di Armando Polito
Le immagini in bianco e nero che seguono riproducono altrettante stampe antiche custodite nella Biblioteca Nazionale di Francia, dal cui sito le ho estratte. Esse rappresentano l’incontro, continuato poi a tavola, tra Cristo risorto e due discepoli ad Emmaus, poco distante da Gerusalemme (Luca 24, 13-35). Da esso, secondo un’interpretazione, deriverebbe l’usanza della scampagnata (non per quelli per i quali la campagna coincide con le Seychelles …) che rappresenta il momento cruciale (mai aggettivo fu più indicato …) della Pasquetta.
1)
Jacques Callot (1592-1635), Les disciples d’ Emmaüs (I discepoli di Emmaus)
2)
Rembrandt (1634), Les disciples d’Emmaüs
3)
Rembrandt (1654), Les disciples d’Emmaüs
4)
Les disciples d’Emmaüs (1729), incisione di Claude De Fos (riproduzione di un dipinto di Paolo Veronese) che (l’incisione …) si trovava nella camera da letto del duca di Orleans). Segue l’originale del Veronese custodito nel Museo Boijmans Van Beuningen a Rotterdam.
5)
Les disciples d’Emaus, incisione del 1729 di Simon Thomassins (riproduzione, con inversione orizzontale, di un dipinto di Paolo Veronese), che (sempre l’incisione …) si trovava nella camera da letto del re. Segue l’originale del Veronese custodito nel Museo del Louvre a Parigi.
Il lettore avrà notato il rapporto direttamente proporzionale tra l’avanzamento cronologico e il progressivo passaggio della rappresentazione dalla semplicità dell’episodio biblico alla fastosità degna di una corte o quasi. Ai tre personaggi ed al cane della prima e della seconda stampa si aggiunge nella terza un quarto personaggio da interpretare probabilmente come l’oste. L’arricchimento dell’ambientazione e dei personaggi (già in atto nel Rembrandt del 1654 rispetto a quello di venti anni prima) prosegue nella quarta, dove anche il cane in braccio alla bimba non è quello piuttosto macilento e spelacchiato delle tavole precedenti. Questo crescendo celebra il suo trionfo nell’ultima tavola, nella quale, a parte i bambini diventati, come i cani, tre, una sorta di zoomata all’indietro rispetto alla precedente opera una ripresa, per usare il linguaggio fotografico, grandangolare, in cui la posizione centrale dei tre protagonisti dell’episodio biblico non riesce a prevalere sull’impressione di grandeur (per dirla alla francese, vista la collocazione originale dell’incisione) che emana la vista degli astanti, che hanno un atteggiamento non dissimile da quello di moderni spettatori che, per quanto rispettosi del loro idolo (da notare come l’aureola di Cristo, non a caso, si presenta progressivamente ridotta, in contraddizione con l’aumentato, dopo la resurrezione, status divino) non vedono l’ora di farsi una foto di gruppo con lui …
Come non pensare, allora, e magari fosse questa la tappa finale …, all’edonismo più o meno sfrenato, anche oltre le proprie possibilità e, sempre più spesso a danno degli altri (cioé, in ultima analisi, a danno della nostra credibilità di uomini prima ancora che di cristiani), che continua a caratterizzare ancora oggi tante ricorrenze che, anziché propiziare una riflessione cui far seguire l’azione, fosse solo di protesta, sono solo occasioni per celebrare la nostra vanità che è pari solo alla nostra fatuità.
Certamente sarebbe utopistico, anzi da sognatore scemo, augurarsi un ritorno all’ingenuità, alla sincerità ed all’accorata partecipazione che contraddistinguono ogni nostro sentimento nel momento della sua nascita, se è vero che il tempo cura le ferite nonostante, in alcuni casi,non riesca a guarirle. Paradossalmente dovremmo, forse, dimenticare il meno possibile (il che non significa piangersi addosso) il nostro passato e quello dell’umanità e dare un senso concreto al nostro presente (nonostante da duemila anni Cicerone e il suo historia magistra vitae vengano puntualmente smentiti) e preparare un futuro veramente migliore, che, intendo dire, non sia, in ciò che veramente vale, l’immagine sbiadita del nostro passato e quella squallida del nostro presente.
In tal senso auguro a tutti una Pasquetta felice, chiedendo scusa per quella che può sembrare una predica fatta, per giunta, da uno che non guarda certamente con simpatia a nessuna religione istituzionalizzata (lì sta l’inghippo …), che tenta di avere come punto di riferimento solo Cristo-uomo e che privilegia, per parecchi, forse, un po’ troppo, la ragione rispetto alla fede, quanto meno nel dubbio che inferno, purgatorio e paradiso siano proprio tra noi, quaggiù …