Episodi del 1860 a Nardò

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EPISODI IGNORATI SUGLI AVVENIMENTI del 1860 A NARDÒ

SECONDO UN’INEDITA CRONACHETTA DEL TEMPO

 

di Giovanni Siciliano

Sul n. 7 del settembre 1960 di « Zagaglia » (pag. 66) Ag. Gabrieli ha dato notizia di una lettera a monsig. Luigi Vetta vescovo di Nardò.

Ciò merita un maggior corredo di notizie riflettenti quel periodo storico.

Da un manoscritto, ch’è una cronaca che si inizia il 1848 e termina al 1861 (redatta dal notaio Policarpo Castrignanò padre dell’altro notaio Gregorio; come si evince dalla nota del giugno 1850 in cui fa cenno del contratto da lui stipulato per la costruzione del palazzo vescovile, e successivamente il 10 gennaio 1860, quando annota che, per atto di suo figlio G.(regorio) Castrignanò, fu redatta la convenzione tra la Commissione di beneficenza; poi Congregazione di Carità ed ora Ente comunale d’assistenza; il Comune e le « sorelle della carità» perché reggessero l’ospedale e come per tale atto si pagarono 1000 ducati = L. 4250; perché venissero dalla Francia), si possono trarre le seguenti notizie.

Da tale manoscritto risulta che il 2 feb. 1848 si ebbe conoscenza come il 29 gennaio Ferdinando II aveva, di sua volontà, concessa la Costituzione. La cronaca così annota :

« La mattina de’ due Febraro coll’arrivo della posta si ebbe la certa notizia, che il 29 caduto Gennaro, S. M. Ferdinando volontariamente si determinò dare la costituzione italiana, essendo uscito Lui medesimo a promulgarla, e quindi sul momento s’inalberò la bandiera tricolore, ed allegrezza generale gridando viva Pio IX, il Re, e la Costituzione. Il Vespero con tutta sollennità, e folla di Popolo e banda si cantò il Tedeum con Sermoncino del Primicerio Leante, ed indi si girò tutto il Comune così gridando, e con spari ».

In quel periodo pare che il vescovo fosse assente perché sotto la data del 20 giugno 1849 sta scritto :

« Essendo andato a Napoli il nostro vescovo D. Ferdinando Girardi prima del 29 Gennaro 1848, che sua Maestà decretò la costituzione Italiana, e che più non ritornò e fu traslogato nel Comune di Sessa, prese possesso di questo Vescovato il Sac. D. Luigi Vetta nativo del piccolo comune di Acquaviva delle Croci (Collecroce) nel Contado del Molise, Capitale in Campobasso, consagrato con delegazione del Pontefice, che si trovava in Gaeta, in Napoli. Fu investito di provicario Genie l’Arcidiacono D. Gius. e Leante già Vicario Capitolare e Proc.re, che ne prese il possesso dopo la lettura delle bolle e procura. Si cantò il Tedeum, con banda e spari ».

Di poi la cronaca di seguito annota :

« A 20 settem.e: d.° anno c. a. le ore 22, giunse in Nardò il d.° nuovo Vescovo, portando seco un segretario dal titolo di Uditore presso d. Vescovo, D. Giuseppe can.co Teta di Avellino, e propriamente del Comune di Nusco, ed un Cameriere; venendo da Lecce rilevato da’ Proc.ri del Capitolo Penitenziere Rucco ed Abbate D. Gio. Ingusci; ed anche dai Procuratori del Ceto. Uscirono avanti 4 carozze, ed arrivato all’Osanna, fu vestito nella Chiesa della Carità, ed indi all’appiè sotto d. Palio girò da sotto S. Antonio, Conservatorio, passando da S. Chiara, Piazza, e Cattedrale con pompa, e folla di Popolo, e dopo la solita cerimonia, fece seduto sul Faldistorio un’omelia, e fu condotto al Seminario, luogo per il suo domicilio, per la mancanza del Palazzo Vescovile.

Giunto in sede il Vescovo Vetta alla data del 20 settembre 1849 non restò inoperoso e, con contratto del giugno 1850, provvide a mandare a termine la casa episcopale nella parte posteriore alla facciata. Il cronista, lo stesso notaio così scrive :

In giugno 1850 per nuovo contratto da me stipulato si ripigliò il Fabrico del Palazzo Vescovile dallo stesso M.ro Donato Cimino, che contrattò con l’attuale vescovo D. Luigi Vetta ben intenzionato,giacché simile contratto l’avevano potuto fare gli anteriori Vescovi dopo la morte di Monsignor Lettieri, e non lo fecero.

