I Santi nel Salento fanno parte di esso, della sua cultura, dei suoi sapori, dei suoi colori, delle sensazioni che evocano, insomma, per citare Marti e Spedicato, di quella piccola Patria di cui si sentono parte i Salentini, nativi o adottivi.
L’idea di scrivere dei santi ha un po’ meravigliato mia madre e, forse, anche molti amici che mi conoscono come uomo di scienza e sufficientemente laico. Questa idea prescinde la fede e la devozione, che afferiscono alla sfera prettamente personale, e nasce dal fatto che conoscere la loro storia , per quanto talvolta fantasiosa e incredibile, ti fa comprendere la rappresentazione che di essi viene fatta e può aiutare a comprendere le ragioni di alcune forme devozionali.
Qualcuno potrebbe pensare che le loro storie sono spesso poco storiche e scientifiche, ma al di là di supplizi più o meno truculenti, resta sempre l’atto di grande fede, per chi crede, ma anche di libertà che caratterizza tutti: la libertà di amare Dio e il Prossimo rinunciando ai propri beni alla propria vita e alla propria libertà.
Pittori e artisti li rappresentano con dei simboli che si riferiscono al loro martirio e alla loro vita e noi, conoscendone la vita e le gesta, possiamo riconoscerli in una cattedrale, in una edicola, in una chiesetta di campagna o in un museo o anche solo in una casa.
Apprezzare l’arte è una delle cose più belle della vita e per farlo occorre sapere e capire.
Mi viene in mente un episodio che riportava mio padre: un esperto di banda e melomane ascoltava la Traviata in piazza. Un signore si avvicinò e, conoscendo la sua fama gli disse:« Maestro cosa suonano?» Lui lo guardò perplesso e poi disse, scuotendo la testa: «Se la senti e non la capisci se ti dico la sai?»
Così per l’arte sacra, ma anche per le rappresentazioni mitologiche: se le storie non le sai non puoi capire le immagini anche se qualcuno ti dice chi è il personaggio e se non comprendi non puoi godere a pieno l’arte.
Sant’Eligio (Santu Liggiu o Sant’Alòi) 1 dicembre
Sant’Eligio (Santu Liggiu o Sant’Alòi) era un santo molto venerato nel Salento, soprattutto dai contadini che avevano un cavallo, una mucca o un mulo o un asino.
La ragione sta nel fatto che questo santo, orefice prima di diventare consigliere del Re, monaco e poi Vescovo, avrebbe riattaccato la zampa rotta di un cavallo, come si vede in dipinti nella chiesa di Santa Marina a Muro e nella cripta della Madonna della Crutta a Ortelle.
Veniva citato dai contadini che, nei casi disperati, erano soliti dire “Santu Liggiu ne azza i fierri” volendo dire che se un Santo capace di tali imprese raccoglieva i ferri del mestiere per andarsene non c’era proprio rimedio.
In caso di malattia della bestia i contadini facevano fare all’animale il giro di alcune cappelle, ove era effigiato il Santo. Una di queste era la cappella di San Vito e la Madonna della Crutta a Ortelle.
Santa Marina 17 luglio
Santa Marina di Antiochia in Pisidia era figlia di un sacerdote pagano. Dopo la morte della madre, il padre la affidò a una nutrice che praticava il cristianesimo e la educò ai principi della nuova religione. La stessa Santa è nota anche con il nome di Margherita. Con questo nome compare in una nota preghiera:
Santa Margherita,
si bella e si pulita,
do’ ancili ammenzu a casa,
doi nthra lu lettu,
la Madonna la portu ampettu,
Gesù Cristu an capitale,
Lu Nimicu cu se pozza scunfunnare.
Fusci, fusci, Tantaziune,
ca su fija de Maria,
ca la Madonna m’aje prumisu
ca me daje lu paradisu ,
se no osci crai
quannu moriu me lu dai.
Marina, dicevamo, si era convertita; quando il padre lo scoprì la cacciò via e la riaccolse la sua nutrice. La fanciulla, anche se povera, era bellissima e la notò il governatore di quei posti che voleva sposarla. Marina, però, rifiutò e fu imprigionata. In prigione fu tentata dal demonio che le si presentò sotto forma di dragone e la inghiottì viva. Lei non si perse d’animo e gli squarciò la pancia con la croce, uscendone viva. Fu poi ancora seviziata e infine decapitata.
La bellezza del suo volto e il bel colorito la facevano invocare, perché preservasse e guarisse dall’ittero (mal di fegato) e dal pallore (anemia) mentre il fatto di essere uscita dalla pancia del drago, la fece invocare per le partorienti. L’ittero anticamente veniva chiamato male dell’arco, poiché si riteneva un cattivo influsso dell’arcobaleno e i fedeli compravano dei nastrini colorati, le zagarelle, le strofinavano sulla statua della santa e poi sul viso proprio e dei bambini per poter avere sempre un colorito sano.
