di Gianluca Fedele
Chi conosce già le opere liberty di Tommaso Chiffi faticherà a riconoscere lo stesso tratto attraverso l’opera “La caduta degli dei” (2015), lavoro cardine del contemporaneo momento creativo dell’artista, quello che, come vedremo, possiamo definire a giusta ragione decadentista.
Il pittore, che attraverso il percorso di studi di decorazione presso l’Accademia delle Belle Arti ha acquisito tecnica e fedeltà pittorica, pare ora discostarsi, seppur temporaneamente, dalla propria indole positivista e quindi anche dalla produzione precedente che comprendeva persino paesaggi metafisici, per dedicarsi a questo inedito filone stilistico.
Il lavoro che stiamo osservando ritrae due figure nelle quali possiamo riconoscere i personaggi biblici Adamo ed Eva inabissarsi nei meandri dei loro fragili limiti, costituiti dalla incapacità di dominarsi prima che dominare su tutte le altre forme di vita che convivono con essi nell’Eden.
Il pannello di supporto, che misura complessivamente 130 cm nella parte alta e 115 cm in larghezza, è in legno mesticato (mestica polimaterica) in rilievo. Lungo questo perimetro informale le tinte predominanti sono il rosso porpora e l’oro, scientemente adoperate al fine di simboleggiare uno sfarzo esagerato e palesemente inadeguato. L’autore infatti, ponendo il busto maschile con le spalle rivolte verso il basso, è conscio di raffigurare la figura dell’uomo – e della donna –, creati a immagine e somiglianza divina, in caduta precipitosa a causa del proprio egoismo e dell’insoddisfazione costante che pare caratterizzare l’epoca attuale e i suoi protagonisti.
Il pannello monolitico centrale, in vetro da 10 mm, è realizzato attraverso l’ausilio dell’aerografo e una particolare tecnica di vetrofusione. Il bordo interno è stato frastagliato e smerigliato in maniera irregolare; anche attraverso questa scelta si vuol evidenziare che nulla è lasciato al caso poiché Chiffi individua in esso un senso di fragilità continuo e circostante, una sorta di disagio interiore causato dalla coscienza della propria disarmante impotenza.