Cacciare, calare, raschiare e alcune differenze di significato dei loro corrispondenti salentini

di Armando Polito

Preliminarmente c’è da osservare che cacciare e calare hanno identica forma nella lingua nazionale e nel salentino, mentre a raschiare corrisponde rrascare e volutamente me ne occuperò alla fine, non solo per rispettare l’ordine con cui le tre voci compaiono nel titolo ma soprattutto per non esordire con una nota hard, anche se mi rendo conto che quest’ultima scelta probabilmente avrebbe propiziato un numero più nutrito di lettori. Ma non è detto, se, come ha cantato Leopardi, dello stessa giorno di festa è più gratificante la sua attesa …

CACCIARE: in italiano può essere usato assolutamente nel senso di andare a caccia di; per esempio: cacciare il cinghiale. Il salentino ignora quest’uso assoluto ed usa solo la circollocuzione (che è l’esatta traduzione di quella italiana) scire a ccaccia ti. Nel significato di mandar via l’uso è comune: l’ha cacciato da casa/‘ndi l’ha ccacciatu ti casa. Comune è anche l’uso nel significato di germogliare (l’olivo ha cacciato un sacco di polloni/l’ulia ha ccacciatu nnu saccu ti sobbracaddhi); tuttavia il salentino usa il participio passato sostantivato cacciata nel senso di fioritura, con particolare riferimento all’olivo: stannu la cacciata è bbona (quest’anno la fioritura è abbondante). Comune anche nel senso di cavare: Io gli caccerei gli occhi!/Iò li cacciaa l’uecchi!); un uso tutto salentino è nella locuzione in voga nei tempi in cui le donne sferruzzavano; cacciare li maglie (ricavare la sequenza del tipo di maglie in un lavoro con i ferri). Invece di cacciare come sinonimo di infilare il salentino usa schiaffare (Dove ti sei cacciato?/A ddo’ t’ha schiaffatu?).

CALARE: in comune con l’italiano nel significato generico di diminuire (calare di peso/calare ti pisu) e nel participio passato sostantivato calata (riferito alla pesca, tanto con la lenza che con la rete); questa forma è usata pure nel salentino nel senso di invasione ma riferito prevalentemente, per non dire soltanto, ai volatili da cacciare. Da non dimenticare anche la forma riflessiva come sinonimo di farsi avanti tenendo nascosta la vera, furbesca, intenzione (Si ‘n’dè calatu).

RASCHIARE: rispetto all’italiano il salentino rrascare viene usato anche nel significato di coire; chiedo scusa se in chiusura rischio di urtare la sensibilità di qualcuno, ma non posso proprio fare a meno di notare la maggiore gentilezza della voce del nostro dialetto rispetto agli italiani chiavare, scopare e al meno pittoresco di tutti (perché inflazionato dal fatto che, ormai, è diventato (ma non in senso sessuale, che pure era quello originale1) lo sport nazionale, soprattutto della classe politica: fottere.

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1 Fottere, infatti, deriva dal latino futùere, che significa esclusivamente avere rapporti carnali. Difficile dire, poi, se futùere è legato da occasionale somiglianza fonetica o da un rapporto più stretto con il greco φοιτάω (leggi foitào), il cui significato di base è innocente, corrispondendo a visitare, frequentare, ma che da alcuni autori è usato in quello metaforico di avere rapporti sessuali; la stessa duplicità semantica si nota nel verbo latino coìre (da cui è fedelissimamente la forma italiana citata), composto da cum=insieme+ire=andare e il cui significato di base è adunarsi, associarsi, dal quale si passa a quello sesuale di accoppiarsi.   

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2 Commenti a Cacciare, calare, raschiare e alcune differenze di significato dei loro corrispondenti salentini

  1. Aggiungerei al verbo calare una espressione dialettale, specificatamente galatinese, col signigicato di: imbrogliare, fregare qualcuno; “quiddhru mi l’ave calata…; a quiddhru li l’aggiu calata…”

    • La ringrazio per l’integrazione. Il significato particolare da lei ricordato è una metafora sessuale, per cui la locuzione sottintende un complemento oggetto di agevole identificazione. Pure a Nardò la stessa espressione è slittata dal significato nativo di natura maschilista a quello metaforico. Non mi meraviglierei se essa nel significato letterale venisse usata anche dalle donne, dopo la loro adozione di “che palle!” …

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