di Maria Antonietta Bondanese
Osserva, valuta, progetta. Con gesti sapienti realizza quindi piccoli e grandi manufatti.
Bambino di ieri, costruisce trottole (curupizzi), raganelle, rocchetti (yo-yo) evocando l’allegria e la spensieratezza dei passatempi di una volta, quando i giochi si facevano per strada, in gruppo, ‘armati’ di noccioli di frutta, sassi, tappi di bottiglia e tanta fantasia. Tutte le abilità venivano coinvolte allora nel gioco, si sviluppavano autonomia, riflessione, confronto.
Cosimo Morieri sorride mentre mi mostra il lancio della trottola, spiegandomi le regole di un’attività ludica semplice e festosa, ma ormai dimenticata.
La sua bravura nell’intagliare e levigare il legno traspare dalla ricchezza e varietà dei tanti capolavori in miniatura che esegue con precisione di dettagli e sagace fattura: macchinine, mortai, pipe, portacandele, cannoncini, “Pinocchi” dall’aria trasognata e orologi sentenziosi sul “tempo che passa”. Mai identici uno all’altro, pur nella ripetizione del soggetto, questi esemplari sono ‘unici’ perché prodotti non in serie ma uno per uno, in legno d’ulivo, con scrupolosa cura.
Nelle sue creazioni, Cosimo Morieri trasferisce le competenze, l’intelligente manualità e la passione del suo vecchio mestiere di idraulico e manutentore di macchinari, di una vita lavorativa da artigiano.
Ultimo di quattro figli maschi, Cosimo nasce il quattro gennaio 1955 da Alfredo Morieri e Leonilde Del Genio, e ‘respira’ con i fratelli più grandi Attilio, Michele e Luigi, l’aria degli anni Cinquanta, con le difficoltà, le attese e le speranze che anche a Supersano si vivevano, dopo l’incubo del secondo conflitto mondiale e i moti contadini di occupazione delle terre.
Nella convinzione che lo sviluppo economico e sociale nel Sud del dopoguerra passasse attraverso la riforma agraria, anche i braccianti salentini si erano infatti mobilitati, occupando le aree non coltivate nel comprensorio dell’Arneo. «Sulle terre incolte d’Arneo/ noi porteremo la vita ed il lavoro/ darem le terre a tutti coloro / a cui l’agrario per anni negò», cantavano i contadini tra il dicembre 1950 e il gennaio 1951. Accusato di favoreggiamento, subiva alcuni giorni di arresto anche Cesare Reho, segretario della Camera del Lavoro di Supersano, poi tra i primi a promuovere l’occupazione del latifondo nel nostro Comune, in contrada “Schillanti”. A mediare il contrasto con i proprietari De Marco, interverrà il dottore Rocco De Vitis che si adoperò per il frazionamento in piccole quote della zona “Schillanti”, assegnate con sorteggio a circa mille famiglie di Supersano. Di lì a poco, però, la Legge 634/1957 di “Rifinanziamento della Cassa per il Mezzogiorno” contribuì a spostare gli aiuti statali dall’agricoltura all’industria, con il conseguente esodo migratorio dalle campagne verso il Nord d’Italia e l’ Europa, da una parte e ,dall’altra, con lo sforzo di una emergente classe di imprenditori meridionali ad esplorare nuove strade per il riscatto e la trasformazione dell’economia locale.
A Supersano prosperavano piccole e grandi imprese, fabbriche del legno e officine del ferro dove con molta perizia si realizzavano oggetti il cui fascino balza vivo nei ricordi di Cosimo Morieri, nelle cui opere in ferro battuto si riflette quella maestria e quella cultura della manualità. Lavorando con pinze e martello, seghetto e tronchesi, Cosimo ottiene da tondini di ferro di diverso spessore forme di estrema eleganza ed espressività per “quadri” di dimensioni variabili, dai più piccoli a quelli grandi fino a 2.34 x 1.40 m. «Il ferro l’ho sempre maneggiato a freddo», dice indicandomi la morsa che va utilizzata con energia, a forza di braccia, per materializzare figurazioni di sogno. Delicate farfalle, fanciulle seducenti, idre fantastiche e mitici eroi che non destano stupore in questo lembo di Finisterrae, ponte aggettato verso la classicità greca, luogo di transito di civiltà, centro di diffusione dell’arte testimoniata dagli affreschi delle tante cripte basiliane come la Coelimanna di Supersano e del pensiero, attestato dal paziente lavoro degli amanuensi di Casole, capace di trapassare gli spessi muri del monastero e del tempo per giungere fino a noi.
Figlio di una terra dove le pietre, le tradizioni religiose, la musica della taranta evocano una magia permanente, Cosimo Morieri ne traduce, a proprio modo, la seduzione per intero.
L’incanto del passato, della storia torna nello straordinario “velocipede” che Gina De Donatis, da quarant’anni felice consorte di Cosimo, mi mostra sorridente. Cosimo ne ha realizzati due esemplari, uno in legno e l’altro in ferro, da lui stesso verniciato d’azzurro.
Di poche parole, ma cordiale e sincero, Cosimo ci addita forse, con l’antico prototipo dell’odierna bicicletta, la via per ricominciare a “pedalare”, a guardare avanti con fiducia al futuro.