di Armando Polito
* Le immagini sono tutte antiche stampe tratte dal sito della Biblioteca Nazionale di Francia (http://gallica.bnf.fr/)
Se tutti i proverbi hanno in generale una valenza moraleggiante, non fa meraviglia che religiosa sia la cifra di moltissimi tra loro e che parecchi con poche varianti ricorrano in territori sovente molto lontani tra loro, in dialetti diversi, come, in forma consolidata, nella lingua nazionale. Basti pensare ad alcune espressione salentine ed alle corrispondenti italiane di uso comune ogni mmorte ti Papa (ogni morte di Papa) e Ddiu ete e pruete (Dio vede e provvede).
Qui, perciò, passerò in rassegna quelli, relativi ai protagonisti del titolo, di più pittoresca e spiccata territorialità e che consentono, a differenza del semplice modo di dire, qualche riflessione un po’ più profonda. Per comodità e per conferire al tutto una certa omogeneità espositiva ho collocato in testa ad ogni gruppo una parola chiave, anche quando più di un proverbio coinvolgeva settori diversi.
DIVINITÀ
Ddiu cu tti quarda ti tramuntana e ientu, ti omu e ffemmina ca parlanu lientu
(Che Dio ti guardi da tramontana e vento, da uomo e donna che parlano lentamente).
Condivisibile per la parte climatica, fino ad un certo punto per quella umana: non è detto che chi parla lentamente nasconda intenti truffaldini; basta, a tal proposito, pensare a tanti politici ed ai loro torrenti di parole … Mi sorprende, piuttosto, quell’omu nel generale contesto maschilista che emerge, come si vedrà più avanti, in queste espressioni di saggezza, più o meno presunta …, popolare e che nelle situazioni negative risparmia puntualmente il cosiddetto sesso forte.
Gesù Cristu, pruiti li pruituti, ca li spruituti sontu ‘bbituati
(Gesù Cristo, provvedi tu ai provveduti perché gli sprovveduti sono abituati)
Più che paradossale il proverbio mi sembra molto pericoloso e tristemente attuale sostituendo alla Provvidenza il sedicente (quando si candida per essere eletto, negli ultimi tempi nemmeno quello …) uomo della Provvidenza di turno che, connivente buona parte del Parlamento, minoranze incluse, nulla fa per ridurre il rischio di sperperi, intrallazzi ed eliminare privilegi indegni di una democrazia).
Lu Patreternu tae li friseddhe a ccinca no lli rrosica
(Il Padreterno dà le frise a chi non è in grado di rosicchiarle)
Il proverbio ha un duplice significato legato all’importanza della frisa nella nostra tradizione alimentare e nello stesso tempo al fatto che solo chi ha denti sani può mangiarla senza prima averla bagnata per ammorbidirla. Nel primo caso l’allusione è al fatto che spesso la sorte si mostra benevola con chi non è in grado di apprezzare il suo dono; nel secondo, esattamente di segno opposto, alla sorte malevola con chi non è in grado di affrontare la difficoltà).
Signore ti li signuri, quante cose sapisti fare: alli femmine la cunocchia e alli masculi lu margiale1
Signore dei signori, quante cose sapesti fare: alle donne la conocchia, ai maschi il manico della zappa).
Certamente è il detto più obsoleto, femministe permettendo, alle quali contesto solo di aver accettato due fatti, l’uno datato, l’altro più vicino nel tempo, il primo legge dello stato italiano, il secondo non ancora: le quote rosa (che mi ricorda tanto la riserva di posti per i portatori di handicap) e l’utero in affitto (almeno la donna-oggetto lo era integralmente …).
Lu Patreternu prima li face e ppoi li ccocchia
(Il Padreterno prima li crea, poi li accoppia)
Il detto, poco realistico già in tempi in cui i matrimoni erano per lo più combinati, è improntato, secondo me, ad un fatalismo di origine religiosa in cui il libero arbitrio, che nel matrimonio combinato non era certo prerogativa del diretto interessato, va direttamente a gambe all’aria, senza le tante sottigliezze teologico-filosofiche che nel tempo si sono susseguite e che, scusate la sincerità, a me sembrano atti di masturbazione mentale).
Li fumuli2 li ccocchia lu ientu, li cristiani li ccocchia Ddiu
(I rami di iperico li accoppia il vento, le persone le accoppia Dio).
La prima mugghiere ti la tae Ddiu, la seconda la ggente e la terza lu tiaulu
(La prima moglie te la dà Dio, la seconda la gente, la terza il diavolo)
A differenza del proverbio precedente in cui il concetto di coppia (a differenza di oggi esso era basato esclusivamente sull’eterosessualità) integra quello di donna, in questo, nonostante mugghiere, è grondante il maschilismo, non esistendo analogo proverbio per il mondo femminile. Da notare il climax nascosto nei numeri ordinali, cui corrispondono, nell’ordine, altrettanti valori del matrimonio in rapporto alla loro origine: divina, laica, diabolica. Non mi pare proprio un inno al matrimonio, ma piuttosto un avvertimento per evitare danni dopo le gioie della prima unione (se sono stati dolori bisogna comunque accettarli perché dati da Dio). Insomma, tradotto in latino (saltando il primo matrimonio …): Errare humanum est, perseverare diabolicum.
