Pati Luceri al 5° giorno di sciopero della fame per denunciare le condizioni disumane dei migranti nel CIE di Restinco (Br) e la detenzione illegale dei detenuti politici in Turchia e Israele
di Paolo Rausa
In Salento è periodo di vacanze, di mare, feste, pizziche… ma la solidarietà internazionale non si ferma. Non per Pati Luceri da Martano (Le). Lo incontro al Castello di Corigliano d’Otranto durante la seconda tappa di una iniziativa culturale sul griko, promossa da una serie di organizzazioni locali, i cui esponenti dialogano nella lingua grecanica come sfida e continuità con le radici dei luoghi.
‘Tàlassa ti nonni tàlassa ti zechorìzi’ – ‘Mare che unisce, mare che divide’ è il titolo. I riferimenti sono molteplici, alla ‘madre patria’, quella Grecia da cui arrivarono i primi coloni, al mare che porta con sé anime in fuga dalla guerra e dalla devastazione. Quel clima si respira nell’iniziativa assunta da Pati Luceri.
Mi mette al corrente e ne nasce questo breve scritto. Ci rivediamo e mi racconta della sua scelta di denuncia utilizzando lo sciopero della fame. ‘Sono contro per principio – mi dice – ma ora sono costretto a richiamare l’attenzione sui fatti di casa nostra e sulla detenzione illegale di molti attivisti politici in Turchia, Ocalan e i curdi, e in Israele, dove centinaia di detenuti giacciono rinchiusi nelle carceri senza incriminazioni e senza processi’.
In particolare Pati ricorda il detenuto palestinese Bilal Kayed, in sciopero della fame a sua volta da 50 giorni. ‘A metà giugno avrebbe dovuto tornare a casa ad Asira al-Shamaliya, in Cisgiordania, dopo aver passato quasi 15 anni nelle prigioni israeliane, e quando le autorità di occupazione gli rifiutarono il rilascio e lo misero in detenzione amministrativa, diede inizio allo sciopero della fame.’ – racconta Pati. La sua azione è accompagnata dal contemporaneo sciopero di numerosi militanti di Hamas e del Fronte Popolare di Liberazione della Palestina.
Ricorda l’attività instancabile della Rete Kurdistan di Lecce per la libertà e l’autodeterminazione del popolo kurdo e del suo leader Ocalan, tuttora detenuto e relegato nell’isola di Imrali. Ma la denuncia di Pati va oltre, non si ferma e si indirizza contro il CIE di Restinco (Br), una vera e propria prigione dove vengono ammassati in condizioni disumane i migranti, rei di scappare da condizioni di guerra nei paesi di origine. ‘Non sono così presuntuoso – ribatte Pati alle mie osservazioni – la mia battaglia è per mettere a fuoco l’attenzione e la tensione sul CIE di Restinco e contribuire al dibattito per allargare il confronto ed ampliare la solidarietà riguardo i fratelli e le sorelle migranti trattenuti nel CIE e dei prigionieri politici che lottano per l’autodeterminazione della loro terra!’
La sua determinazione è commovente ma è risoluto nel definirsi ‘uno che, pur con tante contraddizioni, cerca di dare il suo contributo all’abbattimento di ogni violenza contro il proprio simile e soprattutto a partire dai più deboli – sottolinea con enfasi – e di tutti i senza voce, a partire da quelli reclusi nel CIE di Restinco’.
Pati richiama le nostre coscienze e le istituzioni a porre fine alle discriminazioni politiche e sociali per affermare ‘un mondo più giusto e solidale’.