di Nazareno Valente
Come altri condottieri greci, anche Cleonimo, spartano di stirpe reale, giunge nella penisola salentina su pressante richiesta dei Tarantini, in quel periodo in aperto conflitto con i Lucani (fine IV secolo a.C.)1. Il suo intervento, il cui obiettivo dichiarato è quello di venire in aiuto della colonia lacedemone, non è però del tutto privo di personali mire di conquista, e forse questo tramuta l’iniziale sostegno in manifesto dissenso. Infatti, in breve, i Tarantini gli si ribellano e, sostenuti anche dai Messapi, lo obbligano a salpare ed a tornarsene a Corcira2.
Cleonimo intraprende a questo punto una nuova incursione che lo porta sull’alto Adriatico, dove però non ha migliore fortuna, in quanto gli abitanti di Padova gli infliggono una sonora sconfitta e lo fanno desistere da ogni ulteriore tentativo di scorreria3. Ed è proprio l’inizio di questa seconda parte della sua avventura4 — più in particolare l’incipit del passo di Livio che la racconta — che vorremmo qui prendere in considerazione.
Narra infatti Livio che «Circumvectus inde Brundisii promunturium, medioque sinu Hadriatico ventis latus…»5, vale a dire che, doppiato il promontorio di Brindisi, Cleonimo fu spinto dai venti in mezzo all’Adriatico.
Ora gli storici assegnano poca fiducia a questo luogo di Livio, in forza d’una presunta inesistenza del promontorio brindisino6. Scrive infatti Braccesi: «Il porto di Brindisi non è delimitato né a nord né a sud da promontorio alcuno; anzi si apre inaspettatamente sulla linea di costa… quasi celandosi allo sguardo del navigante… Quindi, poiché Cleonimo si imbarca fuggitivo da una regione bimare, come il Salento, è assai probabile che Livio designi qui per estensione come promunturium Brundisii il Capo Iapigio»7.
In effetti il porto di Brindisi, com’è attualmente, non presenta evidenti promontori, quanto meno nelle immediate vicinanze; tuttavia, ai tempi di Livio, la situazione era alquanto diversa.
Già la città di per sé stessa giace su un basso promontorio, con le sue colline posizionate a nord e a sud che si protendono sul mare, ma quel che più è interessante è che, nelle immediate vicinanze del canale d’accesso al porto interno, ci sono dalla parte del ramo di ponente la Costa Guacina ed a levante la Punta Le Terrare, il cui paesaggio costiero ha subito notevoli trasformazioni nel corso dei secoli.
La Punta Le Terrare in particolare è un sito indigeno dell’Età del Bronzo e quindi, per elemento caratterizzante, sorgeva con molta probabilità su un promontorio o un’altura comunque consistente. D’altra parte questa sua caratteristica, già richiamata nel nome, viene tuttora ricordata tant’è che l’autorità portuale nel proprio sito parla esplicitamente nei cenni storici di “promontorio” di Punta Le Terrare8; peculiarità per altro evidenziata anche in studi scientifici9. E tutto questo a prescindere dal ritiro della linea di costa e dall’innalzamento del livello del mare determinatisi con il trascorrere del tempo10.
Analoghi processi naturali hanno coinvolto la Costa Guacina che ha subito in aggiunta non banali lavori di sterro necessari a portarla a livello del mare, in quanto destinata agli inizi del secolo scorso a stazione per idrovolanti, per necessità militari.
Occorre poi ricordare le opere succedutesi nel corso degli ultimi quasi trecento anni per il risanamento del porto che hanno anch’esse ulteriormente modificato la situazione in maniera tale che, non a caso, una loro narrazione fa riemergere l’ormai dimenticato «promontorio su cui sorge la città»11. Quindi, anche in giorni non troppo lontani dai nostri, la costa brindisina non si presentava affatto piatta ma proponeva collinette che, pur non ritenute degne d’essere messe in evidenza dai cartografi, giustificavano in ogni caso l’utilizzo d’un simile termine e rendevano ben visibile l’insenatura del porto ai naviganti. A maggior ragione, per le considerazioni già fatte, doveva esserlo ai tempi in cui scriveva Livio, quando lo scenario che si manifestava agli occhi d’un viaggiatore proponeva coste con pendii ancor più accentuati12.
Non credo a questo punto che vi sia motivo per non dare fiducia allo storico patavino e per non riconoscere che Cleonimo abbia effettivamente superato le coste brindisine, e non, come ora ritenuto, altro promontorio.
E c’è un’altra considerazione che spingerebbe a sostenere una tale ipotesi.
Ciò che dapprima appariva incoerente – e che di fatto mi ha incuriosito – era che Cleonimo, dopo aver doppiato il supposto Capo di Santa Maria di Leuca, fosse stato sospinto dai venti addirittura nel mezzo dell’Adriatico; evenienza questa alquanto strana, considerata la posizione del summenzionato luogo. Se invece supponiamo che Livio abbia voluto effettivamente indicare la costa brindisina, anche questa eventuale inesattezza verrebbe a cadere, ed il passo non conterrebbe due sviste consecutive in poco più d’una riga.
NOTE
1 Diodoro, Biblioteca Storica, XX 104, 1-2.
2 Diodoro, cit., XX 105, 1-3.
3 Livio, Dalla fondazione di Roma, X 2, 1-4.
4 Invito chi fosse interessato ai dettagli a consultare l. Braccesi, L’avventura di Cleonimo, Esedra, Padova, 1990.
5 Livio, Cit., X 2, 4.
6 Braccesi, Cit., p.31; f. grelle – m. silvestini, La Puglia nel mondo romano: storia d’una periferia., Edipuglia, Santo Spirito, 2013, p. 47.
7 Braccesi, Cit., p.31.
8 http://ww.portodibrindisi.it/1/id_29/Cenni-storici.asp
9 Auriemma, Salentum a Salo, Congedo, Galatina, 2004, p. 111.
10 Auriemma, cit., pp. 22-30.
11 Palma, la grande guerra nell’Archivio di Stato di Lecce e negli archivi storici comunali,in L’Idomeneo, n.18, Il Salento e la Grande Guerra. Atti del seminario di studi, Lecce, 2014, p. 37.
12 Va pure evidenziato che appena a nord di Brindisi s’eleva Torre Guaceto il cui promontorio, unitamente alle tre isolette antistanti ed alle due di Apani, costituiva in antico un’unica linea costiera di non banale rilievo.
Interessante storia del porto di Brindisi e dei suoi promontori.
Aggiungo che il promontorio delle terrate è conosciuto dagli archeologi internazionali e dai brindisini