di Luigi Galante*
In una pagina famosa della sua Galatina letterata, pubblicata nel 1709, Alessandro Tommaso Arcudi dà una notizia, e tutti la ricordiamo, su Matteo Tafuri; ed è una notizia tanto celebre, quanto, come sempre per il Tafuri, controversa. Cosa scrive Arcudi? Egli ricorda “Conservavasi nella mia casa (degli Arcudi) la sua (di Gio. Tommaso Cavazza) Calvarie; insieme con quella del tanto nominato, e famoso al mondo Matteo Tafuro di Soleto, ma nell’anno 1672 a tempo ch’io facevo l’anno del noviziato, la vedova mia madre per alcuni timori e scrupoli feminili, fecele ambedue secretamente gettare nel publico cimiterio: non sapendo di che grand’uomini erano quelle, e di che bella memoria alla nostra casa”[1].
Molti studiosi si sono interrogati sul significato di questa ambigua parola: ‘calvarie’, perché quello che sembra il significato del termine più vicino al tempo in cui Arcudi viveva è indubbiamente ‘teschio’. Però certamente è sempre sembrato in qualche modo preoccupante che in una casa privata si conservassero dei teschi anche se appartenuti ad uomini illustri del passato; senza poi voler considerare la difficile compatibilità di questa conservazione con le regole della religione cattolica della quale Arcudi, dotto domenicano, era severo custode. Sicché è del tutto comprensibile che alcuni studiosi abbiano interpretato la parola ‘calvarie’ in modo diverso, ed abbiano sostenuto, non senza argomentazioni e riscontri, che il significato reale intendesse alludere invece a studi o scritti. Questa è stata l’opinione di esperti accreditati del mondo tafuriano e, a tacere di altri, ricordo il compianto Prof. Giovanni Papuli e la sua allieva Luana Rizzo[2]. Soltanto Luigi Manni, tra gli studiosi recenti, ha sostenuto con forte determinazione che per ‘calvarie’ non poteva che intendersi il teschio.[3]
Come stanno davvero le cose? Ancora una volta il dilemma è svelato da una inedita pagina del Galatinese Pietro Cavoti (1819/1890) che ci dà,oltre a questa rivelazione, una serie di sconosciuti particolari sulla sepoltura del Tafuri e, incredibile a dirsi, anche sulle vicende successive delle sue spoglie mortali. Facciamogli allora comunicare le notizie preziose che egli nelle sue peregrinazioni per la provincia, lesse in un antico manoscritto della famiglia Carrozzini, che oggi è probabilmente perduto, ma che nel 1884 si conservava a Soleto presso il canonico Giuseppe Manca il quale lo mise cortesemente a disposizione del Cavoti.
“ Ricordo dei fatti storici di Soleto da un manoscritto della Fam. Carrozzini. Matteo Tafuro morì il dì 18 novembre 1584, fu seppellito nella cappella di S. Lorenzo delli Tafuri a mano destra sotto l’immagine della Madonna con Nostro Signore. Furono tolte le ossa del filosofo di Soleto per volontà della Famiglia Carrozzini e deposte nel Monastero di S. Nicola in Soleto dentro una cassetta di legno con l’arme dei Tafuro. Vollero donare il teschio di questo insigne, alla famiglia Arcudi di Galatina. Alcuni frammenti dei suoi abiti consumati dal tempo e dai vermi, conservansi come reliquie da questa onorabile famiglia Carrozzini di Soleto. Notizie avute dal canonico Manca di Soleto. Conservasi detto manoscritto in casa sua. Mi mostrò il manoscritto per una mia visita il dì 26 ottobre 1884 per l’acquisto di alcune monete antiche trovate nell’agro di Soleto”[4].
L’inclinazione del Manca a collezionare ed acquistare monete antiche, è confermata da una lettera dell’anno successivo, che il canonico scrive a Cavoti: “Mio amatissimo Pietro. Ho visto le nove monete; pare appartengono al numero delle sessantatrè trovate qui. Sono greche e buone.… Se per vostro conto volete farne l’acquisto di qualcuna, preferite quella di Velia, cioè l’unica in cui si trovansi un leone, oppure qualcuna di Napoli scegliendola tra quelle che portano il bue a faccia umana barbato, le altre scartatele tutte, ma cercate di dar la preferenza a quella di Velia, che potreste pagarla £ 1:50 non più. Qui si son trovate molte altre, e nell’istesso luogo; basta ne parleremo. Vostro affezionatissimo amico e sempre Giuseppe canonico Manca”[5].