Infatti la facciata del palazzo porta lo stemma di monsignor Salvatore Lettieri, a memoria del quale, come annota lo stesso Castrignanò; il 10 nov. 1852; e cioè precisamente dopo tredici anni dalla morte; che sarebbe quindi avvenuta nel 1839; fu murata una lapide attualmente esistente e che, sempre a dire del cronista, giunse via mare a Gallipoli, e accorsero 24 facchini per il trasporto.

La facciata della cattedrale di Nardò, disegnata da Ferdinando Sanfelice
La facciata della cattedrale di Nardò, disegnata da Ferdinando Sanfelice

Né la cura edilizia del Vescovo Vetta fu posta solo per il palazzo perché l’attuale chiesa dell’Immacolata (già S. Francesco) nella volta ha lo stemma di detto vescovo : una torre in vetta ad un monte; il che sta a dire che fu fatta a sue spese in una al contrafforte sul lato della strada, forse perché in antecedenza, data l’altezza e la mole; invece della copertura in pietra vi era una tettoia.

Sotto la data del 23 maggio 1853 il cronista annota :

« …si demolì interamente l’arco vecchio del seminario e per tutto il giorno 25 si sbarazzò la strada dal Materiale, dovendo il 26 g.no del Corpus passare la processione. Ciò avvenne dopo che di già si era fatto l’arco nuovo di comunicazione tra il seminario ed il Palazzo nuovo Vescovile principialo o sia ripigliato il fabrico in giugno del 1850 come sopra e già compito, ed abitabile, ma il Vescovo Vetta non ancora ci dormiva per la tinta di olio alle porte ed altro, ma le spese continueranno per perfezionare parte dei sottani, basulati e tutt’altro, ec. ec. e col fatto si osservava la ferma intenzione del Vescovoa fronte degli antecessori.

Dalle successive annotazioni risulta che il palazzo episcopale fu abitato dal vescovo solo nel gennaio 1854.

Ma il 7 agosto 1855 scoppiò il « cholera morbus » ed il cronista annota che fu fatta una processione di penitenza con la statua del protettore S. Gregorio Armeno e guidata dal vescovo Vetta. Il bilancio del male fu triste perché sino al 21 sett. 1855 ci furono 288 decessi; 528 contagiati e 200 guariti e fu in tale occasione che si dovette ampliare il cimitero in quella zona detta ancora « il colera ».

Durante l’epidemia anche il vescovo si prodigò recandosi presso gli ammalati.

Segue poi questa notizia :

« Nel dì 22 maggio dell’anno 1859 Domenica alle ore 17 3/4 passò all’altra vita il nostro Sovrano Ferdinando secondo in Caserta, ove da più anni domiciliava, e dietro una malattia di c.a mesi cinque chiamata da Medici, ascesso alla goscia destra, dell’età di anni 49 e mesi 4, si ebbe notizia la mattina ben presto che 23 d.° per il ramo della Polizia col telegrafo elettrico, e questa comunicata con dall’Intendente a questo giudice, e Sindaco, coll’annuncio di essere salito al Trono il Principe Ereditario Francesco secondo unico figlio procreato colla prima moglie Maria Cristina di Sardegna decretando nel tempo stesso, che ad eccezione del solo titolo, tutt’altro restare nello stato attuale fino a nuove disposizioni. Ciò fu con firmato colla notizia ufficiale avuta colla posta de’ 27 d° Mag.

A 4 giugno dell’anno il nro Vescovo Luigi Vetta ne fece il funerale pomposamente ed il Primicerio Marinaci l’orazione funebre; ma io nulla vidi perché incomodato ed i tempi non mi permettevano uscir di casa.

E si arriva già al regno d’Italia. Il cronista annota :

  • Con decreto de’ 11 sett. 1860 da Vittorio Emanuele Re’ d’Italia, che di già reggeva il Regno di Napoli fumo abolite le sepolture e richiamata in vigore la Legge sulli Campi Santi.

Il cronista tace su altri avvenimenti di carattere politico svoltisi successivamente e nell’anno 1861 annota :

« A 4 giugno 1861 si restituì in questa sua sede il nostro vescovo D. Luigi Vetta venendo dalli Bobbò di Lecce da dove fu rilevato dall’Arcid° Marinaci dal Primicerio Perrone; e non ancora da due dignità, al par delle altre, preso possesso da D. Giuseppe de Michele, dal giudice D. Vito Lorè, da D. Emanuele de Pandi e da d. Fra.co de Pandi sotto capo urbano, appositamente andati il mattino de’ 4 sud. con due carozze.

