di Michele Eugenio Di Carlo*
Il salentino Giuseppe Palmieri (Martignano, 5 maggio 1721 – Napoli, 30 gennaio 1793), illustre membro della nobiltà del Regno, è chiamato nel 1787 da Acton a far parte del Supremo Consiglio delle Finanze, dove ha modo di proporre incisivamente le sue idee a supporto di un’agricoltura libera da «ostacoli e intralci alla produzione e alla distribuzione dei beni», mediante leggi riformatrici che «eliminino monopoli e abusi, migliorino l’istruzione dei proprietari stessi»[1].
Saverio Russo spiega chiaramente i passaggi attraverso i quali Palmieri giunge a concludere che l’arretratezza agricola del Tavoliere sia da attribuire al sistema della Regia Dogana, estraendo dai Pensieri economici, pubblicati nel 1789, il seguente passo: «L’agricoltura non può migliorare del suo stato durante il sistema del Tavoliere. Non può eseguire la coltivazione al tempo che conviene […] ma deve aspettare il termine prescritto»[2], e dal testo Della ricchezza nazionale, pubblicato più tardi nel 1792, la seguente locuzione che, ponendo fine a riflessioni ed incertezze, non ammette più ripensamenti:
«… è fuor di ogni dubbio, che la pastorizia Pugliese offendi l’agricoltura; anche se non si vuole rinunciare all’uso della ragione, ed all’aumento della ricchezza nazionale, bisogna sbandire questa barbara pratica intieramente dal Regno[3]».
Le drastiche conclusioni a cui giunge Palmieri sono abbondantemente spiegate nel capo III del testo citato, dedicato al tema della ricchezza derivante dalla pastorizia. Per l’economista la pastorizia transumante del Tavoliere è una «pastorizia barbara», praticata da «popoli rozzi», che ha reso un «delitto il coltivar la terra», che ha «dichiarato la guerra all’agricoltura», che può esistere solo dove vi siano vaste aree desertiche o laddove «non si vogliono né uomini, né agricoltura, e si desidera convertire in un deserto il paese».
E tale è il Tavoliere sul finire del Settecento: un deserto privo di alberi con corsi d’acqua non regolamentati che finiscono per produrre paludi e stagni, cagione di malattie malariche che deprimono una già scarsa popolazione.
Per avvalorare le proprie tesi Palmieri ricorre ad esempi di «nazioni culte» in cui pastorizia e agricoltura non sono in antinomia, l’una contrapposta all’altra. Solo per rimanere nella penisola italica, l’autore cita le lane prodotte a Padova – nettamente superiori per qualità e prezzo a quelle pugliesi, prodotte da pecore che vivono in maniera stanziale in campi coltivati –, a dimostrazione che «dove non si cerca, che l’utile, il privare un terreno delle ricche produzioni dell’agricoltura per ottenere le più scarse della pastorizia, rappresenta una condotta strana, in cui non si ravvisa segno alcuno di ragione».
Se si vuole che la pastorizia diventi nel regno di Napoli un settore economico vitale occorre «distruggere Tavoliere, Doganelle e Stucchi», liberandola da vincoli, divieti, impedimenti: «Sia libero a chiunque il vivere da Tartaro: non s’impedisca, non si vieti; ma non si ajuti, non s’inviti, non si comandi».
Tra l’altro, anche in Puglia, nella provincia di Bari e in Terra d’ Otranto, le pecore vivono all’occorrenza al coperto in ricoveri. A Palmieri sembra inutile continuare a sprecare tempo ed energie per dimostrare una verità così evidente: «la pastorizia barbara non può recare che danno, e minorare la ricchezza di una nazione culta»[4].
Per Di Cicco «il profilo della Dogana e del Tavoliere», che balza fuori dalle pagine della sua meritatamente famosa Memoria[5], è icasticamente conforme al vero. Lo stesso Di Cicco, ne Il problema della Dogana delle pecore nella seconda metà del XVIII secolo, sintetizzerà perfettamente le riflessioni e i quesiti posti da Palmieri:
«Perché difendere la pastorizia del Tavoliere, quando essa, conti alla mano, rende meno di quella esercitata altrove? Perché ritenere aprioristicamente che nel Tavoliere niente altro che il gregge possa trovare mezzi di sussistenza, quando tutto il sistema della Dogana congiura contro ogni tentativo innovatore? Perché, infine, allo scopo di giustificare il favore concesso alla transumanza sul demanio armentizio, chiamare in causa la pretesa necessità di provvedere ai bisogni degli abruzzesi, quando è noto che questi, se fossero liberi di poter scegliere, dirigerebbero i loro animali ad altri pascoli, e scendono nel Tavoliere solo perché costretti dalla legge?»[6].
