di Pier Paolo Tarsi
Il nostro ateneo al tempo della Buona Scuola: alcune domande che il Magnifico Rettore dell’Università del Salento dovrebbe porsi urgentemente.
Leggo spesso di una perdurante e avanzante crisi del nostro ateneo dovuta a varie e diversissime ragioni, strutturali e contingenti. Una di queste ragioni è la spesso menzionata carenza di una fitta ragnatela di connessioni stabili e produttive con il tessuto territoriale. Non oso minimamente addentrarmi nelle difficoltà che la delicata questione implica, basti qui il richiamo ad una relazione evidente sulla quale certamente converremmo tutti e che non necessita di ulteriori giustificazioni: ogni passo indietro, di qualunque tipo e natura, sia compiuto dall’Università del Salento, costituisce un passo verso il baratro per il nostro territorio. E viceversa naturalmente. La consapevolezza di questo condiviso destino è la ragione per cui bisogna guardare all’ateneo salentino se si tiene alla crescita continua di questo territorio: un progetto questo semplicemente impossibile senza un’operosa università che abiti e vivifichi il contesto con saperi e competenze utili. Proprio a tal proposito un modesto spunto dal punto di vista di un insegnante vorrei fornirlo, sperando di non risultare con ciò supponente. Faccio il docente in una scuola superiore ai “confini” del nostro territorio, Manduria, una cittadina che si sente “leccese” pur essendo “tarantina”. La scuola italiana, come noto, è stata recentemente riformata in molti aspetti, pessimamente a mio parere, ma qua soprassiedo e considero solo un elemento positivo: la formazione continua dei docenti. Ogni insegnante a tal proposito avrà annualmente una somma di 500 euro a disposizione per spese legate solo ed esclusivamente (pena la restituzione) alla sua formazione e all’aggiornamento: libri, strumenti informatici, corsi di formazione. 500 euro per tutti i docenti, di tutti gli ordini e gradi, di ogni disciplina, di ogni scuola del territorio! Mica bruscolini! Al di là di ogni valutazione sulla questione bonus che in questa sede tralascio, credo che questa possa essere un’opportunità concreta intorno alla quale edificare una connessione costante tra università del Salento e insegnanti che operano sulle scuole del territorio. L’offerta di corsi, anche online, creati ad hoc da enti accreditati o altro, è praticamente già sterminata, la qualità degli stessi è spesso però discutibile. Alla luce di ciò, e andando subito al dunque, la questione da porre e affrontare quanto prima per il nostro ateneo è allora, credo, la seguente: cosa offre l’Università del Salento alla luce dei cambiamenti del contesto scolastico che interessa anche il nostro territorio? Cosa fa per intercettare il bonus di migliaia di docenti che vivono qua? Cosa offre l’ateneo alla massa di docenti che vogliono veramente approfittare dell’occasione di una cifra utile a formarsi? Cosa offre l’ateneo a quanti non vorrebbero soltanto comprare un pc all’anno oppure arricchire semplicemente un curriculum di titoli e relativi punteggi da esibire al prossimo dirigente scolastico che dovrà scegliere il suo staff? L’ateneo salentino sta organizzandosi per rispondere adeguatamente con un’offerta formativa pensata per quei docenti che, agendo in tutte (tutte!) le scuole del territorio, intendono innalzare il proprio livello culturale, premessa per meglio formare coloro che costituiscono il futuro del territorio? Non sono forse gli insegnanti gli unici che possono fortificare la preparazione di coloro che un giorno potrebbero rappresentare l’utenza stessa in ingresso dell’ateneo? Facciamo degli esempi concreti che solo chi lavora a scuola può fornire. Attualmente le aree di intervento del docente di sostegno sono di fatto abolite. Il che vuol dire che un docente di chimica impegnato sul sostegno potrebbe dover supportare un alunno con difficoltà di apprendimento in filosofia, o un docente di filosofia dovrebbe spiegare un circuito elettronico a un suo studente. L’Università del Salento, come ogni altro ateneo, offre corsi su singoli insegnamenti. Al momento sono un insegnante di sostegno in un agrario, mi piacerebbe allora molto – e tornerebbe molto utile sia a me che ai miei studenti – poter svolgere esami singoli di chimica organica, di zoologia, di biologia