di Armando Polito
Il grande Vico ci ha insegnato che la storia si ripete, ma ogni volta lo schema, collaudato da millenni e che fa della massima ciceroniana historia magistra vitae etc. un’utopia bellissima, presenta dettagli nuovi. Per esempio: la fuga dei cervelli non è un fenomeno che si nota ora per la prima volta; solo che il trascorrere del tempo, con le sue implicazioni di ogni tipo, in primis quelle politico-amministrative, ha fatto sì che il fenomeno attualmente riguardi tutti i cervelli della penisola, mentre in passato (sono coinvolti nella fattispecie i secoli XVI-XVIII) esso coinvolgeva solo quelli dell’estremo sud costretti a trasferirsi a Napoli o a Roma, per vedere il loro talento emergere, essere riconosciuto e valorizzato. In particolare la schiera dei salentini che a Napoli fecero fortuna e che, grazie alla loro coraggiosa scelta (non è mai facile allontanarsi dagli affetti natii), non sono rimasti anonimi ma si sono mostrati personaggi di spicco nella cultura del tempo, è corposissima e di più di uno ho avuto occasione di trattare su questo blog. Prendendo in considerazione Napoli è risaputo che la città si identifica ancora oggi nel mondo con la triade Vesuvio, pizza e mandolino. Sarò banale, ma ho citato tre ingredienti del corteggiamento amoroso di un tempo, cioé i tre elementi che potevano dare un aiutone nel fare breccia in un cuore e, almeno per i maschi, non solo in quello … La vita frenetica di oggi ci costringe a non perdere tempo nemmeno in questo tipo di conquista e così si tende subito, da una parte e dall’altra, a passare subito al dunque (non c’è bisogno di dare definizione dettagliata del valore sostantivato di questo che nativamente è un avverbio …), saltando la contemplazione di un elemento esterno accattivante (qui leggi Vesuvio, ma può essere un tramonto, una scogliera, un albero, un animale perfino un sasso …) prima, la classica cena a lume di candela (leggi pizza) poi e, infine, la culla sensuale e preludente di un ballo lento (leggi mandolino).
Non fa perciò meraviglia che il Vesuvio costituisse nella letteratura amorosa1 del passato un topos, metafora quasi fatale di un cuore innamorato. Questa condizione mette a dura prova la caratteristica fondamentale di qualsiasi opera d’arte, cioé l’originalità e nel nostro caso in particolare non si può sfuggire, neppure volendolo, a quella che sembra una scelta obbligata, cioé l’utilizzo, tra tante figure retoriche, della similitudine. Così nella produzione poetica amorosa che utilizza quest’immagine non è dato cogliere, a mio avviso, nulla di particolarmente caratterizzante, se non qualche guizzo formale, soprattutto, e non poteva essere altrimenti, in quella di epoca barocca.
E proprio a tale periodo risale la poesia di oggi, quella di un salentino di cui mi sono ripetutamente già occupato su questo blog (segnalo un solo link, il più recente, dal quale si potrà risalire agli altri: https://www.fondazioneterradotranto.it/2016/10/31/pellegrino-scardino-san-cesario-lecce-la-tarantata/).
La riporto da Peregrini Scardini epigrammatum centuria, Vitale, Napoli, 1603; a fronte la mia traduzione e in calce qualche nota di commento.
In cinque distici elegiaci si consuma la celebrazione di un amore forse non corrisposto (ma lo si può immaginare pure semplicemente lontano) con la consueta similitudine iniziale che nel suo sviluppo si rivela immediatamente per contrapposizione e che alla fine passa da un sentimento di partecipe fratellanza a quello di una dichiarata invidia. L’unico guizzo formale (un vero e proprio gioco di parole) sarebbe potuto essere plagis, dativo plurale di plaga. Se il fascino della parola poetica consiste nella sua ambiguità, la migliore occasione a tale scopo è offerta dagli omofoni (per i non addetti ai lavori: parole che hanno la stessa forma ma significato ed etimo diversi). Di plaga in latino ne abbiamo ben tre: uno significa colpo, percossa, l’altro zona, regione, l’ultimo rete, laccio. Anche il meno dotato di fantasia comprende come i concetti di colpo e di laccio ben si adattino a quello di amore (basta pensare a colpo di fulmine e lacci d’amore); eppure l’autore sembra essersi negato questa possibilità accoppiando plagis con l’aggettivo superis in una locuzione che inequivocabilmente nell’uso comune (attenzione a comune!) assume sempre il significato che in traduzione sono stato costretto a privilegiare (parallelo al sublimis nubibus riferito al vulcano), nonostante per l’innamorato anche uno schiaffo molto energico e qualsiasi limitazione della sua libertà possano essere superi. Comunque, il pregio maggiore del componimento, se non l’unico, secondo me sta proprio nella brevità; e questo mio giudizio, per quel che può valere, non equivale necessariamente ad una stroncatura …
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1 Per il taglio del post sono obbligato a dire qui che il vulcanismo anche come fenomeno scientifico non fu estraneo alla cultura salentina, in particolare neretina, anche se quest’ultima con riferimento alla zona dei Campi Flegrei (https://www.fondazioneterradotranto.it/2015/01/26/marco-antonio-delli-falconi-di-nardo-tiene-a-battesimo-il-monte-nuovo/). E per la descrizione poetica, sempre salentina, di un’eruzione del Vesuvio, quella devastante del 1631 (qui la metafora amorosa non c’entra), rinvio a https://www.fondazioneterradotranto.it/2015/01/12/leruzione-del-vesuvio-del-1631-nella-poesia-di-un-salentino-e-di-un-napoletano-con-una-sorpresa-finale/.
***** “ARALDICA” , ARCHEOLOGIA, E SOCIETA’ ****
CON UNA MOSSA MAGISTRALE lo “STEMMA” della Città di NAPOLI, “con la triade Vesuvio, pizza [con basilico e pummarola ‘ncoppa] e mandolino”, è stato sottratto a una lettura riduttiva e storicamente scorretta e ingiusta e, grazie all’aiuto illuminante della “dichiarata invidia” (che getta luce anche sull’altra poesia sulla “taranta”) di PELLEGRINO SCARDINO DI SAN CESARIO DI LECCE (https://www.fondazioneterradotranto.it/2016/10/31/pellegrino-scardino-san-cesario-lecce-la-tarantata/), ed è stato restituito alla sua antica DIGNITA’ e … al suo nuovo splendore!!!
***BEN FATTO, CARO PROF. POLITO, I MIEI PIU’ VIVI COMPLIMENTI****
Federico La Sala