di Armando Polito
Il terzo concorrente vittima, si fa per dire, del fascino di Rodolfo Valentino è Ignazio Della Croce (al secolo Ignazio Danisi). -Per forza!- dirà impietosamente il lettore dopo aver visto il suo ritratto, che riproduco dal tomo XII della compilazione di Domenico Martuscelli Biografia degli uomini illustri del Regno di Napoli, Gervasi, Napoli, 1827.
La didascalia sintetizza tanto perfettamente la sua figura (teologo, oratore e poeta) che lascio parlare i frontespizi.
Definire intensa la sua attività di oratore sarebbe dir poco, tenendo conto della serie di sue orazioni pubblicate.
Il fratello minore Giovanni Giuseppe fu vescovo di Gallipoli dal 1792 al 1820. Se le date non parlassero chiaro, il solito malpensante direbbe che il vescovo non poteva lasciarsi sfuggire l’occasione di dare lustro alla sua chiesa invitandolo. Invece, mi piace credere che accanto alle ragioni per così dire professionali ci furono quelle sentimentali, insomma la nostalgia di quel Salento da cui pure lui, come tanti, era stato costretto (bisogna aggiungere: potendolo fare …) ad evadere per realizzarsi.1
E, dopo il teologo e l’oratore, veniamo al poeta. Ignazio fu membro dell’Accademia dell’Arcadia con il nome arcadico di Dasmone Andriaco e fondatore, in seno all’Arcadia, della colonia Aletina2.
Traduco il titolo: Il ritorno in Roma e la nostalgia di Napoli, ecloga di Dasmone Andriaco pastore arcade. Recitata nel bosco Parrasio sul Gianicolo il 10 agosto dell’anno di recuperata salvezza (d. C.) 1757.
Per il bosco Parrasio vedi https://www.fondazioneterradotranto.it/2015/10/23/gli-emblemata-di-gregorio-messere-1636-1708-di-torre-s-susanna-13/.
Anche qui traduco: Poemi di Dasmone Andriaco pastore arcade uno dei dodici uomini del collegio dell’Arcadia e vice custode della colonia Aletina. Ora di nuovo stampati con una nuova aggiunta dopo l’edizione veneta. Per Aletina vedi la nota n. 2.
Un fascicolo conservato nell’Archivio Muratori della Biblioteca Universitaria Estense a Modena contiene alcune lettere inviate dal Della Croce a Ludovico Antonio Muratori. Di seguito il terzo foglio della prima lettera (da Napoli, 18 settembre 1741) e nel dettaglio l’ingrandimento della sua firma.
Sarebbe facile abbandonarmi ora ad amare riflessioni sul concetto di merito, sapendo benissimo che anche nella conservazione della memoria concorrono elementi imponderabili, nel doppio senso di imprevedibili ma anche in quello originario di non pesabili, non valutabili, perché, soprattutto in confronto con altri, il loro peso, cioè la loro importanza nella storia dell’umanità è quasi irrisoria. Anche oggi vuoi mettere il peso delle gesta di un attore a confronto con quello di una battaglia condotta, non solo teoricamente, da un intellettuale ? Ma, mi domando in chiusura, forse dipende dal fatto che di attori ce ne sono tanti, di intellettuali veri, anzi di uomini degni di questo nome, forse, nessuno?
