e sull’araldica carmelitane, v. G.C. Bascapè, Sigillografia: il sigillo nella diplomatica, nel diritto, nella storia, nell’arte, II, Milano 1969, pp. 180-186.
[6] Nel blasone il termine cappato designa una partizione formata da due linee curve o rette che partono dal centro del capo e terminano ognuna al centro dei fianchi dello scudo. Come vedremo, nel corso del tempo il cappato carmelitano venne reso in maniera diversa, fino ad assumere la forma di un troncato in scaglione o di un monte stilizzato.
[7] Tuttavia, negli stemmi disegnati e stampati il colore tanè, che non fa parte dei sette smalti convenzionali del blasone (oro, argento, rosso, azzurro, verde, nero e porpora), diventa spesso nero. Il Ménestrier, il più autorevole araldista dell’Ancien Régime, a proposito dello stemma carmelitano così scrive: “L’Ordre des Carmes porte un escu tanè ou noir, chappé ou mantelé d’argent, pour representer les couleurs de leur habit”. C.F. Ménestrier, Les recherches du blason. Seconde partie de l’usage des armoiries, Paris 1673, p. 182. L’uso di una formula bicroma negli abiti religiosi fu introdotto intorno al 1220 dai Domenicani (saio bianco e mantello nero, presentati come i colori della purezza e dell’austerità) e fu ripreso dagli stessi Carmelitani e da alcuni ordini monastici (Celestini, Bernardini, ecc.). Su tale questione, v. Pastoureau, Medioevo simbolico cit., p. 140.
[8] Sull’insegna domenicana e sulle sue varianti, v. Bascapè, Sigillografia cit., pp. 203-205.
[9] Nei sigilli ecclesiastici, l’uso di associare, ai lati della figura del religioso, due scudi (quello del vescovado, dell’abbazia o dell’ordine, da un lato, e quello familiare, dall’altro) è riscontrabile a partire dal XIV secolo. A. Coulon, Éléments de sigillographie ecclésiastique française, in “Revue d’histoire de l’Église de France”, 18 (1932), pp. 178-179.
[10] Bascapè, Sigillografia cit., tav. XXXI, n. 3.
[11] Si dice di più figure che, poste in campi contigui di smalti diversi, assumono lo smalto del campo opposto. Le stelle sono invece due nell’esemplare inciso sul frontespizio delle Costituzioni del 1573, pubblicato dal Bascapè. Cfr. ivi, tav. XXXII, n. 7.
[12] V. supra, nota 11.
[13] Si noti la presenza, attorno allo scudo, di una bordura composta, formata da triangoli alternati di nero e di bianco (d’argento), ripetizione degli smalti del cappato. Questo tipo di bordura è simile a quella che compare nello stemma domenicano, del tipo con la croce gigliata.
[14] La provincia di Sicilia poneva, invece, un altro tipo di croce, quella gerosolimitana, potenziata e accantonata da quattro crocette, il cui uso è attestato anche per i Carmelitani di Malta. G. Zamagni, Il valore del simbolo: stemmi, simboli, insegne e imprese degli Ordini religiosi, delle Congregazioni e degli altri Istituti di perfezione, Cesena 2003, p. 9.
[15] Bascapè, Sigillografia cit., p. 185; G. Moroni, Dizionario di erudizione storico-ecclesiastica, X, Venezia 1841, p. 59.
[16] La brisura, stricto sensu, è una variante introdotta in uno stemma rispetto all’originale, per distinguere i diversi rami di una stessa famiglia. I procedimenti più impiegati per brisare un’arma sono tre: la modificazione degli smalti, la modificazione delle figure e l’aggiunta di altre figure.
[17] Figura stilizzata, costituita da un insieme di cilindri coperti da calotte sferiche, detti colli o cime, disposti, generalmente, a piramide.
[18] Zamagni, Il valore del simbolo cit., p. 10.
[19] Ibid.; Bascapè, Sigillografia cit., p. 186.
[20] Lo stemma del cardinale Joaquín Lluch y Garriga è riprodotto sul sito Araldica vaticana, al seguente indirizzo: <http://www.araldicavaticana.com/luch_y_garriga_fra_gioacchino_1.htm>. Altri esempi di stemmi prelatizi con lo scudetto dell’Ordine si trovano in G.C. Bascapè, M. Del Piazzo, con la cooperazione di L. Borgia, Insegne e simboli. Araldica pubblica e privata, medievale e moderna, Roma 1999, pp. 404, 409.
[21] Ivi, p. 363.
[22] Utilizzo volutamente il termine monte e non montagna (che sarebbe araldicamente più corretto) perché più allusivo alle origini dell’Ordine.
[23] Il termine vexillum si trova documentato per la prima volta sulla xilografia raffigurata sul frontespizio della Vita di Sant’Alberto, pubblicata nel 1499, dove compare una mandorla ogivale, raggiante e sostenuta da due angeli, che contiene nel campo superiore la Vergine assisa in trono, incoronata e nimbata, sul cui grembo sta il Bambino, mentre i piedi poggiano su una mezzaluna su cui è inciso il motto “luna sub pedibus eius”; nel campo inferiore, invece, si trova il cappato carmelitano. Secondo il Bascapè, si tratta della riproduzione del gonfalone dell’Ordine, della fine del Trecento o degli inizi del secolo successivo. Bascapè, Sigillografia cit., pp. 181-182.
[24] Di questa variante dello stemma carmelitano sono documentate versioni con una o con tre stelle. Cfr. <http://ocarm.org/pre09/alberto/images/alberto034.jpg>; <http://ocarm.org/pre09/alberto/images/alberto033.jpg>.
[25] Si dice della corona composta da un cerchio rialzato da punte aguzze. In araldica è detta anche corona radiata.
[26] V. supra, nota 6. Si noti anche la differenza rispetto agli smalti convenzionalmente usati nel blasone dei Carmelitani.
[27] Marcello Gaballo, che ringrazio, mi ha riferito che il drappo era applicato dietro la croce processionale della Confraternita dell’Annunziata e del Carmine.