di Armando Polito
Oggi la tecnologia ci consente di immortalare e condividere qualsiasi momento, anche il più banale e meno coinvolgente per gli altri, della nostra vita. Non ci rendiamo conto che proprio la condivisione, che sembra essere il non plus ultra della libertà e della democrazia, rappresenta il cibo quotidiano che ogni giorno ingrassa colossi che eludono il fisco e, quel che è peggio, custodiscono le testimonianze, intelligenti e stupide, della nostra vita. C’è, però, anche il rovescio della medaglia perché in quella messe di dati è celata una potenzialità sbalorditiva di conoscenza che nel breve volgere di qualche decennio, visto il rapido mutare, soprattutto per colpa nostra, di ciò che ci circonda, può costituire una fonte preziosa per la ricostruzione del passato. Così un semplice selfie, per esempio, potrà essere importantissimo non per il dettaglio più importante al momento dello scatto, cioè il nostro volto o la nostra figura, ma il secondario, cioè lo sfondo. Insomma gli scatti condivisi assumeranno l’importanza che hanno le cartoline d’epoca. In riferimento al tema di oggi va detto che prima dell’avvento della fotografia le uniche fonti visive erano le rappresentazioni artistiche (bozzetti, disegni, incisioni, dipinti, sculture) che per la loro natura non garantiscono tutte la certezza di una riproduzione fedele, oggi diremmo fotografica, della realtà. D’altra parte, ad essere sinceri, nemmeno le fonti letterarie spesso consentono un’interpretazione univoca della realtà e in certi casi basta una sola, miserabile variante della tradizione manoscritta per dar luogo ad una ridda di ipotesi contrastanti. Pensate che noia mortale sarebbero i nostri tentativi di conoscere, se per loro le porte del successo si spalancassero più o meno immediatamente e tutto fosse incontrovertibilmente chiaro.
E poi c’è la realtà virtuale che con un realismo abbastanza spinto consente esplorazioni di ogni tipo senza spostarsi nemmeno di un passo e un’immersione sufficientemente attendibile dal punto di vista scientifico nelle testimonianze del passato delle quali nulla (o nei casi migliori pochi resti) rimane di materiale.
Tutta questa premessa per presentarvi la tavola di un libro e per giustificare il titolo che farebbe invidia ad una puntata di Voyager …
Di seguito il frontespizio del libro e la tavola che ne costituisce l’antiporta (per chi volesse consultarlo integralmente: https://books.google.it/books?id=_QSzTrz4uHsC&printsec=frontcover&dq=i+primi+martiri+di+Lecce&hl=it&sa=X&ved=0ahUKEwjO1pL-iP_UAhWiB8AKHav_BjkQ6AEIIjAA#v=onepage&q=i%20primi%20martiri%20di%20Lecce&f=false).
Ritornerò dopo a commentare l’immagine. Ora mi preme sintetizzare la struttura del libro, che consta di 147 pagine così distribuite:
pp. 6-37 libro I (Istoria de’ tre santi, e primi martiri della città di Lecce Oronzio, Giusto, e Fortunato)
pp. 38-64 libro II (Istoria de’ santi di Lecce Giusto, Oronzio, e Fortunato
pp. 65-79 libro III (Martirio di Emiliana e Petronilla)
pp. 80- 97 libro IV (Vita di S. Fortunato)
pp. 98-131 libro V (Miracoli e grazie concesse da Dio per intercessione di S. Oronzio)
pp. 132 Oremus
pp. 133-134 Inni in onore del santo
pp.135-140 Memoria della grazia concessa della liberazione del contagio di questa fedelissima città dii Lecce, e sua provincia del glorioso S.Oronzio padrone e protettore, registrata nel libro Rosso dell’istessa
pp.140-147 Questa parte contiene un sintetico ricordo dell’intervento del santo in occasione dei terremoti del 1743 e del 1835.