molecolare ecc. senza svenarmi e senza incappare in mille difficoltà organizzative per frequentare quei corsi. Non mi basta – e se mi bastasse non mi accontenterei comunque – quanto ascolto dai pur ottimi e collaborativi colleghi per aiutare i miei studenti in quelle materie: semplificare una lezione implica un possesso di conoscenze ulteriori, un orizzonte molto più ampio sulla disciplina di riferimento della quale si trattano specifiche nozioni o aspetti. Infatti, se c’è qualcosa che è difficile realizzare e richiede padronanza di una materia, è proprio il render semplice un contenuto, il riformularlo in mille maniere agevolando il processo stesso di apprendimento! E se domani passerò in un tecnico industriale? Quali nuove sfide dovrò attrezzarmi ad affrontare sul piano dei contenuti per far meglio il mio mestiere? Magari vorrò e dovrò impratichirmi in elettronica, mai studiata però all’università e nemmeno al liceo, avendo fatto lo scientifico! E quale miglior luogo dell’Università per colmare le mie lacune conoscitive? Così, ad esempio, mi domando: l’Università sta pensando a convenzioni con i docenti e con le scuole in questo senso? Fare un esame singolo attualmente ha un costo di 25 euro a CFU a Lecce, un esame da 9 CFU mi costerebbe 225 euro, poi dovrei acquistare i libri per studiare ecc. Che sia troppo dispendioso per un docente chiamato a formarsi continuamente e su molti, diversissimi, saperi? A Milano mi costerebbe meno, dal secondo insegnamento in poi quasi nulla! Che si possa pensare a convenzioni specifiche per i docenti delle scuole del territorio? Ancora, ammesso che il prezzo mi paia alla portata del mio bonus (lo stipendio è già impegnato, mi serve per sopravvivere ahimé!), come faccio a frequentare quei corsi se non vengono coordinati con le attività mattutine della scuola e spostati nel pomeriggio? Cambiamo esempi, e domande. Oltre ai corsi disciplinari già esistenti, è possibile che l’Università non possa concepire pacchetti formativi interdisciplinari, eterogenei e specifici per singoli aspetti della professione dei docenti, ossia organizzati tanto nei contenuti quanto nei tempi e nell’organizzazione per le particolari esigenze formative di chi opera in una scuola in continuo cambiamento? Perché, per esempio, per un corso di aggiornamento sulla dislessia o sulla valutazione nella programmazione per competenze devo affidarmi a questo o quell’ente formativo, a questa o quella Università online, quando l’ateneo salentino potrebbe predisporre – tanto in presenza quanto online – sulla base di personale e competenze di ogni disciplina di cui dispone, un’offerta formativa costantemente aggiornata, puntuale, mirata, concordata magari con le scuole stesse, meticolosa nella risposta ai bisogni formativi del contesto territoriale, delle scuole e delle reti già costituite fra queste? Perché università e scuole non si incontrano in queste forme di condivisione e scambio dei saperi e delle competenze, della programmazione formativa oltre che sul piano della ricerca sperimentale e persino degli spazi? Perché l’Università non si fa itinerante, non va incontro al territorio, per esempio non pretendendo che i professionisti vadano nelle sue strutture ma inviando le proprie risorse umane nelle strutture altrui per formare in loco, dove opportuno e richiesto? Perché questi steccati così vetusti e limitanti che qualunque ente di formazione ha già superato? In un mondo ormai fondato sulla formazione professionale permanente, cosa offre il nostro ateneo per i professionisti del territorio, a cominciare dagli insegnanti? Perché un’anziana signora che si laurea fa ancora prima pagina nel nostro territorio? Perché l’Università del Salento è organizzata solo intorno al cliché dello studente giovane e disoccupato? Siamo sicuri che un’utenza del genere è l’unica immaginabile o quella su cui primariamente puntare in un paese a natalità zero e in un mondo in cui la formazione si conclude con l’inumazione al camposanto? Le risposte operative a queste domande configurano delle possibilità a mio avviso realizzabili, aprono ponti percorribili, in breve, possono rappresentare spunti in grado di innescare un circolo virtuoso a vantaggio di tutti coloro che intendono vivere, formarsi e credere nel futuro di questo territorio.