Insomma, grazie al cimelio che Pietro Cavoti ci ha consegnato, e che è una ennesima riprova di quanto prezioso sia lo studio delle sue carte superstiti nel Museo galatinese, possiamo oggi dire non solo che Luigi Manni ha avuto, a sua tempo, la giusta intuizione, ma possiamo anche conoscere con esattezza il luogo della sepoltura originaria del Tafuri ; (cioè nella chiesa S. di Lorenzo dei Tafuri, e successivamente in S Nicola, oggi scomparse) e così combinando queste notizie con quelle di Arcudi , possiamo anche definire il destino finale del teschio tafuriano. C’è poi tra le cose da notare una data di morte: quella del 18 novembre 1584, che è a me pare, perfettamente bencredibile, perché contraddice, è vero, quella tradizionale divulgata da Girolamo Marciano (al 13 giugno 1582), ma è perfettamente compatibile con i dubbi di quanti hanno notato che nelle opere di Gian Michele Marziano (1583) e di Francesco Scarpa (1584), il Tafuri sembra essere considerato vivente[6].
Non mi parrebbe completo chiudere questo articolo, se non ricordassi anche il contributo iconografico importantissimo che Cavoti ha dato alla scuola tafuriana, non solo copiando da vari luoghi, e conservando per noi le immagini che io ho edito di Matteo Tafuri, ma anche quelle, sempre edite da me, di Sergio Stiso, suo predecessore, e dei suoi allievi, Cavazza, Scarpa e forse Lorenzo Mongiò. Perciò mi pare opportuno pubblicare qui due immagini cavotiane di altri due uomini legati forse al mondo tafuriano, e cioè quella di Giovan Paolo Vernaleone junior e di Stefano Corimba.
Infine aggiungo a complemento del ritratto molto importante del Galateo che ho pubblicato mesi fa insieme a quelli del Galatino,[7] anche il disegno cavotiano di un famoso amico galatinese del Galateo, Girolamo Ingenuo, che Cavoti copiò in casa della famiglia Tanza, da un originale che tutto lascia supporre essere perduto. Ma nelle carte cavotiane c’è di più: un ritratto di G.B. del Tufo8, che è poi il destinatario del famoso pronostico tafuriano che attende ancora di essere edito.
[1] A. T. Arcudi, Galatina Letterata (ristampa anastatica), Aradeo, 1993, pag. 49
[2] L. Rizzo, Umanesimo e rinascimento in terra d’Otranto: il platonismo di Matteo Tafuri, Galatina, 2000, pag 121
[3] L. Manni, La guglia L’astrologo La macara, Galatina, 2004, AGP, pag 113
[4] Il documento cavotiano è conservato presso il Museo Civico di Galatina, come tutti i ritratti riportati in queste pagine, comprese quelle nel saggio del Prof. G. Vallone, eccetto l’immagine tratta dal ms. Vat. lat. 6046. Essi sono di esclusiva proprietà del Comune di Galatina-Museo Cavoti. Per la riproduzione parziale o integrale delle immagini qui riprodotte, è vietata qualunque riproduzione senza autorizzazione scritta al Comune di Galatina, nonchè la richiesta di citazione dell’autore. Ringrazio l’Assessore alla Cultura di Galatina Prof.ssa Daniela Vantaggiato, che mi ha autorizzato alla pubblicazione.
[5] Lettera scritta dal canonico Manca di Soleto al Cavoti l’8 ottobre 1885. Cfr. L. Galante, Pietro Cavoti. I tesori ritrovati, , Galatina, 2007, EdiPan, pag. 76.
[6] G. Vallone, Restauri Salentini, in BSTO, Galatina, 1-1991 nota 14, pag. 155.
[7] L. Galante, Iconografia del Galatino, in Studi Salentini, LXXXV/2009-2010, pp. 75-88.