In alcuni dipinti la croce nella mano della santa è diventato un martello che simboleggia la pazienza e la perseveranza.
A Ruggiano chi andava in pellegrinaggio a Santa Marina si fermava e urinava nei pressi di un arco, come un atto di purificazione, recitando la formula
Arcu bell’arcu
bellu pintu e bellu fattu,
ci te vide e no te saluta,
de culure cu tramuta.
Ieu te vitti e te salutai,
lu culure no persi mai. (o te culure ne guadagnai)
Qualcuno aggiunge:
Santa Marina, ca an Paradisu stai,
famme na grazia ca la potenza l’hai,
fammela prestu e no ntardare
ca sinti Santa ca la pote fare.
Santa Marina viene invocata anche contro l’emicrania e contro le maldicenze, ma in questo caso si confonde con un’altra Santa, santa Marina di Bitinia, che visse come monaco in un convento e fu accusata di essere il padre di un bambino e per questo allontanata col figlio dal convento. Accettò la punizione finché fu riaccolta nel convento in punto di morte. Quando, dopo morta, i monaci andarono a lavare il corpo, per prepararlo alla sepoltura, scoprirono il segreto del monaco Marino, che aveva accettato tutte le bugie in silenzio fino a morirne.
San Giorgio
San Giorgio era un soldato, cavaliere originario della Cappadocia.
Un giorno, passando da Silene in Libia (ma per altri da Berito, l’attuale Beirut, in Libano), vide una fanciulla atterrita sulla riva di uno stagno.
Gli abitanti di quel posto erano terrorizzati da un dragone orribile che viveva in quello stagno e ogni tanto ne usciva per uccidere animali o persone che incontrava.
Si era arrivati ad offrire del bestiame, ma questo non bastò, per cui si decise di immolare un fanciullo o una fanciulla, scelti a sorte fra i giovani della città.
Quel giorno era toccato alla figlia del Re. Giorgio, che passava, la vide e aspettò la bestia, la tramortì e la portò vicino alle mura della città dove la uccise fra il tripudio della gente che si convertì al cristianesimo.
La vicenda è propriamente simbolica dove il cavaliere è la Chiesa e il dragone il paganesimo e il male.
Anche il nome, Giorgio, vuol dire in greco uomo che coltiva la terra è significativo. Il martire è stato uno dei santi più presenti nella tradizione orientale e perciò il suo culto fu molto diffuso dai monaci basiliani. Secondo la tradizione fu decapitato in Palestina. A Ortelle viene invocato contro la malaria.
S. Vito 2° e 3° domenica di ottobre
S. Vito, giovinetto siciliano di Mazzara del Vallo, venne martirizzato a Roma, con la nutrice Crescenza e il pedagogo Modesto, che lo avevano educato alla cristianità, per ordine dell’Imperatore dopo che il Santi aveva salvato proprio il figlio dell’Imperatore stesso posseduto dai demoni.
Viene raffigurato con uno o due cani perché protegge dalle bestie inferocite, in particolare protegge dalla rabbia, poiché la leggenda vuole che sia stato gettato in una fossa con delle bestie feroci che però lo risparmiarono.
Viene invocato anche per il ballo di San Vito o Corea, una malattia neurologica che porta i soggetti affetti a fare dei movimenti involontari, ampi e bruschi soprattutto con gli arti come se fossero una danza. Il patrocinio fa riferimento alla vita del Santo quando si cercò di sedurlo tramite delle avvenenti danzatrici che, coi loro corpi splendidi e le loro movenze seducenti, avrebbero dovuto farlo rinunciare alla fede. Il Santo capì e mise nelle scarpe dei chiodini che lo tormentavano scacciando la tentazione.
Una particolare protezione veniva chiesta contro i licantropi o lupi mannari cioè quelle persone che in concomitanza con alcune fasi lunari si trasformano in creature belluine.
Le persone capaci di dominarle si chiamavano “Manure de Santu Vitu”.
S. Oronzo 26 agosto
S. Oronzo è uno dei primi martiri del Salento. Patrizio leccese, pagano, mentre si divertiva andando a caccia, incontrò un uomo lacero che si chiamava Giusto e che veniva da Corinto, mandato da S. Paolo, che lo convertì.
Si racconta anche che, una volta convertito, sia andato a Corinto a trovare San Paolo che lo nominò vescovo di Lecce. Scoperto, fu perseguitato e si rifugiò prima in una grotta di Ostuni e poi in Turi, dove fu catturato e riportato a Lecce.
