di Armando Polito
Siamo all’animale che per antica tradizione deteneva come pochi altri di specie diversa il primato di simbolo dell’ignoranza, prima di essere soppiantato dalle credenziali televisive della sgarbiana capra. In più al concetto di ignoranza si è aggiunto, pur sfumato, quello di stupidità ed il processo è avvenuto per sommaria via induttiva che non ha un fondamento oggettivo dal momento che chi è stupido è certamente pure ignorante, ma non tutti gli ignoranti sono stupidi. Per quanto riguarda la stupidità, poi, asino è in buona compagnia, a parte i sinonimi ciuco e somaro, con rappresentanti del mondo vegetale (rapa e il connesso broccolo e, per il toscano, baccello) e di altri di quello animale (cernia, allocco, bue, pecorone e, per il toscano, chiurlo e tinca).
La carriera metaforica dell’asino parte da molto lontano e ciò che sto per riportare probabilmente non rappresenta il primo rilascio di una poco invidiabile patente da rinnovare, a differenza di quelle umane, senza perdita di tempo e, soprattutto, senza raccomandazioni e senza spese …
Quelli della mia generazione probabilmente ricorderanno la mitica figura del re Mida, soprattutto per il dono avuto da Dioniso, con lui riconoscente per aver ospitato e poi riaccompagnato il satiro Sileno che ubriaco si era smarrito, di trasformare in oro tutto ciò che toccava. Accortosi che così sarebbe morto di fame pregò Dioniso di privarlo di tale potere . Il dio venne incontro al suo desiderio ma poco dopo il re incorse in un altro inconvenient che del mito è, forse, la parte meno nota. In qualità di giudice in una gara musicale tra Apollo e Marsia aveva dichirato vincitore quest’ultimo suscitando le ire di Apollo che lo punì trasformando le sue orecchie in quelle di asino. Solo il barbiere, per motivi facilmente intuibili, ne venne a conoscenza e il re gli intimò di conservare il segreto, pena la morte. Il povero barbiere non resistette alla tentazione di liberarsi di quel segreto e lo fece confidandolo ad una buca nei pressi di uno stagno. Ma Apollo fece nascere in prossimità delle canne che sussurrarono al vento il vergognoso segreto del re che, così,venne pubblicamente svergognato. Non so dire con certezza se la favola di Mida abbia ispirato il Collodi in occasione della trasformazione in asinine delle orecchie del suo Pinocchio e se, a sua volta, Pinocchio così conciato abbia a che fare o meno con il provvedimento disciplinare adottato in passato nelle scuole nei confronti degli allievi difficili (non ne esistono, esistono solo insegnanti non in grado di affrontare la presunta difficoltà … sono stato insegnate pure io e, quindi, lo dico con cognizione di causa, anche se chissà quante volte avrò sbagliato nell’affrontare una reazione imprevista!) e consistente nel far loro indossare un cappello provvisto di due belle orecchie asinine. Posso però, affermare,certo di non poter essere smentito o tacciato di lassismo o, peggio ancora, di esaltazione retorica, quanto miserabile degrado contiene il passaggio successivo, quello che, con un inquietante aumento nella frequenza, si identifica nei sistemi correttivi di cui ogni tanto le cronache si occupano. Ma lasciamo perdere gli idioti umani e torniamo all’asino.
Meno male che alla povera bestia una parziale rivincita era stata assicurata dalla sua promozione a simbolo della lussuria in quanto possessore di un organo genitale di dimensioni ragguarevoli, come quello di Priapo, il dio della fertilità, di cui era l’animale, come, per esempio, la civetta lo era di Atena.
Ci llai la capu allu ciucciu nci pierdi la lissìa e llu sapone (Se lavi la testa all’asino ci perdi la liscivia e il sapone).
La presunzione umana che ha fatto assurgere l’asino a simbolo della stupidità trasforma in tempo e risorse sprecate il lavare la testa, anche nel caso in cui il nesso assuma il significato metaforico di rimproverare.
Ttacca lu ciucciu a ddo’ ole lu patrunu (Lega l’asino dove vuole il padrone).
Per il motivo principale addotto nel commento precedente, se non fosse per il senso di pietà nei confronti dell’asino, direi che andrebbe sempre rispettata la volontà del padrone quando quest’ultimo dice di legare l’asino con una corda molto lunga sul ciglio di un burrone …
Li ciucci si àttinu e lli bbarili si scàscianu (Gli asini fanno a botte e i barili si rompono).
Il significato letterale è reso obsoleto dall’avvento dei nuovi mezzi di trasporto ma quello metaforico potrebbe essere applicato, per esempio, al rapporto conflittuale tra i componenti di una squadra sportiva in cui la mancanza di collaborazione rappresenta l’anticamera della sconfitta certa o quasi.
