*Mi chiedo come mai sei arrivato alla tua età senza diventare dirigente o ministro …
Il perverso disegno politico di pascere i cittadini nell’ignoranza per farne, senza che se ne rendano conto, sudditi più scodinzolanti di un ingenuo cagnolino è giunto quasi a compimento e i frutti ormai sono tanto evidenti e deleteri che qualche centinaio di persone ancora liberamente pensanti ha rivolto recentemente un accorato appello perché il sistema scolastico smetta di sfornare giovani non in grado ormai di intendere il significato superficiale delle singole parole (figurarsi quello profondo …), da cui la difficoltà, a cascata, di leggere, capire ciò che si legge, esprimersi compiutamente e scrivere correttamente.
Il libertinaggio grammaticale oggi è balordamente supportato anche da alcuni accademici (un caso per tutti: https://www.fondazioneterradotranto.it/2015/07/05/quale-il-problema-e-che-sei-una-capra-direbbe-vittorio-sgarbi/; il protagonista del caso sicuramente non sarà stato tra i firmatari …) che dovrebbero essere, secondo me, più educatori che propagandisti e diffusori, in nome dell’uso, di certi fenomeni che possono, anzi devono, essere oggetto di studio da parte dei linguisti, ma non diventare, come sta succedendo, modello di riferimento per i giovani che fisiologicamente sono intolleranti delle regole e esposti alla seduzione del lassismo o permissivismo che dir si voglia.
La convivenza civile è fatta di regole che sono da rispettare da ciascuno di noi, anzitutto per stare ìn pace con la propria coscienza o con i suoi sussulti residui, e poi per non danneggiare il prossimo. In una società in cui le stesse leggi sono formulate in modo disgustosamente ambiguo tanto da consentire anche al più scalcinato degli avvocati di difendere con parecchie probabilità di successo il suo cliente (beninteso: quando è colpevole …) poteva la grammatica avere l’importanza fondamentale che l’ha contraddistinta dagli albori della civiltà occidentale, nesso con cui spesso ci sciacquiamo la bocca senza nemmeno avere idea di cosa essa, in concreto, abbia rappresentato per millenni?
C’è da meravigliarsi, perciò, che gli studi umanistici stiano soccombendo di fronte all’avanzata inarrestabile di un progresso scientifico che, per come è gestito e sponsorizzato, sembra più asservito alla mala economia, alla finanza, alla speculazione e non teso, come dovrebbe, a migliorare la nostra umanità?
È il trionfo del concreto sull’astratto, del pratico sul teorico, dell’oggetto sul soggetto, del corpo sull’animo, dell’avere e dell’apparire sull’essere, costi quel che costi, della realtà sul sogno. Non c’è tempo per riflettere, per dubitare e viviamo una vita frenetica basata sul tutto e subito, su diritti, reali o presunti, da far valere e su doveri da eludere più o meno furbescamente, pronti a trovare le più fantasiose (che prostituzione della fantasia!) giustificazioni e le più improbabili attenuanti per i nostri errori, grandi e piccoli.
In questo quadro solo un demente potrebbe sussultare scoprendo che molti delle ultime generazioni non sanno distinguere un sostantivo da un verbo e, relativamente a quest’ultimo, un futuro da un presente o da un passato remoto.
In fondo per la nostra vita alla giornata l’unico tempo, non solo verbale, degno di esistere è il presente, il passato è inutile anticaglia e il futuro non preoccupa più di tanto nemmeno i diretti interessati, almeno finché vivranno i nonni giustamente condannati, quando possono …,, loro che sono stati i principali responsabili dell’elefantiaco debito pubblico, a pagare il conto per figli e figli dei figli.
Il presente celebra il suo trionfo nel figlio che ammazza il genitore per godersi anzitempo l’eredità, nel sotterratore di rifiuti tossici, nell’imprenditore che inquina, nell’evasore fiscale, nel detentore del potere politico drogato dall’esigenza primaria del consenso (perciò corrotto e/o corruttore), dal bullo che celebra nel branco il rito blasfemo della sua vigliaccheria, da chi, nutrendo infondate velleità letterarie, s’indebita fino al collo per pubblicare il frutto del suo presunto talento pur di vivere un momento di effimera gloria garantito per contratto (tanto per una recensione su questa o quella rivista, tanto per un’uscita televisiva e così via), pur sapendo che non ci sarà una, dico una, copia venduta; e lo stesso è in tanti altri comportamenti in cui il passato non conta e il futuro tanto meno.
