di Armando Polito
L’immagine di testa è un dettaglio della carta che ho avuto occasione di presentare in https://www.fondazioneterradotranto.it/2017/02/05/lecce-porto-s-cataldo-cosi-al-tempo-adriano/.
Credo sia ormai evidente che il mio scopo è quello di suscitare curiosità, nella speranza che qualcuno dei pochi pazzi (tali sembrano, di fatto, alla cultura dominante) ancora in giro, tra cui il sottoscritto, contribuisca con il suo raptus a rettificare o a integrare il mio …, che non può che limitarsi all’evoluzione della toponomastica del circondario del porto quale risulta (non sempre con un percorso rettilineo) da mappe a stampa successive a quella aragonese. L’analisi dei toponimi, leggibilissimi sulla mappa, sarà condotta in ordine alfabetico.
Baccaro
Probabilmente si tratta di un prediale che, con altri probabili che seguiranno, reca traccia di un’aristocrazia terriera in quel periodo padrona di buona parte del territotio brindisino. Un Giulio Cesare Baccaro fu notaio a Brindisi dal 1589 al 1629 e la famiglia in questione è presente ancora oggi nella toponomastica viaria (Via de’ Baccaro)
Casale Cuggio: come prima Baccaro potrebbe essere un prediale. Lla famiglia Cuggio, infatti, risulta citata nell’elenco dei nobili brindisini presente in Cesare D’Eugenio Caracciolo, Ottavio Beltrano e altri, Descrittione del Regno di Napoli diviso in dodeci provincie, Beltrano- De Bonis, Napoli, 1671, p. 321 e in Andrea Della Monaca, Memoria historica della città di Brindisi, Micheli, Lecce, 1674, s. p. : Non vi mancano però al presente nella città di Brindisi molte Fameglie nobili, e particolarmente la Fornara, Cuggio …
Casale di Marco: altro probabile prediale, di cui potrebbe essere impressionante indizio l’attuale via Carlo De Marco (1711-1809), evidenziata di seguito col segnacolo rosso nel dettaglio che ho tratto da Google Maps.
Un Simone De Marco ebbe in dono nel 1275, da Carlo I d’Angiò i feudi di Mauritano e Cognano e i Casali di S. Cassiano, Lequile, Casamassella e Vaste.
Casale di Pasquale granofeo: continua il festival dei probabili prediali, Ipotizzando granofeo deformazione di Granafei. La famiglia, fuggita da Costantinopoli per l’invasione dei Turchi di Maometto II, si trasferì a Brindisi nel 1508. Nel XVII secolo un suo rappresentante, Giovanni. fu tacito protagonista di un episoduo molto triste della storia di Nardò (https://www.fondazioneterradotranto.it/tag/giovanni-granafei/).
Castello di Isola oggi Castello alfonsino o Castello aragonese o Castel rosso (costruzione iniziata sull’isola di S. Andrea nel 1445 da Ferdinando I d’ Aragona).
Pompeiano dir(uto): potrebbe essere connesso con il lontanissimo (49 a. C.) ricordo dell’assedio di Brindisi da parte di Cesare per bloccare la fuga di Pompeo in Oriente o col tentativo inverso attuato senza successo l’anno successivo da Lucio Scribonio Libone.
S.to Pelino: di una chiesa dedicata a colui che nel VII secolo fu vescovo di Brindisi è nota una chiesa che sorgeva nel cortile dell’attuale palazzo Granafei Nervegna, ma per evidentissimi motivi di dislocazione essa non può essere quella della mappa.
Theodoro dir(uta): molto probabilmente la chiesa sorgeva nel luogo (oggi Fontana Tancredi) in cui secondo la tradizione nel 1210 approdò l’imbarcazione che trasportava le ossa del santo.
Torre del Cavallaccio (oggi punta di Torre Cavallo2).
Torre del Cavallo. Risulta assente in tutte le carte prima utilizzate ai fini comparativi per gli altri toponimi. Data l’estrema precisione che la carta aragonese mostra bisognerebbe ipotizzare l’esistenza di una torre scomparsa nell’arco di pochi decenni.
