di Armando Polito
Tra le fonti della storia di Nardò è da annoverare il Libro d’annali de successi accatuti nella Città di Nardò. notati da Don Gio. Battista Biscozzo di detta Città. Quest’opera rientra nel filone delle cronache locali e copre il periodo che va dal 1° novembre 1632 al 2 settembre 1656. A chi fosse interessato a sapere nel dettaglio come l’opera è giunta fino a noi segnalo G. B. Biscozzi e il suo “Libro d’Annali” di Nicola Vacca, in Rinascenza salentina, anno IV, n. 4, Pinto, Lecce, 1936 (http://www.emerotecadigitalesalentina.it/file/912#page/1/mode/1up). In appendice allo stesso numero della rivista lo stesso interessato troverà il testo del Biscozzo pubblicato dal Vacca (per la prima parte: http://www.emerotecadigitalesalentina.it/file/910#page/20/mode/1up; per la seconda http://www.emerotecadigitalesalentina.it/file/911#page/1/mode/1up). Qui basti dire che il manoscritto autografo è andato perduto, ma di esso restano alcune copie di epoca posteriore, da una delle quali il Vacca trasse il testo da lui pubblicato.
A p. 8 si legge:
Un’eruzione dagli effetti così spettacolari non può essere che quella, devastante, del Vesuvio, avvenuta il 16 dicembre del 1631. Se è assolutamente plausibile che le ceneri siano piovute a quasi una settimana dal catastrofico evento ed assolutamente credibile il dettaglio del loro arrivo a Costantinopoli1, non è assolutamente pensabile che lo stesso fenomeno sia avvenuto a distanza di circa un anno e una settimana dall’eruzione.
Un evento così tragico trovò un’eco immediata, prolungatasi poi negli anni successivi, nella produzione letteraria e scientifica. Sterminato è, in particolare per questo secondo filone, il numero di ragguagli e relazioni, la cui attendibilità trova conforto nell’autorevolezza dei personaggi e nella loro contemporaneità.
Mi limito a riportare solo la testimonianza di Giulio Cesare Braccini che all’evento dedicò due scritti. Il primo ha per titolo Relazione dell’incendio fattosi nel Vesuuio alli 16 di decembre 1631. Scritta dal signor abbate Giulio Cesare Braccini da Giouiano di Lucca, in una lettera diretta all’eminentissimo card. Girolamo Colonna, Roncagliolo Napoli, 1631.
Del secondo riproduco il frontespizio e la parte che ci interessa, tratta da p. 36:
Tra un testimone probabilmente oculare (Braccini) e un altro che quasi sicuramente non lo fu (Biscozzo), a chi dareste più credito? Senz’altro al primo. Come spiegare, allora la data riportata nella cronaca neretina?
A me vengono in mente le seguenti ipotesi e sarei felice se qualche lettore ne correggesse qualcuna o ne integrasse la serie:
1) Può essere successo che il copista abbia letto l’originale 1631 come 1632. Bisognerebbe immaginare, però, che tale errore sia stato ripetuto per tutti gli eventi attribuiti al 1632 ma che nella copia madre (a maggior ragione nel perduto autografo) erano registrati per il 1631. La cronaca originale, perciò, sarebbe iniziata dal 1631 e non ci sarebbe niente di strano che essa poi saltasse il 1632 passando al 1633, perché nulla è registrato pure per gli anni 1634, 1637, 1640, 1641, 1642, 1644, 1645, mentre la cronaca diventa più dettagliata, si direbbe giornaliera, a partire dal 1647.
2) Non è da escludere che l’errore sia nativo, che cioè il Biscozzo abbia intrufolato nel 1632 l’evento dell’anno precedente a causa del ricordo cronologicamente impreciso di un evento relativamente lontano (essendo nato nel 1613, alla data dell’eruzione aveva 18 anni), che, per quanto sconvolgente, era stato, se non rimosso, almeno elaborato.
3) Non credo che sia sufficiente questo benedetto 1632 per giungere alla conclusione, in parte esiziale per tanti studi sulla storia di Nardò che hanno tenuto in conto questa fonte, che la cronaca stessa sarebbe un falso.
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1 A parte la decisiva testimonianza esibita successivamente, il Vesuvio aveva dato almeno un’analoga prova della sua potenza:
CARLO SIGONIO (1520-1584)
Caroli Sigonii Historiarum de occidentali imperio libri XX, Wechel, Hanoviae, 1618, pagg. 146 e 280.
Libro XIV:
Anno 472 Vesuvius mons in Campania intimis aestuans ignibus viscera exusta evomuit, nocturnisque in die tenebris incumbentibus, omnem Europam minuto cinere cooperuit. Itaque eius portenti memoriam annuam Constantinopolitani in-stituerunt 8 Idus Novembris. Ea re Leo Imperator exterritus urbe excessit atque ad S. Mamantem consedit.
(Nell’anno 472 il monte Vesuvio in Campania ribollendo di fuochi interni vomitò le bruciate viscere e, mentre tenebre notturne incombevano sul giorno, ricoprì di sottile cenere tutta l’Europa. Così i cittadini di Costantinopoli istituirono la com-memorazione di quel prodigio il 6 novembre202. Per quel fatto l’imperatore Leone si allontanò dalla città e si stabilì presso [la basilica di] S. Mamante)
Per completezza (e per dare a Cesare quel che è di Cesare …) va detto che il Sigonio ricalca pari pari MARCELLINO COMES (V-VI secolo d. C.), Chronicon (in Migne, Patrologia Latina, vol. 51):
- C. 472. Ind. X, Marciano et Festo coss. Vesuvius mons Campaniae torridus intestinis ignibus aestuans exusta evomuit viscera, nocturnisque in die tenebris incumbentibus, omnem Europae faciem minuto contexit pulvere. Hujus metuendi memoriam cineris Byzantii annue celebrant VIII idus Novemb.
(Anno di Cristo 472. Decima indizione, sotto i consoli Marciano e Festo il monte Ve-suvio in Campania incandescente di fuochi interni vomitò le viscere bruciate e men-tre notturne tenebre incombevano di giorno ricoprì tutta la superficie dell’Europa di minuta polvere. Bisanzio celebra il ricordo di questa temibile cenere ogni anno il 6 novembre)