Qui fu portato fuori dalla città e decapitato. I resti furono lasciati alla mercè delle intemperie e delle bestie, ma furono poi raccolti da una pia donna e divennero meta di pellegrinaggio. Sul luogo del martirio, detto Capu de Santu Ronzu, fu edificata una chiesa.
La storia di Sant’Oronzo è a dir poco particolare: non se ne trova traccia nel Martirologio, ma la storia viene riferita da un monaco visionario calabrese, sollecitato dal Vescovo Luigi Pappacoda, che, attraverso le sue visioni, fa ritrovare le reliquie del Santo nel 1500.
Il momento è particolare, la penisola Salentina ha conosciuto la tragedia della conquista ottomana con il suo strascico di morti, prigionia, crudeltà e la fede inizia a vacillare. In questo periodo viene nominato vescovo Pappacoda che governa la città disciplinando il clero, cercando di stimolare la spiritualità dei leccesi e incentivando gli ordini religiosi a costruire nuove chiese: così nascono le splendide chiese che oggi ammiriamo.
Oronzo era un santo locale non di origine greca e si prestava bene, secondo i canoni del Concilio di Trento, a ricoprire il ruolo del patrono.
Santa Vittoria 8 agosto 23 dicembre
Santa Vittoria fu una giovane fanciulla di famiglia nobile romana che era stata promessa in sposa ad un altro rampollo della nobiltà: Eugenio. Fu educata al cristianesimo dalla cugina Anatolia e si convertì decidendo di dedicare la sua vita e la sua persona a Gesù. Eugenio, d’accordo con il fidanzato di Anatolia, decise di separarle e le inviarono nei loro possedimenti in campagna, ma a nulla valse il sopruso: entrambe furono ancora più salde. Anzi Vittoria operò anche dei prodigi, come allontanare un dragone che affliggeva la zona di Trebula nella Sabina dove stava, e cominciò a fare apostolato fra le fanciulle del luogo, per la qual cosa oggi viene considerata la protettrice della gioventù femminile di Azione Cattolica.
Denunciata al pontefice del Campidoglio, venne obbligata a offrire sacrifici a Diana e al suo fermo rifiuto venne uccisa con la spada.
Nel Salento viene festeggiata a Spongano.
S. Donato 7 agosto
San Donato Vescovo di Arezzo fu martirizzato con decapitazione il 7 agosto del 362 sotto Diocleziano. Viene rappresentato con un calice, perché fra i suoi prodigi è riferito che, mentre celebrava messa e distribuiva il vino consacrato in un calice di cristallo, entrarono dei pagani che ruppero il calice. Il Santo ne ricompose i frammenti e continuò a distribuire la comunione. Viene anche rappresentato con dei libri e con un bambino esanime fra le braccia della madre, riferimento a un altro episodio della sua vita quando libera dai demoni.
Fu decapitato e viene invocato a protezione del mal di testa e, soprattutto a Montesano Salentino, per l’epilessia, detto dagli antichi male sacro.
Nei giorni della festa del Santo la statua viene portata dalla chiesa al santuario a lui dedicato. Qui in passato restavano con lui gli epilettici giorno e notte che pregavano, ma anche parlavano e gridavano in un rapporto diretto (qualcuno raccontava di dialogare proprio con il santo e magari inveiva anche contro o lo implorava di farlo guarire). Gli stessi epilettici durante la processione camminavano all’indietro non potendo staccare lo sguardo dal volto del Santo. La base della statua era adornata da basilico.
La suggestione era massima ed era rinforzata dagli stessi epilettici.
Santa Lucia 13 dicembre
Il culto di Santa Lucia era molto diffuso in tutto il Salento.
Santa Lucia era una bellissima fanciulla che era stata promessa in sposa. Fu educata al cristianesimo, ma decise di dedicarsi anima e corpo a Gesù, dopo un pellegrinaggio a Catania sulla tomba di sant’Agata della quale ebbe una visione. Vendette i suoi beni e li donò ai poveri. Il fidanzato, per farla desistere, la denunciò e venne martirizzata con la spada. La leggenda vuole anche che prima di ucciderla, le siano stati cavati gli occhi e da questo episodio deriva il suo patronato sulla vista e il raffigurarla con gli occhi in una ciotola.
La sua festa arriva il 13 dicembre quando si avvicina il Natale e si comincia a pensare alle feste, ma si è ancora in Avvento. Importanti sono le fiere che si tengono nel suo giorno a Lecce (che poi prosegue fino a Natale con la vendita dei pupi del Presepe) e a Scorrano dove fra le altre cose si fa provvista di fichi secchi e di stoccafisso.