Lu ciucciu porta la pagghia e lu ciucciu si la spàgghia (L’asino porta la paglia e l’asino se la mangia)
Classico riferimento al caso di un invitato a pranzo che, per esempio, porta una bottiglia di vino e se ne scola due terzi …
Ci lu ciucciu no mbole cu bbeve, ti ndi bbienchi cu ffischi! (Se il ciuco non vuole bere, puoi fischiare a saziètà [è inutile chiamarlo con un fischio].
Il rapporto conflittuale tra l’asino e l’acqua trova la sua menzione in tempi molto antichi: Plinio (I secolo d. C.) nella Naturalis historia, VIII, 73, così scrive a proposito delle asine (ma credo valga pure per i maschi): Partus caritas summa, sed aquarum taedium maius: per ignes ad fetus tendunt, eaedem, si rivus minimus intersit, horrent etiam pedes omnino tinguere. Nec nisi adsuetos potant fontes quae sunt in pecuariis, atque ita ut sicco tramite ad potum eant. Nec pontes transeunt per raritatem eorum tralucentibus fluviis, mirumque dictu, sitiunt et si mutentur aquae; ut bibant cogendae exorandaeve sunt. (Hanno grandissima cura dei figli, ma è più grande la loro paura dell’acqua: vanno verso i figli attraverso le fiamme ma se in mezzo c’è un corso d’acqua per quanto piccolo hanno paura pure a bagnarsi le zampe. Non bevono a nessun’altra fonte che non sia quella abituale nell’allevamento, in modo da andare a bere attraverso un percorso asciutto. Non attraversano i ponti a causa delle acque luccicanti attraverso le loro fessure. Strano a dirsi, hanno sete, ma, se le acque non sono quelle abituali, affinché bevano devono essere costrette ed esortate)
Lu oe chiama lu ciucciu curnutu (Il bue chiama cornuto l’asino)
Appartiene alla lunga serie di quei proverbi che possono collegarsi alla metafora evangelica della pagliuzza nell’occhio altrui e della trave nel proprio.
Chiudo con due proverbi il cui significato metaforico, purtroppo, non diventerà mai obsoleto. Basta che il lettore che ha avuto la pazienza di seguirni fin qui pensi all’imminente tornata elettorale …
Spetta, ciucciu mia, ca mo rria la pagghia noa (Aspetta, asino mio, che ora arriva la paglia nuova).
Lu ciucciu ti nanti vae cacandu e tu ti tretu lu vai lliccandu (L’asino davanti va cacando e tu gli vai dietro leccandolo).
(CONTINUA)
Per la prima parte (la gatta): https://www.fondazioneterradotranto.it/2016/05/12/gli-animali-nei-proverbi-salentini-1x-la-gatta/
Per la seconda parte (la giumenta e la capra): https://www.fondazioneterradotranto.it/2016/05/16/gli-animali-nei-proverbi-salentini-2x-la-giumenta-la-capra/
Per la terza parte (la pecora): https://www.fondazioneterradotranto.it/2016/05/18/gli-animali-nei-proverbi-salentini-3x-la-pecora/
Trovo pure, sul volume DITTERI ‘NTICHI, di Paolo Carlino, curato da Federico Carlino, Ed. Lupo, Copertino, 2007:
1)- Abba ‘tieni lu ciucciu alla scisa
2)- A masciu pare ci la ciuccia è prena
3)- A sta ‘nchianata te ogghiu, ciucciu miu
4)- Centu nienti ccisera nu ciucciu
5)- Lu ciucciu ci mandai nu ibbe ricchie
6) Ciucciu curtu pare puddhiddhu
7)- Ciucciu e mulu careca ‘nculu, sciumenta e caddhru careca de spaddha
8)- LU ciucciu ‘ngrandisce e la arda ‘mpiccinnisce
9)- Nu picca a pedunu a ‘ncaddhu a lu ciucciu
10)- Quanti ciucci nutrica la farina, e quanti savi se morenu de fame
La ringrazio, anche per la segnalazione del testo citato, che non conoscevo. Nonostante il tempo sia tiranno e quell’inquietante /x del titolo, non è detto che, una volta raggiunto un numero adeguato di proverbi in rapporto all’animale volta per volta proposto, non fornisca di tutte le integrazioni arrivate la traduzione e, il lupo perde il pelo ma non il vizio …, il mio commento, note etimologiche comprese, a beneficio, forse, non solo dei lettori salentini.
Quando mi viene bene ti faccio i raffronti con la nostra lingua piemontese. Queso mi viene bene.
Per quanto riguarda “gli ignoranti”, naturalmente oltre all’asino si dice “ignorant come na cossa”(ignorante come una zucca) “coma un sëbber” (come un mastello) “coma un massuch o un pataloch” (come un babbeo)(c’e anche una canzoncina piemontese intitolata a “Fra Pataloch” Frate Babbeo.