Tutto questo perché l’edizione del 1835 fu preceduta da quella del 1714, a sua volta preceduta da quella del 1672. Poiché quest’ultima è introvabile (nella scheda dell’OPAC, pur essendo riportato nelle note generali frontespizio preceduto da antiporta xilografata A c. O8v. vignetta xilografata S. Orontio Segn.: *8 A-O8, manca qualsiasi indicazione nello spazio riservato alle biblioteche che la custodiscono). passo a quella del 1714 (http://www.internetculturale.it/jmms/iccuviewer/iccu.jsp?teca=&id=oai%3Awww.internetculturale.sbn.it%2FTeca%3A20%3ANT0000%3ASBLE013227).
Essa consta di 110 pagine così articolate:
pp. 3-4 Dedica del Barichelli alla città di Lecce
pp. 5-6 Avviso del Barichelli ai lettori
pp. 7-8 Richiesta di stampa da parte del Mazzei e imprimatur
pp. 9-15 libro I (Lecce Oronzio, Giusto, e Fortunato)
pp.1 6-27 libro II (Dell’istoria de’ santi di Lecce Giusto Oronzio – e Fortunato)
pp. 28-36 libro III (Martirio dfi Emiliana, e Petronilla)
pp. 37-41 libro IV (Dell’istoria de’ tre santi e primi martiri della città di Lecce Orontio Giusto – e Fortunato)
pp. 42-57 libro V (Miracoli e gratie concesse da Dio per intercessione di santo Oronzio
pp. 58-59 Inni in onore del santo
pp. 60-66 Semplice e diligente relazione della rinovata Divozione verso il glorioso Martire di Cristo, Patrizio, e primo Vescovo di Lecce S. Oronzo di Giovanni Camillo Palma Dottor Teologo, & Arcidiacono di Lecce
pp. 67-73 Lettera pastorale di Monsignor Luigi Pappacoda vescovo di Lecce alla sua città, & diocesi
Alla fine di p. 73 c’è la seguente immagine.
Credo che in essa possa ravvisarsi la rappresentazione, per quanto libera, della città vista da Porta Rudie. Lo stesso profilo della porta mi pare sovrapponibile a quello mostrato dalla tavola di Lecce a corredo della seconda parte dell’opera postuma di Giovanni Battista Pacichelli Il regno di Napoli in prospettiva diviso in dodeci provincie, Parrino, Napoli, 1703. Di seguito la tavola e il dettaglio della porta.
Riprendo la descrizione interrotta della struttura del volume:
pp.74-90 Ricordi per il vivere cristiano ad ogni stato di persona, del glorioso S. Carlo Borromeo
pp.91 Memoria della colonna
La p. 92 presenta l’immagine di seguito riprodotta.
Da notare nella parte superiore, da sinistra a destra, lo stemma della città di Lecce, quello del vescovo Fabrizio Pignatelli (1696-1734) e uno scudo vuoto.
pp. 93-110 Lecce con la sua provincia de’ Salentini preservata dalla peste negl’anni 1656 e 1690 …
L’immagine che costituisce l’argomento centraledi questo post, dunque, non compare nell’edizione del 1714 ma non doveva, anzi non poteva comparire neppure in quella del 1672. La ripropongo per rendere più agevole la lettura del commento che avevo promesso.
La didascalia recita: S. ORONZIO VESCOVO E MARTIRE. Protettore della Città e della Provincia di Lecce. In Lecce da Gaetano de Blasi.
Al di sotto del margine inferiore destro della raffigurazione si legge: d’Angelo inc.
Molto probabilmente di tratta di Raffaele D’Angelo, incisore napoletano attivo nella prima metà del XIX secolo. Di lui la Biblioteca Nazionale Vittorio Emanuele III di Napoli conserva tre stampe:
a) Ritratto a mezzo busto di tre quarti verso sinistra in atteggiamento benedicente di Giuseppe Maria Trama (1790-1848), vescovo di Calvi e Teano.
b) Ritratto a mezzo busto di tre quarti verso sinistra di Francesco Antonio Fasani (1681-1742); in alto a sinistra, su di una nuvola, la Madonna calpesta il serpente.
c) Il beato Vincenzo Romano (1761-1831) prega inginocchiato dinanzi ad un altare.
