di Armando Polito
Sembra essere uno di quei titoli buttati a caso o, al contrario, studiati per suscitare curiosità. Peccato che per saperlo bisogna prima leggere tutto il post …
Cominciamo dal cocomero (Citrullus lanatus) , del quale difficilmente mi sarei occupato su questo blog se il Salento e il territorio di Nardò in particolare non fossero, e da tempo, importanti produttori. Il nome locale del frutto è sanginiscu, il cui etimo è un vero rompicapo. ll Rohlfs non registra la voce neretina ma al lemma sargenisco tratto da fonti letterarie leccesi e brindisine riporta le varianti raccolte, per così dire, sul campo: sarginiscu per il Leccese (S. Cesario di Lecce, S. Cesarea Terme e Vernole) e per il Brindisino (Mesagne); sciarginiscu ancora per il Brindisino (Faggiano) e sorgianiscu per il Leccese (Parabita) e alla definizione (mellone d’acqua, anguria) fa seguire quella che appare una criptica trascrizione italiana (saracinesco). Non è finita: al lemma sciardiniscu (tratto da fonte letteraria leccese) registra sul campo proprio per Lecce sciardeniscu. Credo che quest’ultima variante sia la madre di tutte le altre, figlie più o meno deformi. Sciardeniscu mi appare derivato da sciardinu (giardino), che in passato era sinonimo di orto. Questo spiegherebbe anche il saracinesco rohlfiano che, a questo punto, probabilmente, nelle intenzioni del grande filologo non evocava improbabili (e, comunque, tutti da dimostrare) rapporti con i Saraceni ma con la saracinesca e la sua funzione importante nell’irrigazione.
Se sanginiscu, dunque, come tutti i suoi fratelli sarebbe, secondo me, deformazione di un italiano *giardinesco (con buona pace del neretino che volesse mettere in campo qualche santo …) più che *saracinesco, nessun dubbio comporta l’etimo di cocomero.
La voce è dal latino cucumere(m), che appare imparentato con cucurbita, che significa zucca. Difficile dire se un altro parente sia cucuma (da cui l’italiano cuccuma) che è da coquere, che significa cucinare. ipotizzando un rapporto basato più sulla somiglianza di forma (bisognerebbe, però, immaginarsi il frutto vuoto) che sul ruolo del sole nella maturazione del frutto stesso.
Comunque stiano le cose, è certo che dal cocomero fu isolata per la prima volta la citrullina, nel metabolismo umano fondamentale per disfarsi di prodotti azotati di scarto come l’urea.
Citrullina è da citrullo, pianta erbacea appartenente alla stessa famiglia del cocomero (Cucurbitacee). Citrullo, a sua volta, è italianizzazione della variante napoletana (cetrulo) di cetriolo (anticamente cedriolo), che è dal latino medioevale citrulus, diminutivo di citrus che significa cedro (citrus medica), l’agrume, da non confondere con l’omonimo albero delle conifere. Se il cocomero e il cetriolo sono legati da un non troppo evidente somiglianza di forma, tale somiglianza appare meno vaga quando citrullo assume il significato traslato di stupido, sottintendendo un passaggio intermedio che implica un rapporto di somiglianza tra l’agrume e l’organo genitale maschile.1
E ora dite pure che il titolo non vi sembra buttato a caso, ma a qualcosa che foneticamente si avvicina all’ultimo … membro della locuzione …
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1 Tuttavia, sotto questo punto di vista, la priorità, per così dire, metaforica spetterebbe alle donne se per il sinonimo anguria valesse l’etimo che sto per ipotizzare. Che anguria derivi dal greco bizantino ἀγγούριον (leggi angùrion) è incontrovertibile, ma nessuno, a quanto ne so, ha notato che la voce è troppo lunga per non essere composta e che – ιον in greco è un comunissimo suffisso diminutivo. Ipotizzo, perciò, che la voce sia composta da ἄγγος (leggi angos) che significa vaso, utero, conchiglia (ritorna il concetto di contenitore già visto per cucuma) + οὐρά (leggi urà) che significa coda + il già detto suffisso diminutivo; la nostra anguria, insomma, sarebbe come un piccolo vaso con la coda.