S. Rocco 16 agosto
S. Rocco era un santo molto venerato nel Salento, ma se vogliamo anche in tutto il mondo. Nato a Montpellier decise di andare in pellegrinaggio a Roma. Nel suo viaggio a Roma si imbattè nella peste. Capì che la carità non poteva essere solo di parole e, mentre tornava da Roma, si prestò a curare gli appestati. Si ammalò e decise di ritirarsi in un eremo per non contagiare nessuno. Si trovava in una grotta presso Piacenza e lo andava a trovare un cagnolino che rubava un pane alla mensa del suo padrone e glielo portava leccandogli la piaga. Un giorno il padrone lo seguì, scoprì Rocco e lo portò a casa aiutandolo a guarire. Guarito, si incamminò verso Montpellier, ma a Voghera fu arrestato con l’accusa di essere una spia e imprigionato per 5 anni senza nemmeno essere riconosciuto dal governatore di quei luoghi che era lo zio. Alla sua morte venne riconosciuto per un difetto del corpo: una sorta di angioma a forma di croce che Rocco aveva da quando era nato sul fianco sinistro (come pure viene cantato nel responsorio: Ave Roque santissime,/ nobili nate sanguine,/ crucis signate schemate/ sinistro tuo latere).
Inizialmente invocato contro la peste, fu poi invocato a protezione di ogni tipo di piaga. Infatti nella società contadina dei tempi passati, in assenza di antibiotici, era facile che una ferita procurata nei campi potesse infettarsi e cronicizzare oppure portasse a conseguenze ancora più gravi. Viene rappresentato come un pellegrino con un bastone e la borraccia, una mantellina con la conchiglia di Compostella, detta Capasanta, e un cane con un pane in bocca.
San Nicola6 dicembre 9 maggio
La figura di San Nicola è molto diffusa nel mondo occidentale, ma soprattutto in Puglia e nel Salento, sia per la presenza e l’opera dei monaci basiliani, sia per l’influenza che aveva su questi territori il Catapano bizantino che stava a Bari dove c’erano le sue reliquie, trafugate da Mira in Asia minore, ad opera di una compagnia di marinai baresi.
Questo rinforzò la fama che aveva fin lì accompagnato il santo venerato sia il 6 dicembre, ma soprattutto in Puglia il 9 di maggio memoria dell’arrivo delle sue reliquie a Bari.
Nato a Patara, in Asia minore, presto si trasferì a Mira dove si avvicinò al Cristianesimo e dove, ancora giovane, venne eletto vescovo di quella città . L’epoca delle prime persecuzioni era finita e Costantino, con l’editto di Milano, aveva sancito la libertà di culto per i cristiani.
Lui fece il vescovo con grande energia rispettato dal popolo e dalle autorità che lo invitarono a dare giudizi preziosi anche in sede conciliare, come nel Concilio di Nicea, quando affrontò l’eretico Ario che negava la natura divina di Gesù.
Viene rappresentato con il pallio, il pastorale e il vangelo in mano per la sapienza mostrata nel contrastare gli eretici, ma anche con tre palle d’oro, tre bambini in una tinozza o con un mattone che brucia che si riferisce a un miracolo operato durante il concilio di Nicea. Per spiegare la trinità Nicola prese un mattone che conteneva in origine terra, fuoco e acqua, ma che ora era altro dei tre elementi. Il mattone prese a bruciare e a gocciolare acqua e alla fine rimase terra secca.
Le tre palle d’oro sono la semplificazione di tre borse di monete d’oro che Nicola donò a un padre nobile, caduto in disgrazia, il quale, non avendo i soldi per il matrimonio e la dote delle figlie, le voleva avviare alla prostituzione. Nicola gettò in casa un sacchetto con le monete impedendo che la figlia grande si prostituisse e consentendo il suo matrimonio. Fece così altre due volte salvando anche le altre due sorelle, ma la terza volta il padre, che stava nascosto, lo scoprì.
I tre bambini si riferiscono a un altro prodigio operato dal santo a cui un oste presentò un piatto di carne. Il Santo non volle toccarne e chiese all’oste di portarlo dove teneva quelle carni. Una volta vicino alla tinozza della salamoia il Santo pregò e dalla tinozza emersero tre bambini che l’oste aveva ucciso e le cui carni venivano servite agli avventori. Questo episodio, leggendario, potrebbe essere influenzato da un altro più storico quando Nicola si adoperò per salvare tre uomini condannati a morte ingiustamente.
Comunque la generosità verso le fanciulle, la protezione verso i bambini e una vita svolta a proteggere attivamente il suo popolo hanno fatto sì che si generasse nell’immaginario collettivo la figura di Santa Klaus (contrattura nordica del latino Nicolaus), il nostro Babbo Natale che porta doni ai bambini. L’abito rosso e il cappuccio non sono altro che riferimento ai paramenti vescovili così come il colletto bianco un riferimento al pallio.