Del D’angelo è pure un ritratto di suor Serafina di Dio (1621-1699), al secolo Prudenza Pisa. La tavola è inserita nel volume di Salvatore Farace Un gioiello di arte ossia la chiesa di S. Michele Arcangelo detta Paradiso terrestre : con un cenno della veneranda Madre Serafina di Dio e dei monumenti e ricordi di Anacapri, Giannini & Sons, Napoli, 1931.
L’assenza di Raffaele nella “firma” della nostra immagine mi suscita qualche dubbio sulla sua paternità, non sulla quanto sua cronologia. In altre parole: Gaetano de Blasi avrebbe fatto stampare a sue spese un’incisione che, per via dell’assenza di Raffaele, potrebbe essere un falso.
Del De Blasi nulla ho potuto reperire, se non il fatto che a sue spese fece stampare pure un’altra tavola sullo stesso tema. La riproduco da http://www.vecchiaprovinciadilecce.it/images/small/c3b.jpg.
La scheda presente nel link appena segnalato al dato Autore reca la dicitura Lit. Pötel, come data di stampa 1850 circa, mentre sconosciuto risulta il luogo di stampa e, lacuna secondo me gravissima per un sito “ufficiale”, non c’è nessuna indicazione circa il luogo di custodia. L’unica cosa certa è, come si legge nella didascalia, che la litografia fu realizzata A SPESE DI GAETANO DE BLASI.
Con tutte le perplessità finora espresse non mi rimane che fare l’esame comparativo tra quest’ultima immagine e la nostra.
Il presunto Raffaele D’Angelo, pur apparendomi più rozzo nel tratto, mi appare più coinvolgente da un punto di vista emotivo rispetto al tema rappresentato per tre dettagli, uno paesaggistico, gli altri due umani. Lo spazio extra moenia antistante Porta Napoli appare più selvaggio, incolto e disordinato, La figura femminile a braccia tese orizzontalmente nel vuoto dell’arco (nell’altra immagine, invece, si intravvedono dei fabbricati) sembra esultare alla visione del santo, mentre il giovane in primo piano (si trova più o meno laddove ora sorge l’obelisco) appare congelato nell’atto di impugnare una zappa.Insomma, a costo di sembrare banale: la perfezione tecnica non è toiut court, e non solo in questo campo, sinonimo di convincente interpretazione.
Mi pare molto probabile, poi, che nel modello compositivo i due incisori abbiano tenuto presente Nicolas Perrey e la sua tavola raffigurante S. Gennaro che ferma l’eruzione del Vesuvio del 1631, tavola inserita alla fine del volume di Francesco Balzano L’antica Ercolano, overo la Torre del Greco tolta all’obblio, Paci, Napoli, 1688.
In conclusione: è probabile che la tavola del 1714 in cui ho ravvisato Porta Rudie fosse la stessa che compariva nell’edizione, introvabile come ho detto, del 1672 e che rappresentasse, sia pure in modo sommario, la porta com’era prima della ricostruzione in seguito al crollo della fine del XVII secolo.
Non è da escludere che anche la vecchia porta, come avverrà per quella ricostruita, fosse dedicata a S. Oronzo, il che renderebbe tale tavola più congruente al tema trattato nel volume di quella relativa a Porta Napoli presente nell’edizione del 1835.
Per tornare, infine, alla realtà virtuale del titolo, la ricostruzione del passato appare, secondo me, più convincente nel reale o presunto Raffaele D’Angelo, per la cui immagine, almeno, a differenza dell’altra di Pötel, abbiamo la fonte, oltre che una definizione decisamente più accettabile, per cui mi chiedo che senso abbia pubblicare un documento pressoché illeggibile nei dettagli. E questa non è affatto un’altra storia …