Torre della Pena oggi Torre Penna
Sul toponimo, che nella prima stesura per distrazione non avevo citato, vedi in calce il commento del sig. Mario Galasso. Alle sue osservazioni aggiungo che peña è dal latino pinna, che significa, fra l’altro, penna e pinnacolo ed è connesso con la variante, sempre latina, pina, che designa il mollusco il cui nome scientifico è pinna nobilis e quello comune cozza penna. Tutto ciò non esclude che il nome della torre sia connesso non tanto col significato traslato di promontorio ma con l’abbondanza della specie appena ricordata nello specchio d’acqua limitrofo . Se è così, il pena della carta aragonese senza tilde sarebbe una grafia di compromesso della voce originale (penna), compromesso continuato, come si vede in tabella, nella cartografia successiva dove penna si alterna a pena.
Chiudo con una comunicazione di servizio: questo tipo di indagini non può esulare dall’apporto di studiosi ed appassionati locali (cui dovrebbe essere più agevole la consultazione, per esempio, delle visite pastorali, o il riemergere alla memoria di un atto notarile letto casualmente, etc. etc., senza contare la possibilità di ricognizioni dirette dei siti), ai quali rivolgo in tal senso un accorato appello, anche in riferimento al post con cui è cominciata la serie e il cui link ho riportato in apertura. Dirò di più: in mancanza di adeguati riscontri sarò costretto, al massimo fra due altre puntate, a chiudere la serie che altrimenti non avrebbe senso. Se, invece, i contributi non dovessero mancare, potrei addirittura pensare (seriamente, non solo per sognare …) di raccoglierli, con citazione del nome dell’autore, in una monografia estesa all’intera Terra d’Otranto, previa richiesta della mappa integrale in alta definizione (altrimenti come completare lo studio stesso?) alla Biblioteca Nazionale di Francia contestualmente al rilascio dell’autorizzazione a sfruttarla per una pubblicazione a stampa. Se c’è qualche sponsor, intanto, dichiari la sua disponibilità …
Per altri dettagli della stessa carta:
https://www.fondazioneterradotranto.it/2017/02/05/lecce-porto-s-cataldo-cosi-al-tempo-adriano/
https://www.fondazioneterradotranto.it/2017/03/09/gallipoli-dintorni-carta-aragonese-del-xv-secolo/
https://www.fondazioneterradotranto.it/2017/03/04/castro-dintorni-carta-aragonese-del-xv-secolo/
https://www.fondazioneterradotranto.it/2017/02/27/otranto-dintorni-carta-aragonese-del-xvi-secolo/
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1 Si tratta di un aggiornamento (evidentemente anche toponomastico) della carta del Magini, come indica chiaramente il titolo/didascalia:
2 Oggi il sito è più noto per le frequenti sfiammate della torcia di emergenza dello stabilimento petrolchimico che per la torre sui cui pochissimi resti si può ammirare (!) una postazione risalente alla prima guerra mondiale. Sull’origine del toponimo rinvio a https://www.fondazioneterradotranto.it/2014/04/23/la-terra-dotranto-in-due-antiche-carte-nautiche/.
Gli unici piccoli contributi che posso adesso darle sono:
la notizia che c’erano anche le famiglie Cuggiò e Monticelli Cuggiò;
la rappresentazione sulla carta: del ponte Grande (sul seno di ponente), del ponte Piccolo (a Levante) e delle torrette Angioine sul canale tra il porto esterno e quello interno;
l’indicazione che le leggende brindisine collocavano la casa di Pompeo in città (tra via San Francesco e piazzetta Vittorio Emanuele) e non al Casale, come indicato nella carta.
Bellissima la carta.
Per me, Torre del Cavallo e Torre del Cavallaccio sono la medesima torre posizionata su Punta Torre Cavallo. Il nome originario è Lucaballus o Lucaballu ma gli autori usano diverse denominazioni: Pacichelli la chiama Torre del Cavallaccio; Bacco, Torre del Cavalloccio ma per me è sempre Lucaballu o Torre Cavallo. La posizione è quella indicata nella mappa per la Torre del Cavallaccio.
La ringrazio per i due contributi, anche se per quanto riguarda il riferimento alla leggenda sulla “casa di Pompeo” sarebbe interessante trovare il nome dell’autore che eventualmente abbia fatto cenno ad essa. Anche se di origine popolare e, dunque, molto antica non poteva, secondo me, non essere registrata per iscritto in qualche storia o memoria della città..
