di Armando Polito
A chi volesse saperne di più sulla doppia apposizione che nel titolo accompagna il nome proprio e soddisfare la sua legittima quanto sana curiosità segnalo:
https://www.fondazioneterradotranto.it/2016/03/12/gli-orologi-del-vescovo-e-la-donna-del-mistero/
Ad integrazione aggiungo questa sua immagine (tratta da http://dp.la/item/9a0b75032e5f05f8fc354875a6902f26) perché la didascalia sintetizza eloquentemente l’importanza del personaggio ed in un climax ascendente riporta le cariche da lui ricoperte (nulla, in confronto a quelle collezionate da parecchi politici dei nostri giorni …) ed assumono un significato sarcastico (certamente involontario agli occhi dell’incisore, ma per me molto significativo) le lettere maiuscole che fanno risaltare proprio il titolo più insignificante ai fini del risultato (né poteva essere altrimenti, a meno che il titolare non avesse il dono dell’ubiquità …).
Essa recita:
FABIUS CHISIUS/EPISCOPUS NERITONENSIS SEDIS/Apost(olicae) ad tract(um) Rheni et infer(iorioris) Germa(niae) part(em) Nunci(us) Ord(inarius)/una et ad tracta(ta) Pacis extraordina(rius) mediator
FABIO CHIGI VESCOVO DI NARDÒ Nunzio Ordinario della sede Apostolica alla riva del Reno (Colonia) e alla parte della Germania inferiore nonché straordinario mediatore ai trattati di pace
E passo ora al frontespizio dello Speculum imaginum occultae del gesuita tedesco Jacob Masen, uscito per i tipi di Kinch a Colonia nel 1650 e dedicato proprio al vescovo neretino (https://books.google.it/books?id=uNaj1k56G8QC&printsec=frontcover&dq=speculum+imaginum+veritatis&hl=it&sa=X&ved=0ahUKEwjP65v_8efLAhVIuRQKHdpAAMMQ6AEILDAC#v=onepage&q=speculum%20imaginum%20veritatis&f=false).
Il volume fa parte di quella produzione che sinteticamente definirei emblematica, che tanto successo ebbe fino alla fine del XVII secolo e della quale in questo blog mi sono occupato a più riprese1. L’immagine presente non ha nulla a che fare con il nostro vescovo, essendo la marca tipografica dell’editore. Sul frontespizio torneremo più avanti, ora è sull’antiporta che fisseremo la nostra attenzione.
Spero che i dettagli più significativi in vista esplosa ne chiariscano sufficientemente la struttura e la lettura.
È giunto (finalmente!) il momento di parlare dello stemma vescovile che campeggia al centro, prima che qualche lettore infastidito pensi che mi sia dimenticato del titolo che io stesso ho dato al post.
Di quello che docrebbe essere il motto ho già detto. Per il resto lo scudo è, naturalmente, quello della famiglia Chigi (inquartato nel I e nel IV d’azzurro alla rovere sradicata d’oro; nel II e nel III di rosso ai monti a sei colli d’oro sormontato da una stella a sei punte dello stesso.
Altrettanto naturalmente il Chigi conserverà lo stesso stemma di base anche quando diventerà papa con il nome di Alessandro VII. L’immagine che segue è tratta da Ferdinando Ughelli, Italia Sacra, Coleti, Venezia, 1717, tomo I, colonna 1058, nella parte dedicata alla serie dei vescovi di Nardò.
È difficile dire se l’Ughelli riportò del nostro lo stemma papale e non quello vescovile per non averne trovato nessun esemplare da riprodurre, oppure, e sembra più plausibile, per il fatto che il Chigi era stato, com’è tuttora, l’unico vescovo di Nardò diventato papa. Per completezza va detto, però, che non mancano esempi, come lo stemma, di seguito riprodotto, sul monumento opera del Bernini in Piazza della Minerva a Roma, in cui le stelle sono ad otto e non a sei punte.
Lo Speculum imaginum veritatis occultae ebbe parecchie edizioni, tra le quali la più interessante è senza dubbio quella del 1681 uscita sempre a Colonia, stampata dagli eredi dello stesso tipografio che aveva stampato l’edizione del 1650. L’antiporta si differenzia solo nella parte centrale, dove non compare il nome del Chigi che era morto nel 1667.
Pure il frontespizio presenta la la stessa composizione tipografica del 1650, a parte l’inevitabile cambiamento di qualche dettaglio.
Perché, allora, questa edizione sarebbe interessante? Perché essa contiene un componimento in latino che celebra la figura del Chigi con un occhio incollato allo stemma di famiglia. Segue la riproduzione del testo in questione, cui ho aggiunto, di mio, la trascrizione a fronte e in calce la traduzione e qualche nota.
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https://www.fondazioneterradotranto.it/2015/02/11/una-nota-su-alberico-longo-di-nardo/
https://www.fondazioneterradotranto.it/2016/03/14/guardando-unantica-immagine-di-gallipoli/
Non dimentichiamo che FABIO CHIGI apparteneva alla ricca e potente famiglia senese che con le loro floride banche sovvenzionavano case reali e potentati d’Europa e della nomina a Vescovo di Nardò non gliene importava nulla, tanto è vero che in questa diocesi non ci mise mai piede, La nomina a Vescovo gli serviva solo per intraprendere la carriera ecclesiastica che successivamente l’avrebbe portato a diventare finanche PONTEFICE MASSIMO, col nome di PAPA ALESSANDRO VII.
https://www.fondazioneterradotranto.it/2016/04/12/fabio-chigi-facebook-e-il-motore-di-ricerca-ovvero-quando-lironia-rende-piu-simpatiche-le-persone/
https://www.fondazioneterradotranto.it/2014/03/02/alessandro-vii-un-papa-gia-vescovo-fantasma-di-nardo-e-il-suo-vice/
https://www.fondazioneterradotranto.it/2013/05/14/non-ci-sono-alibi-2/
Caro signore! Ho letto il tuo articolo sull’emblema di papa Alessandro VII. Nel disegno in “Speculum” l’autore ha aggiunto due aquile all’emblema. Più tardi, Masen ha scritto diverse canzoni sulle aquile. Non ci sono aquile sullo stemma della famiglia Chigi. Da dove vengono questi uccelli da Masen, come pensi. Mi scuso per gli errori linguistici. scrive al Signore dalla Polonia. Jaroslaw Nowaszczuk
Interessantissima osservazione, della quale la ringrazio. Le canzoni del Masen sulle aquile non le conosco, però so che il capitolo LXXIII dello Speculum reca il titolo “Immagines volucrum” (Immagini di uccelli) e, in particolare, dell’aquila tratta alle p. 856-859. Tenuto conto di questo, del filone “emblematico” in cui il libro si colloca e della sua informazione sulle canzoni, si può ipotizzare che le aquile siano un’aggiunta allo stemma del Chigi per omaggiarlo più di quanto non avesse già fatto con la dedica.