Il presente, sganciato dalla memoria da una parte e da una prospettiva progettuale lungimirante dall’altra, è come il figlio per il quale (e non per sua colpa …) i genitori sono poco più che estranei e che sarà condannato alla sterilità (quella dei sentimenti, ben più grave di quella fisiologica); è come l’anticamera dell’ignoranza e della morte dello spirito critico. Proprio quello che la politica ha messo in atto, con un disegno lucidamente criminale (quindi non solo frutto inconsapevole d’incompetenza …) nel mondo della scuola amputando progressivamente gli studi umanistici fino a ridurli (non solo nell’immaginario collettivo, ma, quel che è più grave, nella realtà) ad una pura perdita di tempo, umiliando e scoraggiando gli insegnanti più vocati, bravi ed aggiornati anche sull’uso delle moderne tecnologie, altro nesso con cui sciacquarci la bocca, mentre in alcune scuole manca pure la carta igienica per pulirsi il culo …
E, a proposito di nuove tecnologie, faccio un solo esempio in tema relativamente all’indirizzo più calpestato: il liceo classico. Che senso avrebbe, infatti, sfruttare il cd in dotazione ai vocabolari di italiano, latino e greco per ricerche mirate grazie alle possibilità offerte dal connesso motore di ricerca quando fra poco il ministero preposto sancirà che alcune lettere dei relativi alfabeti potranno essere considerate opzionali e che la traduzione di un qualsiasi brano sarà da considerare valida quand’anche dovessero risultare tradotte, anche in modo non corretto, solo la prima e l’ultima parola?
Che senso avrebbe scarnificare in classe fino all’inverosimile le cinque frasi di latino assegnate il giorno prima per l’analisi, la traduzione e il commento (tante, non più di cinque, ne assegnavo io; se non è vero, qualcuno dei miei ex alunni mi sputtani pure pubblicamente …), quando già si formano comitati di genitori che premono per l’eliminazione dei compiti per casa, non per la loro riduzione (ai miei tempi, infatti, oggi ne dubito, la quantità, mi riferisco sempre alle traduzioni, nella stragrande maggioranza dei casi assumeva le proporzioni oscene di due o tre brani ognuno di almeno dieci righe, oscenità ulteriormente amplificata il giorno dopo dalla mancata correzione … roba demenziale!) e, forse, è già pronto il disegno di legge per soddisfare questa richiesta che potrebbe portare una caterva di voti (il classico cane, continuiamo a tirare in ballo gli altri animali per sentirci superiori …, che si morde la coda) a chi adotterà questo provvedimento liberatorio da tutto, meno che dall’ignoranza e, a lungo andare, dalla stupidità, perché il cervello ha bisogno di una palestra ben diversa da quella riservata ai muscoli …
Mi chiedo spesso come sarei stato io se fossi vissuto da giovane nel nostro tempo. La risposta è sempre la stessa: quasi sicuramente sarei stato peggiore di tanti giovani di oggi, avrei avuto come unica preoccupazione la bella vita e mi sarei pure drogato o, in un barlume di lucidità, suicidato per schifo di me stesso o, nell’improbabile caso in cui avessi tentato l’impari lotta contro un mondo fallito che ti fa sentire tale anche se non lo sei, per recuperare la dignità e la libertà troppe volte violentate. Se non l’ho fatto e se mi sento, tutto sommato, più giovane di un giovane del nostro tempo, dipenderà dal fatto che i miei genitori, la scuola e larga parte di quella società mi hanno insegnato che il presente è figlio del passato e padre del futuro?
Qualcuno si chiederà quale attinenza abbia quanto ho fin qui detto con la Terra d’Otranto. Qualcun altro, per il quale il passato vale quanto il presente ed il futuro, gli spieghi quale crocevia di cultura quella, anzi questa, terra è stata e spieghi pure, se riesce a farsi capire, a qualche amministratore locale e a qualche cittadino incivile (questa figura, per chi ha interesse, si chiama etimologica) che il concetto di stupro dell’ambiente (la lottizzazione con la chimera dell’occupazione da un lato e l’abbandono di rifiuti dall’altro possono sembrare a qualcuno futuro; c’è, però, l’inconveniente che lo saranno, sì, ma di merda …) è in contrasto con quelli di buono, bello e giusto ereditati da chi nei millenni ci ha preceduto e che avremmo avuto il dovere quanto meno di tentare di trasmettere, non con parole ormai vomitevoli ma con comportamenti, questa volta concreti, a coloro che son venuti e verranno dopo di noi.