Egli lasciò la sua residenza per timore; ed andiede primo per pochi giorni allo Brusca, indi passò in Parabita, dove stiede per qualche tempo, ed indi, perché minacciato, coree si disse, si andiede a concentrare in Lecce tra i monaci Bobbisti ».

 nardò piazza

ERRATA CORRIGE

Le carozze furono tre – nella prima ci andava Monsignore – Il Giudice – Marinaci sud.°, ed il sotto Capo D. Francesco de Pandi -nella seconda il detto Perrone, ed il canonico Aprile, e nella terza li Sacerdoti D. Dom.co Antonio Asciutti, e D. Giuseppe De Michele.

Giunsero circa le ore 22 – e fin dalla Porta Maggiore della Cattedrale, un’immensità di Popolo echeggiando di evviva, accompagnò le carozze.

Entrato in Chiesa nella quale in un momento non si poté più penetrare per il concorso della Popolazione, fu ricevuto dall’intiero Capitolo, Preti e Chierici. Si espose il SSmo, e prima della benedizione e Tedeum, Monsignore seduto al Faldistorio, e quasi piangendo, fece un fervorino, inculcando la pace, l’unione e l’amore fra tutti e la pena da Lui sofferta lo star lontano dalla sua sede, ed amata Nardò.

E qui ha termine la cronaca la quale si occupa anche della nomina del frate Pro-Lettore domenicano nativo di Nardò : Michele Caputi di anni 43 a vescovo di Oppido Mamertino.

La cronaca è stata trascritta integralmente con il florilegio grammaticale chiarendo soltanto che « Brusca» è il nome di una masseria di Nardò in prossimità del mare e « Bobbò » è l’attuale reclusorio di Lecce che si vede uscendo da porta Rudiae nei pressi di S. Maria dell’Idria.

Il fatto che « per timore » e « minacciato » il vescovo si fosse allontanato, deve attribuirsi alle correnti politiche del tempo e cioè tra i favorevoli al nuovo stato di cose e quelli ancora ancorati alla dinastia borbonica.

I tempi si succedono sempre allo stesso modo e nei rivolgimenti politici occorre la sedimentazione per il trapasso tra un ordine di cose e l’altro.

Dalla piccola cronaca in mio possesso si rileva ancora che alle ore 8 e 10 minuti del 12 ottobre 1856 ebbe luogo un terremoto di natura ondulatoria che lesionò molte case e che anche a Napóli era avvenuto lo stesso e successivamente si accertò che Castrovillari era stata distrutta e metà di Catania. In complesso la cronaca consta di 20 pagine e cioè 40 facciate di cm. 21 per cm. 15 ed è scritta su càrta bianca di straccio non rigata con in trasparenza: la parola Almasso in un rettangolo e poi sempre in trasparenza : « Gius Baccan ». Ed al centro uno stemma con un’aquila con i piedi su di una specie di sgabello che posa su tre cumuli convessi. E’ da ritenere quindi che il vescovo non fu allontanato, ma; come si direbbe oggi: « reazionario » avverso il nuovo stato di cose; si trasferisse in volontario esilio nella masseria; « recessit in solitudinem », « per evitare le occasioni». Certamente se si fosse trattato di imposizione non sarebbe rimasto nel territorio della propria città e diocesi; ma sarebbe andato assai più lontano.

Come ieri anche oggi i tempi si equivalgono: per comodità si chiama fascista chi non la pensa come i criminali mentre gli antifascisti (che poi sono i fascisti di ieri) con improntitudine ripudiano il passato che vissero. Anche nel 1860 fu così.

Un ricco signore di Nardò morto ultranovantenne molti anni or sono raccontava che egli aveva già oltre 20 anni nel 1860 quando in Italia avvennero i nuovi eventi.

Recatosi in prefettura per avere il permesso di caccia; gli fecero sottoscrivere la dichiarazione di ossequio alla nuova monarchia mentre egli ed i suoi erano fedeli al Borbone. Egli firmò ed ottenne il permesso : e nell’andar via, con presenza di spirito disse all’impiegato: « ed ora che ho firmato siete sicuro della mia sincerità? ».

L’impiegato gli rispose : « figlio mio, anch’io la penso come te: debbo vivere! ».

Stolti coloro che credono a certe improvvise conversioni. Il vescovo Vetta, era di quelli che non subiscono le prepotenze derivanti dal successo del momento. Era un uomo di carattere anche se ciò dispiaceva ai nuovi venuti.

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Un commento a Episodi del 1860 a Nardò

  1. Sul giudizio che l’autore da ai fascisti ed agli antifascisti credo che ci sarebbe da obiettare parecchio

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