di Rocco Boccadamo
E’, invero, fatuo e irreale, credere o immaginare o sperare che sul proprio capo possano aleggiare, perennemente, cieli azzurri.
Purtroppo, per i corsi della natura, oltre al sereno, talora vengono a susseguirsi anche volte grigie, ammantate di nuvolaglia scura e cupa. E, però, non è il caso di lasciarsi deprimere, bisogna porsi in attesa e avere fiducia nel ritorno del bel tempo.
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A livello di cronaca e correlato comune sentire globale, giusto adesso, si stanno vivendo giornate buie, tristi e drammatiche, scandite da vicende che preoccupano pure a distanza.
L’auspicio più ragionevole, se non d’obbligo, è che si arrivi, finalmente, con la buona volontà e, soprattutto, attraverso propositi univoci e disinteressati, a spazzar via nella maniera migliore le schegge impazzite autrici di stragi e distruzioni, o, perlomeno, a isolarle e disarmarle.
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Nel recinto del complesso ospedaliero “Vito Fazzi” di Lecce, il più importante del Salento, è in corso d’avanzata edificazione una nuova grandiosa ala, ferve l’attività di un cantiere, vasto, per superficie e volumetria, quasi quanto la struttura edilizia già esistente e operativa. Ieri pomeriggio, recandomi al “Fazzi” per visitare un parente, nell’atto di parcheggiare l’auto nelle apposite aree di sosta esistenti nelle immediate adiacenze del complesso sanitario, ho notato un gruppo d’operai, tali mi sono subito sembrati, intenti a prendere posto all’interno d’un pulmino, verosimilmente per ritornare alle proprie abitazioni dopo la giornata lavorativa.
Uno di loro si tratteneva a fianco del mezzo, quasi ad attendere e aiutare gli altri a montare a bordo. Con lui, mi sono innanzitutto complimentato per la scelta del viaggio in comitiva, un’assoluta atipicità rispetto agli eserciti d’automobilisti che viaggiano sistematicamente da soli.
Poi, gli ho chiesto se fosse di Lecce o di qualche località, al che l’uomo mi ha fatto presente d’essere originario dell’Egitto, di aver raggiunto l’Italia e Lecce tre mesi fa, trovando subito lavoro, al pari dei nove suoi connazionali lì presenti, nel prima richiamato cantiere di ampliamento del “Vito Fazzi”.
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La Pasqua di Resurrezione 2016 è praticamente alle porte. Ogni volta, la ricorrenza in questione vivifica, dentro di me, una serie di legami inerenti ad antiche tradizioni, risalenti addirittura ai tempi della mia infanzia, cui non intendo rinunciare. Così che, anche quest’anno, ho puntualmente partecipato, nella parrocchia del mio quartiere, alla Messa della Cena del Signore, durante la quale il parroco pro tempore e l’anziano parroco emerito hanno lavato i piedi a tredici uomini e ragazzi immigrati.
Il celebrante anziano s’è diretto verso la panca su cui sedevano, insieme, i più giovani, i quali, però, con ingenuità o insipienza o semplice naturalezza, erano rimasti con le estremità inferiori calzate di tutto punto. S’ingenerava, quindi, un momento di contenuta ilarità, chiusosi con l’esortazione del religioso, agli apostoli del terzo millennio, a fargli svolgere il suo compito.
Nota coreografica, all’esterno della chiesa in parola, svettano alcune piante d’ulivo e di palma, entrambe, si sa, simboleggianti la pace.
Nella successiva serata di venerdì, preceduta da un crepuscolo di sogno, ho invece preso parte, nel centro storico di Lecce, alla processione di Gesù Cristo morto e della Madonna Addolorata. Un breve ma indicativo percorso, accompagnato da musiche di circostanza, intonate da un complesso bandistico dotato di strumenti a fiato.
Numerosi i fedeli presenti e ancora più nutrite le ali di folla al passaggio dei due simulacri religiosi.
Il rito s’è concluso nella Piazza del Duomo, sfoggiante i suoi preziosi monumenti artistici, fra cui il superbo campanile, proteso verso l’alto nel semibuio notturno.
La luna, dal faccione quasi pieno, sembrava stendere la mano per accarezzarne la cupola.