8 “Per un approfondimento sulla famiglia del Tufo vedi, L. Manni La guglia L’astrologo La macara, Galatina, 2004, AGP,”
Pubblicato su “Il Filo di Aracne”.
Non essendo in possesso di autorizzazioni alla pubblicazione non abbiamo potuto riproporre le tavole citate nel testo
Post interessantissimo, che mi offre l’occasione per ribadire un concetto che oggi, con la esasperata parcellizzazione del sapere, appare scontato e banale, cioè quello che qualsiasi indagine ha bisogno dell’apporto di competenze diverse e, in caso di dubbio, anche minimo, della classica botta di culo, che può essere, come nel nostro caso, anche un reperto di natura letteraria. Non ho letto nessuno dei saggi nominati a proposito di “calvarie”, neppure quello del Manni, ma mi permetto di osservare che sarebbe bastato consultare, o riconsultare, un vocabolario latino e tener d’occhio il contesto per capire subito che l’unico significato poteva essere solo quello di “teschio”.
Anche su un vocabolario datatissimo qual è il Georges-Calonghi-Badellino avremmo trovato questa serie di lemmi, che cito fedelmente:
1 calva, ae, f. (calvus, a, um), cranio, teschio, Livio 23, 24, 12.
2 calva, ae, f., V. calvus
1 calvaria, ae, f. (calva), cranio, Plinio ed altri.
Calvariae locus,Calvario, Golgota, Vulg.
2 calvaria, orum, n. specie di pesce, Ennio ed Apuleio
Non soddisfatto dalla parziale somiglianza del terzo lemma (calvaria) con “calvarie” avrei ipotizzato la sua derivazione da un sostantivo della quinta e non della prima declinazione, come, per esempio, è per l’italiano “barbarie”; e, visto che non è registrato nel latino classico, prima di cominciare ad invocare il latino volgare (che nessuno ha mai visto scritto se non nei graffiti pompeiani …) e a giocare con gli asterischi, avrei controllato la sua esistenza o meno nel latino tardo e in quello medioevale. Così nel glossario del Du Cange avrei letto:
CALVARIES, Sinciput, in Glossis MSS. ad Alexandrum Iatrosophistam.
“Calvaries”, dunque, è sinonimo di “sinciput”, che nel latino classico significa “mezza testa di animale” e, con significato traslato, “cervello”. Colgo l’occasione per ricordare che “sinciput” nasce da “semis”=mezzo+”caput”=testa.
Probabilmente ho ripercorso il cammino fatto anche da chi ha attribuito a “calvarie” il significato di “studi o scritti”, suggestionato dal significato traslato di “cervello” che ha “sinciput” (cervello>attività intellettiva>produzione intellettuale>scritto). Ma, pensando al contesto, è più logico andare a gettare in un cimitero un libro o un teschio? Altro non dico.
Molto interessante l’articolo e la puntualizzazione.
molto bello il passaggio della data di morte e delle deduzioni che ne derivano indirettamente dalla lettura di altri testi.
E’ evidente che quando abbiamo una notizia dobbiamo sempre verificarla incrociando le informazioni. Talvolta anche quelle di un testimone possono risultare fallaci o inesatte.
Molto interessanti le notizie su Mateo Tafuri e su Sergio Stisso, mi piace segnalare che ho avuto modo di citare questi autori e altri salentini in un lavoro da me pubblicato più che 20 anni addietro su di un ulteriore salentino, Giovan Paolo Vernaleone, originario di S. Pietro in Galatina; per un riferimento puntuale al mio saggio, mi premuro a darne qui appresso le indicazioni bibliografiche: Matematica, filologia e codici in una lettera inedita della fine del XVI secolo, in “Helikon”, rivista di tradizione e cultura classica dell’Università di Messina, Anni XXXIII-XXXIV (1993-1994), pp. 159-241 (la lettera cit., allora inedita, è scritta dal Vernaleone a Giovan Vincenzo Pinelli). Grazie per l’attenzione, Rosario Moscheo
grazie a Lei per l’arricchimento
Professor Moscheo,
La saluto con gratitudine e con affettuosa deferenza, memore del Suo fondamentale contributo agli studi tafuriani. Possiedo sempre il Suo estratto da “Helikon” che custodisco preziosamente.
A presto, spero.
Gino L. Di Mitri