di Andrea Panico
In corso agli interventi di ristrutturazione, il complesso edilizio, di proprietà Micheli-Vergine, in via Del Balzo, sta ritrovando luce nuova sui suoi secoli di storia.
Qui, fino a tutta la metà del XIX secolo visse la famiglia Mory ed è probabile che questa sia l’originaria residenza di questa famiglia che successivamente, nel corso dell’ampliamento cinquecentesco dell’abitato, volle costruirsi un nuovo palazzo dall’altra parte della città nella via che portava e porta ancora il loro nome.[1]
Lo stemma di famiglia – un giovane armato di alabarda e sormontato da un crescente, in postura frontale fuoriuscente da un’alta torre merlata –, si vede ancora in chiave al cinquecentesco portale al quale sono state rasate le bugne in un tempo imprecisato. Un’analoga arma in pietra è presente sul portale tardo-cinquecentesco del palazzo sito in via Mory. Lo stemma, non ultimo – con la variante di un piccolo crescente rovesciato e l’impugnatura della lancia, invece dell’alabarda o della spada –, è dipinto in due scudi araldici, posti ad ornamento del complesso programma iconografico del chiostro della Basilica di Santa Caterina d’Alessandria a Galatina[2].
I lavori in corso hanno riportato in luce un’edicola votiva posta in facciata. Questa occultata in un dato tempo alla vista dei passanti, si presenta dipinta in tutte le sue parti. L’opera se pur conservata parzialmente è ancora leggibile nel suo insieme.
L’immagine, sulla parete di fondo, è ricavata dai racconti della Passione nei Vangeli canonici, di cui può essere considerata un riassunto visivo, ed anzi presuppone forse un intento didattico e mnemonico.
La figura patetica di Cristo – Uomo dei dolori –, è un soggetto che si diffonde soprattutto durante il XV secolo e si tratta in prevalenza di un’interpretazione iconografica non congiunta specificamente a un testo. È legata alla Passione ma “proiettata” fuori dal tempo. Nell’arte, il soggetto presenta alcune importanti varianti, come nella pittura del palazzo Mory.
Nelle opere che raffigurano l’Uomo dei dolori, il Cristo compare da solo, con il corpo martoriato e le ferite delle mani, dei piedi e del costato.[3] In alcuni casi, specie nell’arte italiana, Cristo viene raffigurato in piedi all’interno del sepolcro, con gli occhi chiusi. Nella pittura in esame, è inserita, come in una scena di Pietà, la disperazione privata, solitaria, inconsolabile di Maria che stringe a sé il Figlio morto.
Sullo sfondo, la Croce incombe sulla “muta” adorazione di Maria. Nella parte alta, inserito in un cartiglio, vi è l’iscrizione I.N.R.I, acronimo di Iesus Nazarenus Rex Iudaeorum, Gesù di Nazareth re dei Giudei. Si tratta della motivazione della sentenza di morte, ufficialmente legata alla pretesa di Gesù di essere riconosciuto come re.
Fra le Arma Christi compaiono, oltre la Croce: la corona di spine, la canna con la spugna intrisa d’aceto, la lancia di Longino e la scala a pioli.
L’immagine centinata è riquadrata da un ornamento in doratura che separa quest’ultima dalle pitture realizzate ai lati dell’edicola. Questo spazio è suddiviso in tre campi distinti. In alto, un cielo trapunto di stelle ed una decorazione a “rosetta” posta a finta chiave di volta. Ai lati, due santi, entrambi barbuti. Di quest’ultimi, l’uomo posto a destra dell’osservatore ha il capo coperto da un possibile cappuccio e nella mano destra un libro.
L’opera, non ancora oggetto di un’indagine scientifica ed in corso di restauro, può con tutta probabilità ascriversi nelle immagini devozionali eseguite nel corso del XVI secolo.
NOTE
[1] Palazzo Mory, come altri edifici analoghi sono il risultato dell’occupazione edilizia dei suoli ricaduti nell’ampliamento cinquecentesco del circuito murario. CAZZATO M., Palazzi e famiglie. Architettura civile a Galatina tra XVI e XVIII secolo, Galatina, Congedo 2002.
[2] Nel chiostro della Basilica di Santa Caterina d’Alessandria, gli scudi araldici, inseriti nel ciclo pittorico del 1696 di fra Giuseppe da Gravina, sono dipinti in posizione centrale al di sotto delle storie francescane, inseriti nella parte superiore degli allungati cartigli al cui centro trovano posto le ottave in endecasillabo. Le scene ornate dallo stemma dei Mory sono San Francesco dinanzi al Sultano e San Francesco riceve le stigmate. PAPADIA B., Memorie storiche della città di San Pietro di Galatina nella Japigia, ristampa, a cura di Vallone G., Galatina, Congedo, 1984. MONTEFUSCO L., Stemmario di Terra d’Otranto, Lecce, 1997. SPECCHIA D., Gli affreschi del chiostro. Basilica di S. Caterina d’Alessandria Galatina, Galatina, Salentina 2007.
[3] L’Uomo dei dolori, non va confuso con le versioni “solitarie” dell’Ecce Homo. Anche qui Cristo compare da solo, con il corpo martoriato e l’espressione afflitta: però mancano i segni dei chiodi della Croce, mentre sono messi in evidenza la corona di spine, il mantello rosso e lo scettro di canna.
Lo stemma dei Mory, in pietra leccese, lo troviamo anche nella chiesa della Madonna del Carmine, terzo altare laterale a destra. Duplice esemplare nella chiesetta di San Rocco, in via Robertini e in una masseria poco dopo la zona industriale di Galatina, che indica gli antichi proprietari.
Gli altari del Carmine e di S. Rocco furono elevati certamente su committenza di questa nobile famiglia.
grazie per la preziosa informazione
Grazie per l’ottimo lavoro che mi consente di ampliare le conoscenze della mia famiglia.
Mario Mory