di Armando Polito
Se alcune voci dialettali sono, direi fisiologicamente, condannate per quanto detto magistralmente da Pier Paolo Tarsi nel suo saggio che ho citato recentemente riferimento in https://www.fondazioneterradotranto.it/2016/09/06/carmare-e-craminare/, i cambiamenti climatici hanno sconvolto anche i riferimenti stagionali, ragion per cui non è fuori luogo proporre ad autunno non ancora iniziato questa serie di vocaboli, alcuni dei quali rientrano, ormai, nell’elenco di quelli moribondi, se non già morti e seppelliti (almeno tra chi ha meno di quarant’anni. Sullo stato di salute o di putrefazione, comunque, mi soffermerò caso per caso.
scampare=spiovere
Il Rholfs registra due lemmi distinti. Il primo è proprio il nostro, con un invito a confrontare la voce calabrese (che è tal quale) e lo spagnolo escampar. L’etimo proposto è da *excampare. Il secondo scampare è, tal quale, formalmente e semanticamente, la voce italiana usata intransitivamente col significato di sfuggire e transitivamente con quello di liberare (questo secondo dignificato muove da un valore fattitivo del primo: fare scampare=liberare). Per scampare 2 non è riportato alcun etimo, il che significa che per il Rohlfs esso è lo stesso della voce italiana. Però, poiché essa deriva da s– (ciò che rimane della preposizione latina ex=lontano da)+campo, come faccio a non pensare che pure scampare 1 (tanto più con quell’*excampare) non abbia lo stesso etimo? Tuttavia, secondo me bisogna tener conto pure di campare che, alla lettera, vuol dire stare in campo. Non credo che il concetto di sopravvivenza sia legato al significato di campo connesso con la cultura contadina, per cui campare significherebbe fruire di ciò che il campo (colto o incolto) è in grado di offrire. Secondo me, purtroppo, il campo in questione è quello di battaglia, per cui campa chi ancora è in grado di combattere, scampa alla morte chi, ferito o di propria iniziativa, esce dal campo di battaglia. Così scampare2 non solo significherebbe che la pioggia (di solito connessa on il maletiempu che prevede tuoni e fulmini) sta uscendo dal campo visivo o che le nubi si stanno allontanando o dissolvendo, ma pure che la battaglia meteorologica è terminata. Tutto ciò senza negare l’intermediario spagnolo. Finché questa sfumatura militare prevarrà su quella contadina la parola dialettale ha buone probabilità di sopravvivere, favorita anche dall’analoga italiana.
inziddhisciare=piovigginare
La voce è forma incoativa (ma finisce per assumere pure una sfumatura iterativa) di un inusitato ‘nziddhare, a sua volta da nziddhu=goccia. ‘Nziddhu è da un latino *uncillum (nel latino classico unciola, usato da Giovenale nel senso spregiativo di dodicesima parte di un’eredità, d minutivo di uncia=oncia (dodicesima parte di un tutto). Certo, se l’eredità è cospicua anche un un dodicesimo non è da buttar via, ma l’oncia, a parte i significati tecnico-specialistici, ha assunto quello generico di piccola quantità. Credo, però che, non essendo oncia una parola di uso comune, nonostante la sua attualità come unità di misura di peso nei paesi anglosassoni …, anche la morte di ‘nziddhisciare, se non è già arrivata, è imminente.
trubbu=torbido, nuvoloso
Corrisponde all’italiano torbido che è dal latino tùrbidu(m), da turbare. Trubbu comporta la seguente trafila: tùrbidu(m)>*trùbidu (metatesi tur->tru-)>*trubdu (sincope di –i-)>trubbu (assimilazione –bd->-bb-). L’esito trubbu rispetto a torbido non depone a favore della durata per lungo tempo della voce dialettale.
ddirlampare=lampeggiare
Da un latino *dilampare, formato dalla preposizione de+il latino medioevale lampare=illuminare; trafikla:*dilampare>*dillampare (geminazione di –l– di natura espressiva)>dirlampare (dissimilazione –ll->-rl– propiziata dalla natura liquida di entrambe le consonanti.
sta ssitazza=pioggerellina sottile e incessante (alla lettera sta setacciando); a Vernole la locuzione è face lu sitazzu=fa il setaccio.
