Anche Vincenzo Ciardo (1894-1970) nel Museo dimenticato di Arezzo

di Danilo Sensi

Esiste un museo ad Arezzo, la Galleria Comunale di Arte Contemporanea, che purtroppo è un museo fantasma. Ha una sede, inaugurata nel 2003 in pieno centro e costata due milioni di euro, un luogo espositivo importante ed affascinante, ( l’ex Albergo Chiavi D’Oro contiguo alla Chiesa di San Francesco, ove si può ammirare “La Leggenda della Vera Croce” di Piero della Francesca ) e restaurato su progetto dell’Architetto Andrea Branzi; ed ha una collezione, un patrimonio di circa 370 pezzi, dei quali 344 documentati e alcuni solo citati fra disegni, sculture, pittura e grafica, raccolti dal 1959 ai giorni nostri. Opere di particolare pregio, riconosciuto già da Enrico Crispolti e di importanti autori italiani del secondo novecento fra cui; Castellani, Maccari, Ciardo, De Gregorio, Clemente, Calabria, Vespignani, Attardi, Cagli, Berti, Venturi, Chini, Norberto.

Un museo fantasma perchè esiste solo sulla carta, o meglio, su un catalogo curato nel 1995 da Enrico Crispolti. Un museo inaccessibile, un museo in cui non è possibile entrare, un museo che non porta nulla alla collettività perche dal 1988 non è possibile vedere le opere che conserva in quanto scelte politiche non ne hanno mai consentito l’effettiva apertura dopo il restauro. Fra i tanti artisti presenti in collezione, troviamo un altro importante esponente del 900″ italiano, Vincenzo Ciardo (Gagliano del Capo, 23 ottobre 1894 – 26 settembre 1970). Ciardo frequentò studi di pittura presso l’Accademia di Belle Arti di Urbino e si trasferì a Napoli nel 1920.

Vincenzo Ciardo, Estate salentina (1961)
Vincenzo Ciardo, Estate salentina (1961)

Fu inizialmente influenzato dal verismo tradizionale, con radici nel naturalismo della scuola di Posillipo. Fece quindi parte del Gruppo Flegreo e del Novecento napoletano, aggiornando la propria pittura verso un postimpressionismo ispirato a Paul Cézanne e a Pierre Bonnard.

Insieme a Giuseppe Uva, Saverio Gatto, Alberto Buonoconto, Biagio Mercadante, Carlo Striccoli, Giuseppe Rispoli, Antonio Bresciani, Ettore Lalli, Francesco Paolo Prisciandaro e il critico d’arte e pittore Alfredo Schettini, fu tra i protagonisti dell’esperienza bohèmien del Quartiere Latino a Napoli. Frequenta il poeta e barone di Lucugnano Girolamo Comi contribuendo all’esperienza culturale iniziata con Michele Pierri, Ferruccio Ferrazzi, Maria Corti e Donato Valli.

Ad Arezzo Ciardo partecipa al “Premio Arezzo” del 1962 e l’opera ” Estate salentina ” del 1961, venne donata dall’Artista alla nascente Galleria Comunale d’Arte Contemporanea, ed ha subito la sorte comune, accantonata in un magazzino o appesa come arredo in un ufficio.

ciardo

La storia della Galleria

La collezione comunale di Arezzo nasce dal “Premio Arezzo” di pittura, presentato al pubblico nel 1959 e che per cinque edizioni di seguito, ogni anno a primavera e con successo di espositori, pubblico e stampa, fece apprezzare Arezzo in Italia e all’estero come uno dei centri più attivi per la conoscenza e la diffusione dell’Arte italiana del dopoguerra, anche se, come dichiara uno dei primi e più attivi promotori della stessa, nella più totale indifferenza della cittadinanza. L’evento ebbe grande successo sia per la formula, il rifornimento della costituenda Galleria Comunale d’Arte Moderna e Contemporanea sia per il premio, un chilo d’oro fino presentato nella forma di un peso da bilancia. La Galleria iniziò la sua attività espositiva sotto la guida del professor Dario Tenti che riuscì nella difficile impresa di organizzare una serie di mostre di grande interesse e che contemporaneamente avviò la raccolta di un’originale collezione permanente puntando sia su artisti toscani che su artisti italiani già affermati o emergenti. Il patrimonio di opere, in gran parte donato dagli stessi autori, ha un valore molto elevato, sia materiale che storico e culturale e viene esposto al pubblico fino al 1988 nelle sale di Palazzo Guillichini.

Dopo varie vicissitudini la nuova sede della Galleria aretina viene inaugurata il 13 dicembre 2003. Da quella data e fino ad oggi la Collezione non ha trovato mai posto nella nuova sede di Piazza San Francesco appositamente restaurata e ovviamente viene da chiedersi perchè ciò non è avvenuto e dove sono state collocate le opere. L’ apertura di nuovi uffici comunali nell’ex Caserma Cadorna di Arezzo ha in parte risposto alla domanda, infatti alcune opere della collezione comunale fanno bella mostra di se nelle pareti degli uffici. Scelta saggia ma che pone degli interrogativi: Dove e come, sono conservate le opere della collezione? quante sono rovinate? quante scomparse o perdute? Quali ragioni politiche o economiche non hanno dato corso al naturale collocamento della collezione negli spazi dell’ex Chiavi D’Oro? Negli ultimi anni alcuni giornalisti hanno cercato di porre il problema ai vari Assessori alla Cultura del Comune di Arezzo, che per tutta risposta hanno sempre definito “non particolarmente pregiata la collezione” e “troppo costoso tenere aperta la sede della galleria”. Con tali affermazioni smentiscono uno dei più colti e autorevoli Critici d’Arte del nostro paese, Enrico Crispolti, che definisce la raccolta “un patrimonio cospicuo di opere sia sotto il profilo qualitativo che di esperienze, quanto sotto il profilo economico”; offendono l’ Amministrazione Comunale che al fine di ospitare la collezione, ha restaurato e adeguato una sede spendendo più di due milioni di euro; tradisce i promotori del “Premio Arezzo” che coltivavano un sogno e in primo Dario Tenti che ricorda quel periodo “pieno di fermento e di desiderio di recuperare il tempo perduto” e che con una parola definisce quel fermento come “fame di cultura”; oscura la memoria storica di Arezzo, decine di mostre realizzate dal 1959 ad oggi, alcune memorabili, con la partecipazione di artisti quali; Magritte, Ernst, De Chirico, Savinio, Vespignani, Bacon, Carol Rama, Morlotti, Fontana, Burri, Guttuso, solo per citarne alcuni e priva la città di Arezzo della libera fruizione di un bene, che viene considerato sia culturalmente che economicamente importante.

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