San Pantaleone o Pantaleo 27 luglio
San Pantaleone era un medico anargiro di Nicomedia. Medico brillante (aveva curato anche il figlio dell’Imperatore) un giorno si convertì al cristianesimo, vendette le sue sostanze e le distribuì ai poveri, curando tutti senza compenso. Per questo venne osteggiato dai suoi colleghi e denunciato come Cristiano all’Imperatore per la qual cosa fu lungamente torturato e poi ucciso.
Viene raffigurato legato ad un albero secco, mentre viene seviziato con il fuoco e i flagelli, o vicino a una vasca perché subì anche la tortura dell’annegamento. La leggenda tramanda che l’albero a cui il santo era legato, benché secco, si ricoprì di frutti. Le sevizie non convinsero il Santo ad abiurare e fu martirizzato.
Nel Salento si festeggia a Martignano, ma il suo culto era molto diffuso nella provincia.
San Lazzaro
Lazzaro era uno dei migliori amici di Gesù. Viveva a Betania, con le due sorelle Marta e Maria.
Il Vangelo ci narra di come Lazzaro fosse morto. Gesù si recò al sepolcro, fece togliere la pietra che ne chiudeva l’entrata e chiamò Lazzaro, il quale uscì vivo dal sepolcro, ancora avvolto nelle bende funebri. Dopo la morte e resurrezione di Gesù venne preso di mira dal sinedrio che voleva cancellare le opere compiute dal Messia e dovette partirsene dalla Palestina.
Secondo la Leggenda aurea di Jacopo da Varagine, Lazzaro andò a predicare in Francia con le sue sorelle e lì divenne il primo vescovo di Marsiglia.
Invece secondo la tradizione orientale, Lazzaro divenne vescovo di Cipro e durò nell’episcopato per circa un trentennio. A supporto di questa versione, nell’anno 890 fu ritrovata una lapide con l’iscrizione “Lazzaro, l’amico di Cristo”. Successivamente le reliquie furono traslate a Costantinopoli e quindi in Francia dai Crociati. Nel 1972 sotto l’altare della chiesa di Larnaca fu rinvenuta un’arca di marmo, contenente resti umani, che si ritengono quelli di Lazzaro. Secondo quest’ipotesi, il trasferimento delle reliquie a Costantinopoli fu soltanto parziale.
Nel Salento viene venerato in pochi luoghi come una parrocchia di Lecce città, ma ci sono immagini sue anche in altre chiese. Tuttavia viene citato in prossimità della Pasqua. In questo periodo gruppi di contadini, dotati di strumenti musicali e buone voci, giravano per le case o per le masserie in una sorte di folkloristica questua da cui ricevevano prodotti della terra detta, appunto, “Lu Santu Lazzaru”. Queste rustiche compagnie musicali andavano in giro con un ramo di ulivo dove venivano attaccate figurine e nastrini colorati (zagarelle) cantando la storia di Cristo e concludendo che Santu Lazzaru, che risorse, oggi sarà Cristo che risorgerà a Pasqua.
Viene rappresentato come Vescovo.
Il San Lazzaro povero, straccione e spesso rappresentato con dei cani è il Lazzaro, mendicante, che viveva fuori dalla casa del ricco epulone implorando di ricevere le briciole del suo desco, ricevendone insulti e umiliazioni. Quando sarà in paradiso, nel grembo di Abramo, il giovane, maleducato e cattivo, patirà le pene dell’inferno e implorerà un conforto da Lazzaro che, stando fra i beati, non potrà dargli.
Santi Cosma e Damiano 26- 27 settembre
Santi Cosma e Damiano, conosciuti come Santi Medici, erano medici anargiri che curavano senza compenso.
Originari dell’Arabia o della Siria, svolsero la loro opera in Turchia. Prima di approcciarsi a un malato pregavano intensamente e poi svolgevano la loro opera. La leggenda racconta di un loro contrasto dovuto al fatto che Cosimo avesse accettato 3 uova da una donna che aveva curato. Il fatto amareggiò Damiano che dispose di non essere sepolto accanto al fratello. Scoperti cristiani furono processati e martirizzati. Mentre ci si stava disponendo a seppellirli, lontano uno dall’altro, un cammello parlò e disse che Cosimo aveva accettato quelle uova solo per non umiliare la donna e furono uniti nella sepoltura.
Vengono rappresentati con in mano dei balsamari per gli unguenti e delle cassette per i ferri chirurgici.
Nel Salento il loro culto è molto sentito e in passato erano diffusi anche i nomi Medico e Medica.