RICORDANDO CHE L’HISTORIA si può veramente deffinire una guerra illustre contro il TEMPO …
CARO ARMANDO, CARO PROF.
QUESTA VOLTA TI SCRIVO DA COLLEGA: UNA “PREDICA” BEN FATTA – COMPLIMENTI. Ma il mio invito e la mia sollecitazione, ORA, è non perdersi in “chiacchiere” (pure fondamentali, essenziali, piacevoli, e gustose!), e CONTINUARE – alla grande, come stai (e-state!) facendo – a contribuire a sfondare il muro di gomma di questo “idiota suicida abbarbicamento al presente” senza mura e senza finestre – una megabolla sempre più asfissiante e pestifera (sulla “buona scuola”, ho scritto qualche nota a margine della sua “microfisica dell’alternanza scuola lavoro”: https://www.alfabeta2.it/2017/02/03/microfisica-dellalternanza-scuola-lavoro/), a produrre varchi e aprire accessi al mare, al sole, alle rive dello Jonio!
GLORIA alla FONDAZIONE TERRA D’OTRANTO, gloria a Nardò! Ho appena visto solo una foto della copertina (bellissima) del lavoro (finito!) di MARCELLO GABALLO – ARMANDO POLITO, “Santa Maria di Casole a Copertino (Lecce) ed altri repertori di Sibille”, Fondazione Terra d’Otranto, 2017. Moltissimi e vivissimi complimenti – auguri: proseguite, proseguite …
IN QUESTA DIREZIONE, E, BEN PIANTANDO I PIEDI NEL portentoso SALENTO, RICORDANDO CHE OGGI RICORRE L’ANNIVERSARIO della firma dei PATTI LATERANENSI (con il suo CONCORDATO e tutto il resto!), ti allego – a TUO omaggio e in TUO onore – una breve nota sul lavoro di un altro collega e mio amico, e ti INVITO a FARE “TRIVELLAZIONI” in tutte le direzioni per saperne di più e meglio di questa figura *storicamente* importante, originaria di Lecce. Mi auguro, e penso, che le SIBILLE ne saranno fiere e felicissime …..
BUONA-SCUOLA E BUON-LAVORO!!!
Federico La Sala
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ALLEGATO:
I PATTI LATERANENSI, MADDALENA SANTORO, E LA PROVVIDENZA. Una nota *
IL LIBRO. Nicola Fanizza, “Maddalena Santoro e Arnaldo Mussolini. La storia d’amore che il duce voleva cancellare”, Edizioni Dal Sud, Bari 2016, pp. 158, e. 15,00.
PATTI LATERANENSI (11 FEBBRAIO 1929). A un’udienza concessa ai professori ed agli studenti dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, il 13 febbraio 1929, due giorni dopo la firma dei Patti Lateranensi, Pio XI così illustra il grande evento:
“Il Trattato conchiuso tra la Santa Sede e l’Italia non ha bisogno di altre spiegazioni e giustificazioni esterne, perché in realtà esso è a se medesimo spiegazione e giustificazione la più chiara e definitiva. Ma c’è pure una spiegazione ed una giustificazione esterna non meno chiara e definitiva, e questa è il Concordato. Il Concordato, anzi, non solo spiega e giustifica sempre meglio il Trattato, ma questo gli si raccomanda come a condizione di essere e di vita. È il Concordato che Noi, appunto perché esso doveva avere questa funzione, fin da principio abbiam voluto che fosse condizione «sine qua non» al Trattato… Le condizioni dunque della religione in Italia non si potevano regolare senza un previo accordo dei due poteri, previo accordo a cui si opponeva la condizione della Chiesa in Italia. Dunque per far luogo al Trattato dovevano risanarsi le condizioni, mentre per risanare le condizioni stesse occorreva il Concordato. La soluzione era di far camminare le due cose di pari passo. E così, insieme al Trattato, si è studiato un Concordato propriamente detto e si è potuto rivedere e rimaneggiare e, fino ai limiti del possibile, riordinare e regolare tutta quella immensa farragine di leggi tutte direttamente o indirettamente contrarie ai diritti e alle prerogative della Chiesa, delle persone e delle cose della Chiesa […]”(Allocuzione di Sua Santità Pio XI ai professori e agli studenti dell’Università cattolica Sacro Cuore di Milano «Vogliamo anzitutto», 13 febbraio 1929).