La casa brindisina di Pompeo si ritrova in “Memoria historica dell’antichissima, e fedelissima città di Brindisi” di Della Monaca (p. 232): “… la quale [s’intenda casa] sin al dì d’hoggi si vede alla riva del destro corno del Porto, dove fin’à tempi nostri s’è veduta l’effigie di esso Pompeo in un marmo…”.
Ma dal momento che è risaputo che l’opera di Andrea Della Monaca è in gran parte un plagio dell’opera del Moricino, che a sua volta ha qualche debito con Giovan Battista Casmiro e la sua “Ad Q. Marium Corradum epistola apologetica, etc.” dovrò cercare nei due manoscritti per vedere chi ha per primo trascritto la leggenda. Tenga presente che molte “dicerie” sono nate nel XVI quando, per questione di diocesi, tra Oria e Brindisi nacque un’accesa disputa.
Le saprò dire.
… XVI secolo…
Grazie per quanto già fatto e per quanto si ripromette di fare..
Della “fantomatica” casa di Pompeo ne parla (con le stesse parole) anche Giovanni Maria Moricino nel suo “Dell’antichità e vicissitudine della città di Brindisi” manoscritto D/12, 121v. Anche Moricino la posiziona pertanto dove le ho indicato, e non al Casale
Per torre Cavallo, l’autore della mappa deve aver duplicato (allo stesso modo degli annalisti) l’informazione. La storia di Lucaballu si trova nei registri angioini: la torre ebbe vicissitudini d’ogni tipo; crollò una prima volta, appena costruita, e fu poi riedificata sempre nello stesso luogo, appunto punta torre Cavallo. Forse il disguido è stato generato da questa duplice costruzione.
Ma il porto di Brindisi non appare cornuto a chi guarda dal mare? E il corno destro del Moricino non dovrebbe corrispondere, perciò, all’entroterra della riva destra del corno destro? Comunque, mi riprometto di leggere la carta del manoscritto segnalatomi nella speranza che anche il passo del De bello civili in cui si parla dell’evento contenga qualche dettaglio finora sfuggitomi. Grazie.
Non parla però di “riva destra” ma di “riva” del corno destro. Sulla riva del corno destro c’erano anche le cosiddette Case della Corte ed anche ciò che rimaneva di queste Case era una leggenda, quand’ero ragazzo. Lì vicino i vecchi indicavano che c’era stata la casa di Pompeo. Comunque mi farà piacere, se scoprirà qualcosa di diverso. Buona domenica.
Circa la Torre della Pena in alto nella mappa occorre precisare che il nome originario è catalano,Torre de la Penya, che tradotto in castigliano si scrive Peña e si legge PEGNA in entrambe le lingue. Ce n’è una vicino Capo Caccia, loc. Tramariglio in comune di Alghero. Non è la sola torre con questo nome. Ovviamente la dizione Penya restò solo in ambito catalano ma la lingua ufficiale castigliano-aragonese che fu poi semplricemente detta spagnola trascrisse la dizione con Peña restando inalterato il significato.
In https://it.glosbe.com/ca/it/penya vari altri significati.
E’ da ricordare che dopo la scoperta dell’America furono castigliani ed aragonesi i principali sfruttatori del nuovo mondo mentre l’est (la Mediterranya) restò appannaggio dei catalani che lasciarono profondi influssi linguistici in tutto l’areale, e molto in Italia.
Come spiegazione va bene anche per Brindisi quella relativa alla torre di Tramariglio
http://www.sardegnaambiente.it/index.php?xsl=612&s=189748&v=2&c=9448&idsito=23
“La denominazione della torre ha origine dal sito in cui venne eretta in epoca spagnola, infatti “peña” significa “punta” e tale dato è specificato anche in una relazione del 1754 dove si riporta che “… la torre de la Peña existente asta sobra lo alto de la Peña massima al Cabo de la Cassa… ”.
Nota quindi sia nel 1585 che nel 1867 come Torre della Pegna, o anche come Torre Peña Maestra nel 1607 e nel 1680, oggi è detta anche della Pena o della Penna.