San Vitale 28 aprile
Sposato con Santa Valeria, era padre dei santi Gervasio e Protasio.
Vitale, soldato romano, accompagnò un magistrato a Ravenna dove assistette alla condanna a morte per Cristianesimo di Ursicino. Lui incoraggiò il martire che andava al supplizio e, dopo la morte , lo seppellì.
Denunciato come cristiano venne condannato a essere sepolto vivo da pietre e terra. Così accadde e quel sepolcro, che era stato patibolo, divenne luogo di culto, tanto che quando venne la moglie Valeria a riprendersi le spoglie del caro, trovò l’opposizione dei Ravennati.
Di ritorno, la santa donna troverà un gruppo di fanatici pagani che al suo rifiuto a sacrificare al dio Silvano, faranno seguire una punizione fatta di bastonate che ridurranno in fin di vita la donna che spirerà qualche giorno dopo a Milano.
I figli Gervasio e Protasio erano anche essi cristiani e vissero facendo del bene finché non furono uccisi nelle persecuzioni. I corpi furono ritrovati ai tempi di Sant’Ambrogio e vicino al loro capo vi era un libretto che raccontava la loro storia e quella dei loro genitori. Sul luogo del loro ritrovamento nacque una basilica.
San Giuseppe da Copertino18 settembre
Giuseppe Maria Desa nacque ai primi del ‘600, in un momento di grandi difficoltà della famiglia e vide la luce in una stalla del suo paese, Copertino, adattata a casa. Il padre, abile artigiano, aveva sposato una donna benestante ed era uomo di fiducia dei Signori di Copertino, ma si ritrovò povero e morì ancora giovane per aver garantito per mille scudi un amico che fallì.
La povera vedova e i figli vissero anni durissimi; Giuseppe faceva il garzone e non riusciva a imparare un mestiere e in paese lo chiamavano “Ucchipertu/Boccaperta” per la sua abituale distrazione; dovette pure lasciare la scuola per una brutta piaga che lo afflisse per 5 anni e guarì per intercessione della Madonna delle Grazie. Questo accrebbe la sua fervida devozione mariana.
Il creditore del padre aveva ottenuto dal Tribunale che Giuseppe, unico figlio maschio di Felice e Franceschina, una volta raggiunta la maggiore età, fosse obbligato a lavorare senza paga fino a saldare il debito del defunto genitore. L’unico modo per sottrarsi a quella che sarebbe stata una vera e propria schiavitù era diventare sacerdote o frate, ma Giuseppe non era istruito e non poteva ambire perciò al sacerdozio. Cercò quindi di entrare in un convento e a 17 anni bussò alla porta dei Frati Francescani Conventuali, nel convento detto della ‘Grottella’, a due passi da Copertino, dove un suo zio era stato padre Guardiano, ma dopo un periodo di prova fu mandato via, “per la sua poca letteratura, per semplicità ed ignoranza”. Passò allora ai Francescani Riformati e poi ai Cappuccini di Martina Franca, ma la distrazione, l’inettitudine e le estasi gli facevano fare veri e propri danni, per questo fu mandato a casa dove non venne bene accolto.
Fu solo grazie all’interessamento dello zio e dopo molte insistenze che riuscì a farsi accettare di nuovo dai Conventuali della ‘Grottella’. I frati, informati della sua situazione e della condanna del Tribunale, presero a cuore la situazione e lo ammisero nella comunità, prima come oblato, poi come terziario e finalmente come fratello laico.
Addetto ai lavori pesanti e alla cura della mula del convento, Giuseppe ben presto espresse il desiderio di diventare sacerdote e lo divenne per situazioni a dir poco prodigiose. Nonostante gli sforzi era rimasto ignorante, ma negli esami accaddero cose incredibili: in uno il vescovo gli chiese l’unica cosa che sapesse e nel secondo, il vescovo, dopo aver visto una grande preparazione nei primi studenti interrogati, decise di promuovere tutti, anche San Giuseppe.
Si definiva fratel Asino, ma riusciva a parlare di teologia in maniera semplice ed efficace anche con persone di elevata cultura, perché possedeva il dono della scienza infusa, sapeva essere sapiente nel dare consigli ed era molto ricercato dentro e fuori del suo Ordine, nonostante che si definisse “il frate più ignorante dell’Ordine Francescano”.
Un’altra sua caratteristica erano le estasi e i voli durante queste.
