di Nicola Morrone
Di recente abbiamo avuto occasione di visitare una delle più belle chiese di Napoli, quella dei SS. Severino e Sossio, chiusa a lungo per lavori di restauro e da poco riaperta.
Grazie alla collaborazione dei volontari della locale sede del Touring Club, è stato possibile effettuare una visita guidata.
La chiesa conserva uno dei capolavori assoluti della scultura rinascimentale meridionale, cioè la tomba Bonifacio, collocata nei pressi della sagrestia. Si tratta di un notevole monumento sepolcrale in marmo, realizzato alla memoria di Andrea Bonifacio, figlio dei nobili Roberto Bonifacio e Lucrezia Cicara (con residenza a Portanova) morto all’età di appena sei anni, nel secondo decennio del’500[1].I genitori, affranti per la perdita prematura, vollero far erigere l’arca affidandone l’esecuzione agli artisti spagnoli Bartolomè Ordonez e Diego de Siloe.
Una lettura dei caratteri iconografici e formali permette di comprendere gli aspetti salienti dell’opera. Essa è costituita da un basamento, che reca gli stemmi della famiglia Bonifacio-Cicara e l’iscrizione funeraria, stesa dall’umanista Jacopo Sannazaro. Nella predella è raffigurata la scena della sepoltura del giovane Andrea, che è rappresentato come un eroe (ha la testa adorna di una ghirlanda) e colto nel momento della deposizione nell’urna sepolcrale. Ai lati, isolate eppure partecipi della vicenda, si notano due gruppi di piangenti, e ai due margini estremi del riquadro compaiono altre due figure in atteggiamento mesto, una di esse con un abito di evidente foggia cinquecentesca.
La zona centrale dell’arca, oltre a motivi decorativi ricorrenti nella scultura rinascimentale napoletana, ospita in posizione centrale la statua di Sant’Andrea, alla cui protezione evidentemente i genitori vollero affidare il figlioletto scomparso. Chiude il monumento un vero capolavoro di scultura, l’urna inghirlandata contenente le spoglie del giovanissimo defunto, il cui coperchio è retto da putti piangenti.
La tomba Bonifacio, esaltata già dal De Dominici come una tra le più bella opera plastiche di Napoli, è stata oggetto di studio anche in tempi recentissimi da parte di storici dell’arte qualificati, che hanno cercato di sciogliere i principali nodi problematici posti dall’opera. La quale, come affermato da una nota studiosa, racchiude ancora molti “segreti”.
Le fonti documentarie sono infatti incredibilmente avare di notizie sulla tomba Bonifacio, le cui coordinate storiche, stilistiche ed iconografiche, si sono finora potute ricostruire essenzialmente partendo dall’opera , che resta pur sempre “il primo documento di se stessa”.
Piuttosto vasta è la bibliografia relativa al monumento, che qui non richiamiamo: accenniamo soltanto al fatto che, se la questione attributiva pare pressochè risolta, restano ancora non completamente sciolti i nodi relativi all’iconografia (e all’iconologia). In questo senso proponiamo agli studiosi di approfondire la narrativa della movimentata predella, poiché non è ancora chiaro, al di là dell’evidente valore allegorico della scena rappresentata (che associa la morte del giovane Andrea Bonifacio a quella di Cristo), se essa contenga, come a noi pare, anche elementi di verismo. Essa potrebbe infatti contemplare la presenza dei genitori del giovanetto, Roberto e Lucrezia, ai margini estremi della raffigurazione. E’ un’ipotesi suffragata anche da altri studiosi, coi quali l’abbiamo recentemente discussa.
Molto resta comunque da dire su questo capolavoro plastico, oggetto di ammirazione anche dei viaggiatori stranieri , che periodicamente si recavano nella capitale del Regno, spesso illustrandone i monumenti sui loro taccuini.
[1]Roberto Bonifacio fu anche marchese d’Oria. Ebbe tre figli maschi: Andrea, Dragonetto e Giovanni Bernardino. Quest’ultimo fu grande umanista e appassionato bibliofilo. Nato a Oria nel 1517, precocemente convertitosi al protestantesimo, fu esule in Europa “religionis causa”, e morì a Danzica nel 1597.
La famiglia Bonifacio ebbe significativi rapporti anche con il Salento.Roberto Bonifacio, come accennato, fu Marchese d’Oria e signore di Francavilla Fontana e Casalnuovo (odierna Manduria).Recentemente, in questa stessa rivista ci siamo occupati dei ” capitoli” concessi dal figlio di Roberto, Giovanni Bernardino, all’università di Casalnuovo (1538-40).Presto ne pubblicheremo il testo integrale.