Fu un punto di osservazione strategico, facente parte del sistema di torri di avvistamento contro gli attacchi nemici soprattutto da parte di milizie arabe e francesi durante il periodo dell’occupazione Spagnola/Aragonese.
A picco sul mare a 271 m di altezza, sul lato occidentale del Capo Caccia, è raggiungibile attraverso uno spettacolare, quanto tortuoso, sentiero riconosciuto come uno dei luoghi panoramici più suggestivi della Sardegna. Per arrivarvi occorre seguire il sentiero che dall’ex colonia penale di Tramariglio giunge fino al punto più elevato della collina e quindi alla torre.
Essendo isolata, era utilizzata come postazione per la trasmissione di segnali e concepita come alloggio di due torrieri privi di armamenti.
Realizzata dalla città di Alghero nella prima metà del XVI secolo, nel 1572 risultava presidiata da due guardie ordinarie reclutate dai corallari della città. Il mantenimento della torre era in capo alla città di Alghero fino al 1608, anno in cui la gestione venne trasferita all’Amministrazione Reale.” ecc.
Non so se sia stata studiata questa torre brindisina e da chi. Se già fatto, mi scuso per la mia intromissione.
Se lei si scusa per un’eventuale “intromissione” (in attesa di altri riscontri il suo è per me prezioso) io debbo pubblicamente cospargermi il capo di cenere per aver omesso di riportare, distratto forse dalla sistemazione alfabetica che mi obbligava a collocarlo all’ultimo post,o il toponimo della torre che appare per prima sulla carta partendo dall’alto. Senza il suo intervento non me ne sarei accorto e non avrei potuto apportare al post l’integrazione già leggibile. Grazie.
Mi permetto allora di chiosare ancora…
Circa il cognome Baccaro che mi ha colpito::
Ci sono circa 574 famiglie Baccaro in Italia.
Il cognome Baccaro è 539° nella regione Puglia
Il cognome Baccaro è 144° nella provincia di Brindisi
Il cognome Baccaro è 7° nel comune di Locorotondo (BA)
Baccaro, tipico del sud, ha un ceppo importante in Puglia, uno secondario in Campania e forse nel basso Veneto, dovrebbe derivare dal nome medioevale Baccario derivato dal nome iberico latino Bacurius di cui abbiamo esempio nel Rerum gestarum del IV° secolo di Ammiano Marcellino : “…Cui malo aliud quoque accedebat exitiale, quod homines et iumenta cruciabat inedia gravis sagittari et scutarii, quos Bacurius Hiberus quidam tunc regebat et Cassio, avidius impetu calenti progressi,…”; tracce di queste cognomizzazioni si trovano a Napoli nel XVIII° secolo con il mastro argentiere Luca Baccaro.
Ma se non provenisse da Bacurius, noto che il “baccaro comune” è l’Asarum europaeum L, pianta che in Italia è dappertutto tranne che in Puglia, Sicilia e Sardegna, per cui è strano (e fuorviante?) che proprio in Salento ci sia una presenza di cognomina legati a questo fitonimo.
http://www.actaplantarum.org/floraitaliae/viewtopic.php?t=96
Credo che per quanto riguarda Baccaro (e non solo) io e lei potremmo chiosare per una settimana formulando ipotesi in cerca almeno di un indizio che renda l’una più plausibile dell’altra. E poi: Bàccaro o Baccàro? Anche un accento può essere determinante e, se fosse Baccàro, potrebbe essere forma aggettivale da alcune voci del latino medioevale; per esempio: baccus (è attestata anche la variante bacus)=imbarcazione piuttosto grande per il trasporto, soprattutto fluviale, di cavalli e carri; oppure bacca col significato, ancora, di imbarcazione e con quello di vaso per l’acqua; etc. etc. …
Comunque, due o tre torce (anche se la mia ha le pile quasi esaurite) fanno luce più di una; speriamo che se ne aggiungano altre …
Sono d’accordi coi suoi dubbi, ma escludendo forse bacus per la distanza del predio dal mare.
Approccio davvero molto interessante, soprattutto per l’entusiasmo che esprime. Spero sia “contaminante” per molti. Cercherò di dare un modesto contributo. Viva la Terra d’Otranto.
Gentile prof. Polito, dove è possibile trovare questa mappa? Mi interessa soprattutto il territorio di Oria.