L’INCARICO DI PAPA BENEDETTO XV (1919) E LA PROVVIDENZA DI PIO XI (1929). Sul conseguimento di questo risultato (“conchiudere un Concordato che, se non è il migliore di quanti se ne possono fare, è certo tra i migliori che si sono fin qua fatti”), e sulla sua comprensione (sul meglio capire come sia stato possibile), gettano luce non solo i “grandi” fatti – ricordiamo che la strada era stata già aperta dal Papa precedente, Benedetto XV (morto nel gennaio 1922), che aveva abrogato nel 1919 il “non expedit” e favorito l’ingresso dei cattolici nella vita politica e la nascita del Partito Popolare Italiano di don Luigi Sturzo – ma anche i “piccoli” fatti: in particolare, una lettera del 1919, inviata da una donna di Lecce a una sua amica pugliese di Mola di Bari.
In questa lettera, la donna salentina così scrive (“Lecce, 27-7-1919”):
“Carissima […] sono tanto occupata, adesso; probabilmente, fra giorni, dovrò mettermi in viaggio per la Basilicata, per esercitare anche lì il mio apostolato, avendo avuto l’incarico dal Papa di delegata regionale anche della Basilicata e, forse, della Sicilia e della Calabria, essendo la Puglia divisa fra tre delegate, ed occorrendo nelle suddette altre regioni un tipo di delegata energica e attiva come mi hanno fatto l’onore di definirmi a Milano”.
– E prosegue: “Poiché anche gli onori sono castighi di Dio, a me è stato dato un incarico più esteso e complicato che non quello delle altre sedici rappresentanti d’Italia. A Lecce i successi sono già cominciati e domenica, 3 agosto, ci sarà l’inaugurazione del primo circolo giovanile cattolico, che aspetta la mia parola di incoraggiamento. Possa, davvero, la mia povera opera essere proficua di bene alle giovani anime […] Maddalena”.
MADDALENA SANTORO (1884-1944). Chi è Costei? Come mai di lei non c’è alcuna traccia nei libri di storia? Questo documento apre la pista a infinite domande: fa parte di un “carteggio” sorprendente (32 lettere – dal 1919 al 1938) tra Maddalena Santoro e la sua amica Caterina Tanzarella, riportato nel lavoro di Nicola Fanizza, “Maddalena Santoro e Arnaldo Mussolini. La storia d’amore che il duce voleva cancellare” (Edizioni Dal Sud, Bari 2016). Tale carteggio (pp. 109-154) è di grande rilevanza: mostra solo la punta di un gigantesco iceberg e sollecita a sapere di più e meglio di questa donna salentina, dirigente di primo piano dell’Azione Cattolica, intellettuale e scrittrice e, non ultimo, anche amante del fratello del Duce, “il fratello di un Grande Fratello”, del quale sappiamo fondamentalmente poco (se “preferì restare nell’ombra”, come scrive Indro Montanelli nel novembre del 2000 (cfr. “Il fascino di Arnaldo Mussolini”), non per questo deve continuare a restarvi).
ARNALDO MUSSOLINI (1885-1931). Sul lungo lavoro, finalizzato alla Conciliazione tra Regno d’Italia e Vaticano, svolto “nell’ombra” (p.38) da Arnaldo Mussolini e probabilmente, alla luce dei “precedenti”, dalla stessa Maddalena Santoro, una grande traccia è in “una lettera inviata, in data 1 gennaio 1927”, dal marito di Caterina Tanzarella, Piero Delfino Pesce a un suo amico. In un linguaggio “volutamente criptico”, così scrive: “La gente di corta vista, la maggioranza grandissima, guarda a Roma; io invece guardo a Fiesole, e so che a Roma impera assolutisticamente l’Abate Tacchi Venturi. (sic.) Questo il filo per intendere molte cose” (p. 38). Il riferimento (evidentemente “eco delle confidenze” della moglie Caterina) è alle trattative sul Concordato e agli incontri segreti in un convento di Fiesole, di Arnaldo con il gesuita Pietro Tacchi Venturi (1861 – 1956), presentato proprio da Arnaldo “a suo fratello Benito verso la fine del 1922”.
Il coraggioso e originale lavoro di Nicola Fanizza, sia per la qualità della sua scrittura sia della sua preziosa documentazione sulla “storia d’amore che il duce voleva cancellare”, è una formidabile sollecitazione a riprendere anche una vecchia indicazione di Luisa Passerini (in una sua relazione nel convegno “Il regime fascista. Bilancio e prospettive di studio” Bologna 1993, ora in “Il regime fascista. Storia e storiografia”, a c. di Angelo Del Boca, Massimo Legnani e Mario G. Rossi, Laterza, Bari 1995, pp. 498-506).): “coniugare la tradizione della storiografia antifascista sul fascismo con gli studi storici che adottano le categorie di genere e di generazione” e superare definitivamente la obsoleta prospettiva storiografica che voleva e vuole ancora “le questioni di genere e la storia delle donne come questioni separate e secondarie o come questioni che hanno a che fare più col sociale che col politico”. Riguardare l’intera storia della società (e dell’umanità intera) con due occhi, non con un occhio solo!
– Da notare che in quello stesso convegno una sola volta è citato Arnaldo Mussolini (p.133), per il connubio tra affari e politica, e una sola volta è citata Rosa Maltoni (p. 504), la madre del “Grande Fratello” (e Arnaldo ed Edvige), la quale invece durante il fascismo fu oggetto di “un culto molto ampio”.
In tale prospettiva va finalmente portata alla luce nella storia delle donne del Novecento non solo la complessa figura di Margherita Sarfatti, già oggetto di più ricostruzioni non solo come “amante del Duce”, ma anche l’altrettanto complessa figura di Maddalena Santoro, non riducibile affatto a semplice amante del “fratello del Grande Fratello”!
L’UOMO DELLA PROVVIDENZA(1929). C’è da augurarsi allora che il lavoro di Nicola Fanizza cada nelle mani non solo di lettori e lettrici curiosi, ma anche di storici e storiche capaci di ricerche approfondite su queste due figure di grande importanza, specie in rapporto al fatto fondamentale della storia d’Italia che portò Regno, governo fascista e Chiesa cattolico-romana alla firma dei Patti Lateranensi quando, come diceva Papa Pio XI subito dopo ai professori e agli studenti dell’Università cattolica di Milano, “siamo stati anche dall’altra parte nobilmente assecondati. E forse ci voleva anche un uomo come quello che la Provvidenza Ci ha fatto incontrare; un uomo che non avesse le preoccupazioni della scuola liberale, per gli uomini della quale tutte quelle leggi, tutti quegli ordinamenti, o piuttosto disordinamenti… E con la grazia di Dio, con molta pazienza, con molto lavoro, con l’incontro di molti e nobili assecondamenti, siamo riusciti a conchiudere un Concordato che, se non è il migliore di quanti se ne possono fare, è certo tra i migliori che si sono fin qua fatti; ed è con profonda compiacenza che crediamo di avere con esso ridato Dio all’Italia e l’Italia a Dio”. – (Federico La Sala, 09.02.2017)
* http://www.lavocedifiore.org/SPIP/article.php3?id_article=5882 (ripresa parziale).
Federico La Sala
SIBILLA ALERAMO E MADDALENA SANTORO: DUE PROTAGONISTE DELLA STORIA DEL NOVECENTO….
La sollecitazione a FARE RICERCA sulla scrittrice MADDALENA SANTORO, su questa figura di grande rilievo nascosta tra le pieghe della memoria storica (anche) salentina, è data (tra l’altro!) anche dai tuoi APPELLI ad “accrescere, se possibile, la documentazione su un figlio di Nardò troppo presto, forse, dimenticato”, del neretino Francesco Castrignanò (cfr. “Una femminista neretina del primo Novecento” – https://www.fondazioneterradotranto.it/2013/06/08/una-femminista-neretina-del-primo-novecento/).
Tenendo presente che l’opera di SIBILLA ALERAMO (1876-1960), “Una donna”, fu pubblicato nel novembre del 1906, è più che elementare pensare che il romanzo (e gli articoli connessi sulla stampa dell’epoca) ebbe i suoi lettori e le sue lettrici non solo a Nardò, ma anche a Lecce. All’epoca, SIBILLA ha i suoi trenta anni, e MADDALENA ha i suoi ventidue anni – e già guarda lontano!
Che altro aggiungere?!
Buon lavoro!
Federico La Sala