E così Castellaneta è ricordata come la patria di Rodolfo Valentino e non di almeno uno dei GiovinazzI o di Ignazio della Croce. Tutto sommato le è andata bene, perché Firenze, per esempio, rischia di essere ricordata non come la patria di Dante, ma di Matteo Renzi …
Per la prima parte: https://www.fondazioneterradotranto.it/2016/06/22/castellaneta-non-solo-rodolfo-valentino-12/?preview_id=89783&preview_nonce=3640e2f39e&_thumbnail_id=89789&preview=true
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1 Fu Giovanni Giuseppe a comporre l’epigrafe sulla tomba di Ignazio nella Chiesa degli Agostiniani Scalzi alias della Verità a Napoli:
EGNATI A CRUCE/DISCALCEATORUM DIVI AUGUSTINI/SACERDOTIS PIETATE DOCTRINA MODESTIA/ADMIRANDI INTER SUOS ORNATISSIMI/ELOQUENTIA VERO ET SACRARUM LITERARUM/SCIENTIA CUM PAUCIS AETATIS SUAE/COMPARANDI EAQUE GRATIA INTER/SUMMOS CONCIONATORES ET REGI/NEAPOLIT(ANI) LICEI PRIMARIOS PROFESSORES/RELATI EHEU CINERES HEIC IOANNES/IOSEPH A CRUCE EIUSDEM ORDINIS/SACERDOS GERMANUS FRATER MINOR/INCONSOLABILIS CONDI VOLUIT/ANNO AERAE CHRISTIANAE/MDCCLXXXIIII (Le ceneri, ahimè, di Ignazio Della Croce degli Scalzi di S. Agostino sacerdote ammirevole per religiosità,dottrina, modestia, tra quelli del suo tempo veramente più dotato dieloquenza e conoscenza degli argomenti sacri, paragonabile con pochi della sua età, anche per quella grazia tra i più grandi oratori e i primari professori del liceo napoletano, io Giovanni Giuseppe Della Croce, sacerdote dello stesso ordine, fratello germano minore,inconsolabile volli che fossero qui riposte nell’anno dell’era cristiana 1784). Anche Giuseppe fu socio della colonia Aletina con il nome arcadico di Dossofilo. Per una sua orazione pubblicata nel 1771 vedi la nota successiva.
2 Della produzione dei soci della colonia Aletina dell’Arcadia ci restano parecchie pubblicazioni (alcune successive alla morte di Ignazio avvenuta nel 1784). Ne riporto alcune interessanti anche nonin strettio rapporto con il tema di questo post. Tutti i frontespizi recano lo stemma della colonia. Nel cartiglio superiore si legge ARCADUM COLONIA ALETHINA (Colonia Aletina degli Arcadi), in quello inferiore il motto ET CANIT ET CANDIT ( (E canta e biancheggia; quasi un gioco di parole, con riferimento letterale al cigno e non al giglio (avete mai visto un giglio che canta?), come incredibilmente si legge nel Dizionario biografico Treccani nella scheda a firma di Serena Veneziani (http://www.treccani.it/enciclopedia/ignazio-della-croce_(Dizionario-Biografico)/), il che fa concorrenza ai monaci brasiliani dei quali ho avuto già occasione di parlare qualche anno fa (https://www.fondazioneterradotranto.it/2013/05/26/lettera-aperta-a-massimo-bray-titolare-del-mibac1/).
Visto il cigno con la zampogna, simbolo della poesia pastorale? Bene, rimane ora da chiarire Alètina (così dovrebbe essere letto correttamente), e sarà lo stesso frontespizio a farlo nel senso che la voce è una forma aggettivale, trascrizione (attraverso un latino *alètina) del greco ἀληθινή (leggi alethiné)=veritiera. Provate a sottintendere chiesa ed avrete chiesa veritiera, che corrisponde al S. Maria della Verità che si legge nella riga successiva e che, dunque, non è altro che la traduzione di Aletina. La colonia, perciò, prese il nome da quello della chiesa napoletana.
A p. 53 c’è un sonetto di argomento sacro di Giuseppe Parini milanese P. A. In un primo momento ho credouto che l’abbreviazione dovesse essere sciolta in Padre Agostiniano e non in Pastore Arcade perché nel suo caso, ma anche in quello di altri manca la precisa indicazione, che correda i rimanenti dell’appartenenza alla colonia Aletina, nonché il nome arcadico. Oltretutto il Parini entrò nell’Arcadia nel 1777 con il nome arcadico di Darisbo Elidonio. È interessante, mi sono detto, l’ospitalità qui offerta ad un “estraneo” e, poiché per motivi stilistici non credo che si tratti di un imitatore per quanto abile, il fatto che questo ha consentito la conservazione di una poesia giovanile sconosciuta, almeno a me. Poi, scorrendo le pagine del testo, ho notato che l’abbreviazione P. A. ricorreva pure per altri autori per i quali era stato già specificato che si trattava di Agostiniani. Così è tornato in campo il primo scioglimento che retrodaterebbe
l’appartenenza del Parini all’Arcadia di almeno vent’anni. E che P. A. vada sciolto in Pastore Arcade lo conferma la stessa abbreviazione che compare nel terzo e quarto frontespizio di Ignazio.
Le pagine 12-27 contengono un’orazione di Giovanni Giuseppe Della Croce.
Per la prima parte: