Montesardo e i suoi due famosi Geronimo/Girolamo

di Armando Polito

immagine tratta da http://www.lameta.net/blogsalento/?attachment_id=275

Può sembrare uno stupido campanilismo, con la globalizzazione in atto, soprattutto se detto da me che, pur legato alla mia terra, mi dichiaro e mi sento cittadino (se lo dimostro non sta a me giudicarlo) del mondo, non poter negare che ogni terra rimane nella memoria più o meno collettiva, non fosse altro che per aver dato i natali ad un personaggio illustre.

Montesardo, lo dico anche per i salentini, pochi o molti, che probabilmente lo ignorano, è una frazione di poco più di mille abitanti, del comune di Alessano, in provincia di Lecce. Sul toponimo mi soffermo brevemente, prima di passare al cuore dell’argomento di oggi.

A chi non verrebbe in mente in prima battuta di ipotizzare che Montesardo nasca dalla fusione di un sostantivo (monte) e di un aggettivo (sardo)? A quel punto, però, ci si chiederebbe: passi il monte, ma la Sardegna che ci sta a fare con il Salento? Prima di avventurarsi in una navigazione tempestosa, quella stessa che avrebbe dovuto portare gli isolani a mettere piede da noi, ipotizzando, magari un naufragio a causa di un carico di loro pietre da noi commissionato, col tempo recuperate e poi utilizzate per l’edificazione del primo nucleo abitativo, col rischio che la nostra fantasia contribuisca alla circolazione delle tante bufale che vagano nel web, magari sotto forme di leggende più o meno inventate sul momento, è proprio alla ricerca delle fonti che dovremmo subito dedicarci.

Scopriremmo, così, che la più antica testimonianza del toponimo risale al XVI secolo. Antonio de Ferrariis detto il Galateo così scrive nel De situ Iapygiae scritto tra il 1510 e il 1511 e pubblicato postumo per i tipi di Perna a Basilea nel 1553, scrive:

A Vastis nulla occurrunt antiquitatis vestigia usque ad Montem Arduum oppidum, ab acra Iapygia VII millibus passuum remotum, ubi et urbs antiqua fuit; eius pars in colle, pars in plano sita, mediocris magnitudinis: huius et nomen abolitum est. In eminentiore huius urbis parte in edito colle pulchrum est oppidulum. Memini me a veteribus audisse Graecis hanc urbem τραχεῐον ὅρος, quod Latine asperum, seu arduum montem exprimit: erat enim urbs in lapidoso, et aspero monte sita. Hic pars est Apennini,qui ad Acram Iapygiam terminatur. Quin etiam a peritis navigantibus me audisse memini usque ad XL, aut L milia passuum in mare protendi iuga Apennini, cum hinc atque illuc illius metiatur mare

(Non si presenta nessun resto antico da Vaste fino alla città  Monte Arduo, distante sette miglia dal promontorio iapigio, dove ci fu pure un’antica città; una sua parte sita su un colle, l’altra in pianura, di mediocre grandezza. Il suo nome è scomparso. Nella parte più alta di questa città su un colle elevato c’è un un grazioso piccolo villaggio. Ricordo di aver sentito da vecchi che per I Greci  questa città era τραχεῐον ὅρος, che in latino significa ripido monte: infatti la città era sita su un monte pietroso e scosceso.Qui c’è la parte dell’Appennino che termina presso l’estremità della Iapigia. Anzi ricordo do aver sentito pure da esperti naviganti che la catena dell’Appennino si protende in mare fino o quaranta o cinquanta miglia, considerando il suo mare dall’una e dall’altra parte).

Luigi Tasselli in Antichità di Leuca, Eredi di Pietro Micheli, Lecce, 1693: … ho inteso da persone molto erudite che Monte Sardo era Città antichissima, e si chiamava da tutti con nome scorretto Ananduso, o in lingua messapia Vetuso: e che quando arrivarono i Mori nella Salentina, i Primari di Montesardo, mandarono tutto l’oro, che havevano in Vereto,  Città in quei tempi fortissima, acciò ivi meglio si custodisse: perloche i Veretini, così l’oro proprio, come di Montesardo, scavando una fossa, lo sotterrarono.  Ma spianata da’ Mori Vereto, e rovinata tutta la Puglia da questi Barbari, havevano sempre in proverbio le genti, e dire: L’Oro di Amanduso , o Vetuso, dentro Vereto sta chiuso.

La testimonianza del Galateo è quella tenuta più in conto ai fini dell’etimo del toponimo. In buona sostanza: Montesardo sarebbe il risultato della deformazione di un originario Mons arduus, a sua volta traduzione in latino del greco τραχεῐον ὅρος. Il carattere deformante del processo si sostanzierebbe nella conservazione della s finale di mons dopo la sua traduzione in monte.

In rete, tuttavia, non mancano proposte alternative che, partendo dal Galateo e dal Tasselli,  mettono in campo il capo messapico Artas. A tal proposito segnalo al lettore interessato: http://montesardo.ilcannocchiale.it/

http://www.salogentis.it/2011/11/27/appunti-sullorigine-e-la-storia-di-montesardo-monte-aspro-o-monte-di-artos/

Certo è che tutto è dubbio quando già le uniche due  fonti di partenza mettono in campo a suffragio del loro ricordo fonti orali (memini me a veteribus audisse il Galateo e, parallelamente, ho inteso da persone molto erudite il Tasselli) e, dando per scontato in tal tipo di trasmissione la probabilità più alta di deformazioni , magari nel tempo sedimentate l’una sull’altra, qualsiasi ipotesi è teoricamente plausibile .

Chiusa la parte toponomastica, va detto che tutta la Terra d’Otranto in passato (oggi non saprei …) è stata la culla vivace di personalità di livello spesso non solo nazionale e già per Alessano ho avuto occasione di ricordare Cesare Rao (https://www.fondazioneterradotranto.it/2014/10/13/cesare-rao-di-alessano-e-il-suo-bestseller/?). Oggi lo farò per due figli della sua frazione, l’uno pressoché contemporaneo del Rao (XVI secolo), l’altro fiorito nella prima metà del secolo successivo, il primo filosofo e docente nell’Università di Padova, poi di Salerno e infine di Napoli, il secondo musicista.

Il taglio di questo post è esclusivamente bibliografico, perciò mi limiterò a presentare i frontespizi delle loro opere più significative che sono riuscito a reperire. Comincio dal filosofo.

Di seguito il colophon da cui si ricava la data di edizione.

Passo ora al musicista, Girolamo Melcarne, tanto legato alla sua terra da assumere il nome di Girolamo Montesardo.

Alcune sue composizioni furono inserite alle p. 15-17 dell’opera, postuma, di un altro musicista pugliese (era nato a Bari) Pomponio Nenna (1556-1608). Di seguito quest’ultimo frontespizio.

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