In effetti volava nell’aria come un uccello, il fatto storico è che questi fenomeni sono avvenuti in presenza di tanta gente stupefatta. Proprio la presenza intorno a lui di tanto popolo costituì un problema per i suoi Superiori, che lo mandarono in vari conventi dell’Italia Centrale, proprio per distogliere da lui l’attenzione del popolo, che sempre più numeroso accorreva a vedere il santo francescano. Di lui si interessò l’Inquisizione di Napoli, che lo convocò per capire di che si trattasse e proprio davanti ai giudici, Giuseppe ebbe un’estasi; la Congregazione romana del Santo Uffizio alla presenza del papa Urbano VIII, lo assolse dall’accusa di abuso della credulità popolare e lo confinò in un luogo isolato, lontano da Copertino e sotto sorveglianza del tribunale. Fu mandato da un convento all’altro: a Roma, Assisi, Pietrarubbia, Fossombrone e infine ad Osimo (Ancona) dove morì il 18 settembre 1663 a 60 anni.
Mia nonna Rosa nel rosario pregava San Tommaso d’Aquino, professore alla Sorbona, e San Giuseppe da Copertino che infondessero nelle nostre menti intelligenza e buon senso o con lo studio, come nel caso del domenicano, o senza studio, come era accaduto al francescano salentino; a lui si rivolgono gli studenti prima degli esami, specie coloro che si rendono conto dei propri limiti.
S. Antonio da Padova 13 giugno
Antonio nacque a Lisbona (Portogallo) nel 1195, battezzato come Fernando, ebbe la sua prima formazione in una famiglia cristiana, importata a Lisbona dopo che fu liberata dai musulmani. Studiò alla scuola della cattedrale e li sbocciò la sua vocazione religiosa. Ancora adolescente entrò negli agostiniani prima a Lisbona e poi a Coimbra. Li ricevette una completa formazione religiosa e teologica, grazie alle sue doti: una grande pietà e una fervida intelligenza.
Nel 1220 venne a sapere di alcuni francescani che erano stati uccisi in Marocco mentre cercavano di evangelizzare quelle genti e decise di entrare nell’Ordine francescano, mutando il suo nome originario, Fernando, in Antonio. Quando riuscì, partì per il Marocco, lì si ammalò e si reimbarcò per ritornare in patria, ma delle tempeste marine lo portarono in Sicilia, dove fu curato nel convento francescano di Messina. Qui venne a conoscenza del Capitolo generale dei francescani, che avrebbe avuto luogo ad Assisi, nella Pentecoste di quel 1221 e vi partecipò. Vide san Francesco, ma non si fece conoscere. Frate Graziano, ministro provinciale della Romagna, lo accolse nella sua compagnia e lo destinò al romitorio di Montepaolo dove Antonio visse la regola dell’eremita francescano.
Un giorno, in occasione di un’ordinazione sacerdotale celebrata a Forlí, dovette, per obbedienza, tenere un discorso e mostrò doti di eloquenza e preparazione teologica eccellenti tanto da essere destinato a diventare predicatore, docente e ministro dell’Ordine. Dalla Romagna propriamente detta la sua predicazione si allargò all’Italia superiore e alla Francia meridionale.
In seguito il suo compito principale fu l’insegnamento della Teologia ai frati minori nelle scuole di Bologna e di Montpellier, primo docente di Teologia francescana.
Alla fine arrivarono gli incarichi di responsabilità come custode della provincia di Limoges e poi come ministro provinciale della provincia di Romagna, che si estendeva allora anche a tutta l’Italia settentrionale, ma sfatto dalle fatiche e dall’idropisia, nel luglio del 1230 ottenne d’essere liberato da ogni incarico e di ritirarsi a Padova nel convento di Santa Maria Madre del Signore dove morì il 13 giugno 1231. Il suo corpo per espressa sua volontà restò a Padova; fu canonizzato neanche un anno dopo la sua morte e sette secoli dopo papa Pio XII lo proclamò “Dottore della Chiesa”.
Viene rappresentato con il Bambino Gesù per le estasi che più volte ha vissuto, con dei libri, simbolo degli studi e della sua sapienza, e un giglio simbolo di purezza.
Nel Salento si prega con questa preghiera:
Sant’Antoniu meu bidegnu
Tuttu chinu de santità
Tridici grazie fai lu giurnu,
fammene una per carità.
Fammela prestu e non tardare
Ca tie si santu ca me la poti fare,
Tie sì santu mannatu de Diu
Fammela prestu sant’antoniu miu.
Arcangeli S. Michele, San Gabriele e San Raffaele
Gli Arcangeli sono i sette spiriti che stanno al cospetto del trono di Dio, sono coloro che godono della luce del suo volto e ne ascoltano la voce. Di questi ne conosciamo tre, per riferimenti biblici che li riguardano: Michele, Gabriele e Raffaele.
Michele (in ebraico Chi è come Dio?) è l’arcangelo che combattè contro Lucifero e tutti gli altri angeli che si erano rivoltati contro Dio e li allontanò dal Paradiso confinandoli nell’inferno.