DIAVOLO
Acqua ti sciugnu pisciu ti tiaulu
(Pioggia di giugno, orina di diavolo)
Non così di aprile: Ale cchiù n’acqua ti bbrile/cca nnu carru cu totte li tire (Vale più una pioggia d’aprile che un carro con redini ed animale da tiro)
Quandu lu tiaulu ti ‘ncarizza ‘ndi ole l’anima
(Quando il diavolo ti accarezza ne vuole l’anima)
Bisogna diffidare dei complimenti perché potrebbero essere non disinteressati.
Lu tiaulu ggh’è ssuttile e si ‘mbatte puru intr’allu ‘mbile
(Il diavolo è sottile e s’infila anche nello ‘mbile3
)
La metafora è giocata sul doppio significato, fisico e morale, di sottile.
Lu tiaulu iuta li sua
(Il diavolo aiuta i suoi)
Direi piuttosto scontato, anche perché, al di là del riferimento religioso, è difficile immaginare un cattivo che non agisca a favore di uno come lui.
Lu tiaulu no ttene capre e bbende latte
(Il diavolo non ha capre e vende latte)
Se è per questo oggi pure semplici individui con cervello piuttosto scadente o non allenato millantano fantasmagoriche competenze; purtroppo incontrano sempre qualcuno che sta peggio di loro …
Lu tiaulu no ttene pecure e bbende lana
(Il diavolo non ha pecore e vende lana)
Vale quanto detto per il precedente.
DONNA
Camascia4 e cannaruta5 Ddiu l’aiuta
(Dio aiuta la donna Indolente e golosa)
Ancora un detto al femminile, ma maschilista e, stranamente rispetto alla morale cristiana, abbastanza dissacrante, in pieno contrasto col destino prefigurato da Dante per accidiosi e golosi.
La femmina ‘ndi sape cchiù ti lu tiaulu piccé ggh’è nnata prima
(La donna ne sa più del diavolo perché è nata prima)
Quando potrò visionare i certificati di nascita di Eva e del diavolo vi farò sapere; per il momento mi limito a dire che il proverbio, anch’esso, tanto per cambiare, maschilista, va ben oltre la visione cristiana della donna-tentatrice fonte diretta del peccato o strumento del demonio; qui lei è la maestra e il demonio lo scolaretto.
_________
1 Per l’etimo di margiale vedi https://www.fondazioneterradotranto.it/2013/03/20/dopo-il-saccufae-e-il-cazzamendule-e-la-volta-del-cacamargiale/.
2 Per il Rohlfs è un diminutivo di fumo perché quando queste erbe sono secche vengono portate via dal vento come il fumo (Vocabolario dei dialetti salentini, v. III, p. 970). L’idea del fumo e del vento, aggiungo io, si collega anche al fatto che in alcune zone del Salento fùmulu è il tarassaco, alias soffione (basta un soffio per disperdere la sua caratteristica infruttescenza). Per questo motivo e per assoluta congruenza fonetica mi appare più plausibile quest’ipotesi etimologica che Giuseppe Presicce (http://www.dialettosalentino.it/fmulu.html) contesta per parziale incompatibilità semantica proponendo, invece, che il termine vada messo in relazione con il latino “fomes” (di cui potrebbe rappresentare una forma diminutiva), il cui significato primo è “materia secca atta ad alimentare il fuoco, esca”.
3 Vedi https://www.fondazioneterradotranto.it/2010/09/15/quella-bizzarra-terracotta-dal-collo-stretto/
4 Forse forma aggettivale dal greco κάματος (leggi càmatos)=spossatezza.
5 Forma aggettivale da canna=gola.
Articolo molto divertente e interessante! I proverbi sono sempre fonte di grande sapere.
Segnalo solo un errore nella redazione delle note: il link alla 3 non porta da nessuna parte e credo proprio che il suo riferimento nel testo sia scorretto (anche perché nel testo le note arrivano a 4).
La ringrazio per la segnalazione. Ho già provveduto a correggere gli errori.
I fummuli non sono il tarasacco, bensi una pianta con steli molto fini e globosa che prima dell’avvento dei teli di polietilene per i semensai servivano da modesto riparo per il vento e per la brina. Seccando si staccavano da terra e rotolovano. “fiummulisciando”. Se ne trovano pochi, come rare sono le piante (fracilische) per fare gli spazzoloni della cenere nei forni. Mi piacerebbe sapere il nome volgare o scientifico. In effetti bruciavano bene e potevano essere un ottimo innesco per il fuoco.
In nota 2 ho scritto “in alcune zone del Salento fùmulu è il tarassaco”, mentre nella traduzione di “fùmuli” del proverbio riportato nel testo principale si legge “rami di iperico”, cioè l’Hypericum perforatum, con cui il Rohlfs nel suo vocabolario identifica l’essenza al relativo lemma. Quanto a quella utilizzata un tempo per spazzare i forni, in Vocabolario universale italiano, Tramater, Napoli, 1838 (https://books.google.it/books?id=ni_KHEn8BBYC&pg=PA480&dq=rami+pieghevoli+ed+avvicinati&hl=it&sa=X&ved=0ahUKEwi1m6DersrjAhXF2qQKHW2JCmAQ6AEINjAD#v=onepage&q=rami%20pieghevoli%20ed%20avvicinati&f=false) al lemma “spazzaforno” si legge: “Spezie di pianta del genere Passerina, la quale pe’ suoi ramipieghevoli ed avvicinati si adopera in diverse contrade per uso di spazzare il forno. Lat. passerina hirsuta”. Solo un punto di partenza, nient’altro.