di Armando Polito
Operazione nostalgia può essere nemmeno tanto pomposamente definito questo post, come, d’altra parte, tanti miei precedenti. Segno ineluttabile del trascorrere del tempo ma anche malinconico ricordo di sentimenti evocati da un oggetto di uso abituale nel passato e che, in questo modo, perde la sua banalità e, in più di un caso, acquista una preziosità che mai ha avuto, non solo di natura economica, ma anche come testimonianza e, dunque, fonte, per conoscere la nostra storia. Solo per questo i musei dovrebbero essere al centro della vita culturale, specialmente per un paese come il nostro, la cui tradizione culturale è oggetto di ammirazione per tutto il mondo. Sembra, invece, che chi ci governa abbia recepito esclusivamente il significato deteriore della locuzione oggetto da museo, comunemente usata per indicare qualcosa di obsoleto ed inutile. E magari qualcuno considererà pure i collezionisti come psicopatici alla ricerca di cianfrusaglie, una sorta di feticisti delle memoria. Eppure, se non ci fossero loro, la ricostruzione della nostra storia sarebbe più difficoltosa ed incompleta. Non a caso parecchie collezioni sono entrate, entrano ed entreranno a far parte dei musei nazionali realizzando, così, una sorta di travaso culturale dal privato al pubblico. E, paradossalmente, bisogna essere grati a quegli eredi che, magari per quattro soldi, si disfanno (o disfano, la cui legittimità, ormai, è stata consacrata dall’uso …) di qualcosa che altrimenti sarebbe finito in discarica. Salvo, poi, rimpiangere il vecchio macinino della nonna quando l’interruzione prolungata dell’erogazione dell’energia elettrica rende inutilizzabile non solo la tradizionale caffettiera (ammesso che in casa ce ne sia una) ma anche l’avveniristico gioiello per fare il caffè che, se non è in cialde, andrebbe macinato sul momento e con quella gradazione ottimale per il cui raggiungimento è stato necessario fare esperimenti per almeno due settimane, dopo le quali, finalmente, salvo che la macchina non faccia, proprio come i pc, quei capricci apparentemente inspiegabili che spesso giustifichiamo negli umani …
Probabilmente se mia zia a suo tempo non avesse fatto piazza pulita di tutti i lumi a petrolio allora in uso non appena la campana (calotta di vetro) per un motivo o per un altro si rompeva, oggi rientrerei nella sottocategoria dei feticisti parziali della memoria, cioè di quei collezionisti che sono costretti ad accontentarsi di oggetti antichi mancanti di qualche pezzo; oppure sfrutterei la reta alla ricerca spasmodica del pezzo, originale, mancante …
Meglio così, forse, perché oggi dopo la campana non avrei potuto mettere in campo la carzittella., vale a dire quella parte del lume costituita da un tessuto che, imbevendosi del petrolio contenuto nel serbatoio sottostante, consentiva, dopo l’asportazione provvisoria della campana, l’accensione con l’aiuto dell’amico fiammifero . E gli zolfanelli di un tempo, a differenza di quelli di oggi, non sbagliavano in colpo, perché, forse, contenendo più fosforo, erano più intelligenti …
Sentendo carzittella il pensiero vola subi to alla carza (garza) e alla ricostruzione della seguente trafila: carza>*carzetta>carzittella, in base alla quale alla nostra voce, diminutivo di diminutivo, dovremmo attribuire la qualifica parentale di nipote di carza. Io credo, invece, tenendo presente che la carzittella ha una struttura tubolare simile a quella di un calzino privo della parte inferiore, che suo padre sia cazzettu (corrispondente all’italiano calzetto, di basso uso rispetto a calzino) secondo la trafila: cazzu (che, però, generalmente al plurale indica i pantaloni; da non confondere con l’omofono in cui la doppia z, non a caso …,ha un suono più duro …)>cazzettu>*carzettu (dissimilazione forse per incrocio con carza)>*carzettella (diminutivo con cambio di genere)>carzittella.
A dimostrazione che anche nel dialetto (poteva essere altrimenti?) l’obsolescenza di un oggetto comporta la scomparsa non solo della relativa parola ma di tutto il mondo che vi ruota attorno mi piace ricordare il suo uso eufemistico nella locuzione no mmi rumpire la carzittella, corrispondente all’italiano non mi rompere le scatole; alla lettera, però, il riferimento, più che alle metaforiche scatole, è a qualcosa di annesso, di cui ho detto qualche rigo fa a proposito della doppia z …
Mia madre dice spesso : Ttaccate alla carzittella. Ora ho finalmente capito dove “appigliarmi ” :-P
Il lume a petrolio, oppure con olio di oliva come si utilizzava nelle lucerne Romane , non necessità di batterie,o di alimentazione elettrica,ha solo bisogno di combustibile petrolio, di un tessuto per la carzitella o lucignu, è composta da una base fissa, un serbatoio dove si inserisce il combustibile, una campana di vetro sottile non si deve fare scaldare eccssivamente si può rompere il vtreo, inoltre una rotella dosimetro che fa ndare su e giù la carzittella che dovrà essere ovale per non avere doppia fiamma forte e tanto fumo, la serve per aumentare o abbassare il grado di luce, e serve anche per ritirare lo stoppino e spegnere tutto, in questo modello manca il gancio per appenderlo.
Nel dialetto Salentino la parola “Carzittella”
In Italiano Può diventare:
“Non mi rompere le scatole
Oppure “ Ti mollo uno schiaffo ”Te tiru nna carzittella”
Carzittella/o carzettella la calza dei lumi a petrolio
Ma comu faci tisse cula uce fina, a capitu ca imu ccattare nnauura carzittella percè quiddhra ca tinimu e becchia.
Addu stabbai cu sta carzittella
Tieni lu culu a carzittella
A quale carzittella te postu se ttroa
Tta mmiritatu lu premiu carzittella
Te tiru nna carzitella
Tisse la mamma alla fjia ttaccate alla carzittella
Nnu mme rumpere la carzitella
Ttaccate alla carzitella
Ma sinti propriu caputuestu mo te la tiru nna carzittella
autore Ersilio Teifreto
Però in ”Te tiru nna carzittella” e in “Ma sinti propriu caputuestu mo te la tiru nna carzittella” la “carzittella” non è il pezzo essenziale del nostro lume usato in senso metaforico. ma doppio diminutivo di” carza” (guancia, branchia), deformazione dell’italiano “gorgia” che è dal francese gorge, che è dal latino medioevale “gurga”, connesso a sua volta con i classici “gurges” (vortice) e “gurgulio”(gola). Da escludere una derivazione da “cazzotto” attraverso la trafila “cazzotto>carzotto>carzotta>carzetta>carzitta>carzittella) non fosse altro perché tra un cazzotto e uno schiaffo c’è una bella differenza …