Per quanto riguarda l’asino, naturalmente ce ne sono a iosa. Metto quelle più sapide. “Avèj la blëssa dl’aso” (si dice delle giovani fanciulle, bellezza che poi sfiorisce) “Avej ël deuit ch’a l’ha l’aso a plé ij bëscheuit” (Letteralmente. Avere il garbo che ha l’asino nel pelare le castagne cotte al forno), “Esse l’aso dël vantaj” (Lett:Essere l’asino del ventaglio. Cioè ” Essere lo zimbello”) “Fërtesse coma ch’a fan j’aso fra ‘d lor” (Lett. Strofinarsi come fanno gli asini fra di loro. “Farsi i complimenti a vicenda”) “Bërle d’aso a vòlo nen an cel” (Lett. Sterco d’asino non vola in cielo “Le preghiere degli sciocchi non vengono ascoltate”) “J’aso ‘d Cavor, gnun a-j lauda, as laudo da lor” (Il detto nasce per gli abitanti della cittadina piemomtese Cavour, ma poi si estende in generale a tutti coloro che fanno gli sbruffoni) C’era anche un gioco che si faceva con i bambini piccoli che si chiamava “L’aso a vòla” e che consisteva nell’alternare nomi di animali che volano conaltri che non volano e i bambini erano chiamati ad alzare la loro mano quando si trattava di volatili e ad astenersi quando non erano volatili con grandi risate dei bambini stessi. Gioochi semplici, ma istruttivi.
Questa volta noto che non c’è niente in comune, a parte il concetto, tutto umano, di asinità, fra il neretino e il piemontese. Tuttavia la tua integrazione è altrettanto preziosa, perché la coincidenza di parole e immagini, laddove c’è, ci mostra il comune, fraterno atterraggio su uno stesso campo; laddove, come in questo caso, non c’è, la diversità di parole e immagini costituisce un arricchimento culturale, in cui la diversità è un’occasione per approfondire la conoscenza di chi, comunque, ci è fratello e, nel rispetto dell’originalità di ciascuno, uno stimolo a meditare su una visione più universale del concetto stesso di fratellanza. Ti ringrazio anche per questo del graditissimo commento.
Un altro proverbio che mi viene in mente: “Lu ciucciu ti ‘Alente porta la cota e no si la sente”. Chi possa essere stato quel ‘Alente non riesco neppure ad immaginarlo, ma ammiro l’efficacia del proverbio per sintetizzare l’incapacità nell’essere consapevoli della propria natura o difetti
ma è bellissimo anche questo: ciucciu curtu puddhiddhu sempre. A chi legge l’interpretazione. Spero di trovarne ancora
Eccone ancora altri due:
– lu ciucciu mia valente porta la sarma e no ssi la sente.
– Lu mulu pi caricare, lu caddhu pi passeggiare e lu ciucciu pi jastimare.
Al buon Armando l’ingrato compito di tradurre e commentare.
Da qualche veterinario o da chi ne sa invece vorrei chiarimenti su quest’altro, altrettanto bello ed efficace:
nè ciucciu ti masciu nè fèmmina ti panieri.
ed ecco caro armando altri proverbi su lu ciucciu:
Nu pilu de ciucciu, nu manca a cciuvedhi. ( Un pelo d’asino non manca a nessuno.)
Quannu lu ciucciu nu caccia la cuta a lli sei misi, nu la caccia cchiù. ( Quando all’asino non spunta la coda ai sei mesi, non la caccia più.)
Predica allu ciucciu, e avviti ca te pirata. ( Predica all’asino e vedrai che ti scorreggia.)
Mintili la coppula e lu ciucciu si sente colonnello. ( Mettigli il berretto e l’asino si sentirà colonnello.)
Ciuccia ca pote, cce mportane l’anni? ( asina che ha vigore, che importano gli anni?)
Nel ringraziare tutti gli autori delle integrazioni (di queste succedutesi in poco tempo e, anticipatamente, di quelle che, eventualmente, verranno), debbo aggiungere che in un primo momento non mi è sembrato fuori luogo proporre da subito il prossimo post della serie vuoto e recante solo il titolo con il nome dell’animale e il numero iniziale, ma destinato ad essere riempito dai contributi a commento. Tutto questo per non rimediare la magra (anche per il numero esiguo di proverbi da me citati) figura di oggi.
Poi ci ho ripensato, perché qualcuno potrebbe interpretare questa mia decisione come un tentativo di spacciare la rinuncia ad essere protagonista come alibi per la mia vigliaccheria. E pensare, parafrasando Bennato, che sono solo proverbiucci …