- Socio ordinario della Società di Storia Patria per la Puglia
1 F. DIAZ, Politici e ideologi, in Letteratura italiana, cit., pp. 300-301.
2 G. PALMIERI, Pensieri economici relativi al Regno di Napoli, Napoli, 1789, p. 108; cit. tratta da S. RUSSO, Abruzzesi e pugliesi: la ragion pastorale e la ragione agricola, in «Mélange de l’école française de Rome, Moyen age – Temps modernes», tome 100, 1988, n. 2, p. 932.
3 G. PALMIERI, Della ricchezza nazionale, Napoli, 1792, p. 107; cit. tratta da S. RUSSO, ibidem.
4 Cfr. G. PALMIERI, Della ricchezza nazionale, cit., pp. 101-107.
5 G. PALMIERI, Memoria sul Tavoliere di Puglia, in Raccolta di memorie e di ragionamenti sul Tavoliere di Puglia, Napoli 1831, pp. 89-119.
[6] P. DI CICCO, Il problema della Dogana delle pecore nella seconda metà del XVIII secolo, cit., pp. 67-68.
IL FILO SPEZZATO DEL SETTECENTO RIFORMATORE. “DELLA RICCHEZZA NAZIONALE” (G. PALMIERI, 1792) ….. *
“[…] L’altra ala della «scuola» genovesiana, se così vogliamo esprimerci, fu più provinciale, più legata a problemi concreti ed immediati. Altrettanto antifeudale, essa cercò maggiormente i mezzi specifici per abbattere le giurisdizioni dei baroni, tentò con maggior costanza d’aggrapparsi ai precedenti e ai pretesti giuridici. Si occupò pure di problemi finanziari e vide tutta l’importanza del credito. Fu meno organizzata, meno unita nella sua attività, efficace tuttavia nella sua permanente e persistente funzione riformistica. Tre uomini la rappresentarono soprattutto: Galanti, Palmieri e Delfico”
* VICO, LA «SCUOLA» DEL GENOVESI, E IL FILO SPEZZATO DEL SETTECENTO RIFORMATORE. Una ’Introduzione’ di Franco Venturi, tutta da rileggere: si cfr.: http://www.lavocedifiore.org/SPIP/article.php3?id_article=5748.
Federico La Sala
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L’INDICE “DELLA RICCHEZZA NAZIONALE” (G. PALMIERI, 1792): http://gutenberg.beic.it/view/action/nmets.do?DOCCHOICE=5818353.xml&dvs=1495372825508~352&locale=it_IT&search_terms=DTL5&adjacency=&VIEWER_URL=/view/action/nmets.do?&DELIVERY_RULE_ID=7&divType=
P. S.:
* GIUSEPPE PALMIERI (https://it.wikipedia.org/wiki/Giuseppe_Palmieri_(economista), “Della ricchezza nazionale”, In Napoli, Vincenzo Flauto, Michele Stasi, 1792: (http://gutenberg.beic.it/view/action/nmets.do?DOCCHOICE=5818353.xml&dvs=1495374189005~384&locale=it_IT&search_terms=DTL5&adjacency=&VIEWER_URL=/view/action/nmets.do?&DELIVERY_RULE_ID=7&divType=).
* SUL TEMA, in generale, NON è male rileggere anche l’intervento del prof. Armando Polito sull’importanza del legame di Domenico Antonio Giovinazzo con GOETHE (padre e figlio), “Castellaneta non è solo Rodolfo Valentino: https://www.fondazioneterradotranto.it/2016/06/22/castellaneta-non-solo-rodolfo-valentino-12/.
Federico La Sala
Sul come eseguire la divisione e la censuazione dei demani del Tavoliere a fine Settecento, Michelangelo Manicone di Vico del Gargano (frate, ritenuto uno dei primi scienziati nello studio del rapporto clima-uomo), concentrato sulle proposte di censimento del Tavoliere che vari studiosi avevano prodotto, testimone del fallimento di tutti i tentativi messi in campo, – perché osteggiati dagli astuti locati e dai dominanti massari di campo – si lancia, sfiduciato ma non condiscendente, nelle seguenti osservazioni in cui cita il marchese di Martignano:
“Si abbracci qualunque metodo, purchè si esegua; ed il chiarissimo Palmieri dice colla vera madre del controverso fanciullo: viva la proprietà ne’ demanj, e si dia a chi si voglia. Diffatti perché perdere il tempo in dispute, e privare intanto per più lungo tempo la Nazione di tanto vantaggio?”
SCIENZA, COSCIENZA, E SOCIETA’ NELLA PUGLIA DEL SETTECENTO …
OTTIMO IL RICHIAMO ALL’OPERA DI GIUSEPPE PALMIERI, ma per avere chiarezza del senso dell’indicazione e della citazione del “monacello rivoluzionario” Michelangelo MANICONE (https://it.wikipedia.org/wiki/Michelangelo_Manicone) è BENE LEGGERE E RILEGGERE le pagine 175-177 dell’opera “Osservazioni sulle tariffe con applicazione al regno di Napoli” (vedi: https://books.google.it/books?id=Z9kvAAAAYAAJ&pg=PA176&lpg=PA176&dq=Giusepep+Palmieri+e+la+vera++madre+del+controverso+fanciullo&source=bl&ots=ajFtUHk41C&sig=ZZIWhjstwwqNjrWMl0Q588J6HHU&hl=it&sa=X&ved=0ahUKEwj31MHtrIvUAhXQFsAKHVTwCbgQ6AEIKDAA#v=onepage&q=Giusepep Palmieri e la vera madre del controverso fanciullo&f=false), o le pagine 73-75 dell’opera “Della ricchezza nazionale” (https://books.google.it/books?id=SeBTl-puuRgC&pg=PA73&lpg=PA73&dq=giuseppe+palmieri+la+vera+madre+del+controverso+fanciullo&source=bl&ots=22JFbAu6lc&sig=o1PlSM3VSOCiCJ0WvO9QoJOC6rI&hl=it&sa=X&ved=0ahUKEwiC_bqwsovUAhVmAcAKHWrtARYQ6AEILTAD#v=onepage&q=giuseppe%20palmieri%20la%20vera%20madre%20del%20controverso%20fanciullo&f=false): sono pagine cariche di brillante saggezza, valide oggi e sempre: “Si diano i terreni a chiunque, purché voglia e possa coltivarli. Ecco il principio, che deve regolarne la distribuzione; altrimenti non si ottiene il fine.
La sorte dei poveri interessa le anime sensibili. Coloro, che procurano di migliorarla, meritano l’amore e la stima pubblica; ma se non sono diretti dall’esame e dalla scienza della cosa, di cui si tratta, possono agevolmente peggiorarla. (…) Ma il dar la sola terra a chi cerca pane, non differisce molto dal pretendere che diventino pane le pietre. Egli è tentare l’Onnipotenza. La terra produce invero il grano, ma per poterlo produrre vi bisogna danaro per le spese primitive, per le spese annuali e pel mantenimento del nuovo proprietario finché possa valersi del frutto. (…) la concessione potrà riuscire benefica; ma senza tali aiuti deve riputarsi nociva, così riguardo ai poveri come riguardo alla nazione. Invece di migliorarsi lo stato loro e delle terre concedute, l’uno e l’altro si peggiora”.
Federico La Sala
Queste ultime annotazioni circa il pensiero del Palmieri si rivelarono profetiche; infatti, i contadini poveri non riuscirono mai a condurre proficuamente i terreni loro assegnati a causa di ricorrenti carestie e eventi climatici calamitosi. Furono, quindi, costretti a cedere i terreni alla nuova classe emergente: la borghesia agraria latifondistica. Anche la colonizzazione dei reali siti di Orta, Ordona, Carapelle, Stornara e Stornarella non ebbe un esito felice. Diverso esito ebbe l’esperimento del nobile Placido Imperiale con la fondazione di Poggio Imperiale.