Altri appellativi di questo arcangelo che interviene nella lotta contro il male sono : difensore degli amici di Dio e protettore del suo popolo. Viene raffigurato come un giovane gagliardo con la spada in mano e, talvolta con armatura, mentre sottomette il demonio.
Gabriele (Forza di Dio) è colui che spesso porta dei messaggi di Dio all’uomo. Lui rivela a Daniele i segreti del piano di Dio, annunzia a Zaccaria la nascita di Giovanni Battista ed è lui che annuncia a Maria che da lei nascerà Gesù.
Secondo i musulmani è sempre Gabriele a dettare il corano a Maometto.
Viene raffigurato, generalmente, mentre incontra Maria a Nazareth.
Raffaele (Dio guarisce) è l’arcangelo che talvolta scendeva nella piscina di Betzaida e agitava le acque, concedendo la guarigione dalle malattie a chi vi si immergeva, ma è soprattutto la guida che scende in terra dopo le preghiere di Tobi e accompagna il figlio Tobiolo a riscuotere un credito in Media, l’attuale Iran. Lì guarirà Sara che è tormentata dal diavolo Asmodeo e che poi si unirà in matrimonio con Tobiolo. Mentre fanno ritorno, Tobi, che si sente vicino alla morte ed ormai è cieco, chiede la grazia al Signore di rivedere per una ultima volta il figlio prima di morire. Raffaele allora dice a Tobiolo di tuffarsi nel fiume e prendere un grosso pesce che troverà. I viaggiatori mangeranno il pesce, ma conserveranno, su indicazione di Raffaele, le interiora che poi spalmate sugli occhi di Tobi gli faranno riacquistare la vista e rivedere il figlio e la nuora.
San Raffaele è raffigurato mentre accompagna un ragazzo che porta un pesce. Questo lo differenzia dall’Angelo custode pure raffigurato mentre guida un bambino, talvolta schiacciando il diavolo tentatore.
San Giuseppe Patriarca.
Giuseppe è un uomo giusto, della stirpe di Davide, che sposa Maria e che, quando scopre che è incinta vorrebbe ripudiarla, ma poi accetterà di tenerla con sé e farà da padre putativo a Gesù.
Viene considerato Patriarca (πατήρ αρχή il padre dell’inizio di una vita nuova, di una nuova generazione) perché dalla sua famiglia nascerà un popolo nuovo.
Viene raffigurato come un uomo attempato che tiene in braccio il bambino Gesù e si appoggia a un bastone fiorito.
Il bastone fiorito si riferisce a un prodigio riferito dai vangeli apocrifi. Il sacerdote Zaccaria aveva infatti ordinato che venissero convocati tutti i figli di stirpe reale per sposare la giovane Maria, vissuta per nove anni nel tempio. Per indicazione divina, questi celibi avrebbero condotto all’altare il loro bastone, Dio stesso ne avrebbe poi fatto fiorire uno, scegliendo così il prescelto. Fiorì il bastone di Giuseppe, della stirpe di Davide, e accettò di prendere in sposa Maria, nonostante la differenza di età. In seguito, sapendo che era incinta, pensò di ripudiarla, ma, dopo una visione angelica, non lo fece e crebbe Gesù.
La sua festa fino a non molto tempo fa era festa di precetto e festa civile (fino al 1977); in molti paesi del Salento è rimasta una festa rilevante. Alcuni devoti in suo onore fanno un pranzo, la Tavolata di San Giuseppe, dove gli invitati rappresentano la Sacra Famiglia e altri Santi. Gli invitati mangiano le portate, tutte di magro poiché ci si trova in Quaresima, e devono portarsi a casa i resti del pasto. Altri devoti distribuiscono la caratteristica pasta (massa e ciciri o ciceri e tria) o anche del pane benedetto.
Un commento a il culto dei Santi presso il popolo salentino
Bravo Giuseppe, sapevo di questo tuo interesse per la vita dei santi e le loro raffigurazioni! Ho appreso da te ad osservare le statue e capire dai simboli di che Santo si tratta,ma ovviamente bisogna conoscerne la storia e tu fai bene a divulgare queste “biografie” che prima si tramandavano grazie a semplici preghiere, ora pochi le conoscono!
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Bravo Giuseppe, sapevo di questo tuo interesse per la vita dei santi e le loro raffigurazioni! Ho appreso da te ad osservare le statue e capire dai simboli di che Santo si tratta,ma ovviamente bisogna conoscerne la storia e tu fai bene a divulgare queste “biografie” che prima si tramandavano grazie a semplici preghiere, ora pochi le conoscono!