L’espressione, molto pittoresca (la pioggia sottile è paragonata ad una farina setacciata dalle nuvole), è tra quelle destinate a scomparire per prime, visto che il sitazzu (setaccio) è ormai un oggetto da museo, specialmente da quando in Puglia (e non solo) la coltivazione del grano è stata abbandonata e vengono importate farine che sarebbe già strano se fossero di grano tenero, un miracolo tutto da verificare se di grano duro …
sta lla face più piu=sta piovendo lentamente
La differenza rispetto a sta ssitazza è nel ritmo più lento e rispetto a ‘nsiddhisciare nella quantità maggiore di gocce.La forma iterativa piu piu non credo sia mediata dal mondo contadino, dove è la riproduzione onomatopeica del pigolio dei pulcini e degli uccellini nel nido, con presunto riferimento alle loro dimensioni ridotte. Credo che potrebbe essere una riduzione eufemistica di pipì (pisciareddha è detta la pioggia dipoca durataed entità). Un’origine più nobile, invece, potrebbe essere vantata da piu piu se esso fosse connesso con piulisciari usato col significato di piovigginare nel Tarantino a Sava. Piulisciari è da un latino *pluvitiare, forma iterativa dal classico pluvies=pioggia; In ogni caso, essendo finiti i tempi in cui si allevavano i pulcini (magari tenendoli in casa sotto il letto;oggi sopra al letto si potrà trovare, al più, un pulcino elettronico …) e non essendo di comune conoscenza il significato, non dico di Giove Pluvio, ma di un semplice pluviale, a piu piu, ammesso che sia ancora in vita,non rimangono molti giorni,
frùsciu=breve caduta di pioggia (da segnalare pure, decenza permettendo, scire a ffrùsciu=soffrire di attacchi di diarrea).
sta lla mena a ccieli pierti (alla lettera:la sta buttando a cieli aperti) oppure comu Ddiu cumanda (come Dio comanda)=sta piovendo a dirotto.
sta ‘ndi ‘nfoca (alla lettera: ci sta affogando)=ci sta sommergendo di pioggia. Da notare ‘nfoca è da ‘nfucare che,rispetto all’italiano affogare ha sostituito con la preposizione in (che poi ha subito aferesi) la preposizione ad che in affogare entra in composizione con il latino faux=gola.
Ogni volta rimango stupito dalla potenza evocativa del dialetto. Basta un’ espressione dialettale per riportarmi indietro nel tempo e sentirmi immerso in un mondo che sa di infanzia e di purezza. Meraviglia !
Ricollegandomi a “più più” ci potrebbe essere collegamento con “piulinu”? “Ha zzaccatu lu piulinu” ovvero il pianto monotono e protratto del bimbo capriccioso o il blaterare di una madre al figlio per ripetere sempre le stesse cose…
Credo che difficilmente, anche nel dialetto, ad una consonante sia affidato il compito di raccordo tra due elementi simili perché formanti un nesso, aggettivale o avverbiale, con valore superlativo, come in italiano “piano piano”, “solo solo” (con le varianti ingentilite dal diminutivo: “solo soletto”, “pian pianino”) e così via e, come, appunto, nel dialettale “piu piu”. Ammesso, poi, per assurdo, che “piulinu” nel senso da te ricordato sia connesso anche foneticamente con “piu piu” bisognerebbe spiegare di che cosa quella consonante di raccordo, cioè “l”, sarebbe residuo (teoricamente la più accreditata sarebbe la preposizione). Conclusione: il “piulinu” della frase da te riportata non è altro che il violino (sicuramente ci avrai pensato, ma volevi vedere in che modo avrei ammazzato il tuo dubbio di collegamento con “piu piu”) con riferimento al suo suono “lamentoso”. E così credo di aver diradato le tue nebbie e di aver aggiunto, grazie a questa metafora, un ulteriore tassello al sacrosanto stupore che il signor Cosi ha manifestato nel suo commento.
ho notato come presso i nostri anziani il termine “dirlampare” è anche usato per indicare il dolore improvviso e di forte intensità. Per esempio “m’ha dirlampatu lu razzu” quando si urta involontariamente il gomito contro uno spigolo (sollecitando il nervo radiale)
Bellissima integrazione con metafora sorella del “piulinu” del commento precedente. L’espressione è intraducibile in italiano (e, credo, nemmeno … l’inglese sarebbe in grado di esprimere lo stesso concetto con una sola parola),a meno che non si usi una circollocuzione tipo “ho provato al braccio una scossa come se fosse stato colpito da un fulmine”. Mentre hai appena finito di pronunciare “braccio”, il tuo interlocutore è già sparito …
e lo sai che il pensiero corre a quei verbi o termini che indicano il subitaneo, l’improvviso e l’imprevedibile, che dura millesimi di secondo: mi vengono in mente “scantatu” per impaurito, “furminatu” per folgorato, “scandìa” per vampata, “ha scuppatu”, “aggiu ssimbuttatu”, che però dovrai tradurmi tu, magari integrando con altri termini che potrebbero rientrare nella stessa categoria