di Felicita Cordella
La storia delle masserie è legata a quella travagliata dell’Italia Meridionale, storia di miseria, di sopraffazione, d’ignoranza.
Il nome masseria deriva da “massa” ( in latino blocco, unità), con cui si denominarono, tra il XIV e il XV sec, vasti complessi fondiari formati da consistenti aggregati rustici di proprietà di Signori o della Chiesa. Sono estensioni costituite da terreni a seminativo, cereali e leguminose, da terreni a pascolo, da vigneti e oliveti. Come tipologia edilizia, presentano uno o due edifici principali per abitazione del massaro, le case dei coloni fissi, quelle dei pastori, la chiesa; talvolta anche il mulino, il trappeto e il palmento.
Altri ambienti che caratterizzano la masseria sono: i magazzini per gli attrezzi,le stalle per i buoi, i recinti per le pecore, l’aia per la trebbiatura, il forno, la “merce” per la trasformazione del latte. Per l’approvigionamento e la distribuzione dell’acqua importante era il pozzo, oltre alle cisterne e alle pile per abbeverare gli animali.
Il giardino consisteva in uno spazio murato riservato alla frutticoltura, era in genere di dimensioni ridotte perché ad uso del massaro-amministratore. Gli spazi per l’allevamento di animali da cortile erano “lu palummaru” e “lu puddraru”.
La masseria fortificata, soprattutto nella fascia adriatica tra San Cataldo e Vernole-Melendugno, è legata alla forte presenza della grande proprietà ecclesiastica e inserita nell’organico progetto di difesa costiera voluto da Carlo V a metà del XVI sec. Tale piano di difesa si basava sulle fortezze di Lecce, Acaja, Strudà e Vanze e sulla “Via del Carro”, che congiungeva Brindisi a Otranto. La zona era caratterizzata da un paesaggio agrario che alternava campi di cereali ad ampie distese macchiose, boschi (Rauccio) , che divennero spesso nascondigli per incursori turchi , e terre paludose dedicate a pascolo ovino e bovino.
Cambiamenti notevoli giunsero tra il XVI e il XVII sec. con l’arrivo dei Borboni.
I Borboni espropriarono i feudi ecclesiastici passandoli alla borghesia rurale, che organizzò il latifondo in masserie. La figura dell’amministratore-massaro divenne prestigiosa.Egli faceva le veci del padrone, ne faceva rispettare le volontà e al padrone conferiva periodicamente le quantità patuttite di quanto nella masseria si produceva.
Nel XIX sec., con l’applicazione in Italia del Codice Napoleonico, furono assegnate ai contadini terre demaniali per uso semina, pascolo o legna. Ma si trattava di quote piccole, che non garantivano la sopravvivenza e i contadini si vedevano costretti a venderle.
Il latifondo borghese si consolidò , anzi spesso i signori proprietari scelsero le masserie come residenze, le masserie-palazzo.
Nel XX sec., dopo le guerre mondiali, col motto “la terra a chi la lavora”, si emanò la Riforma Agraria che espropriò e lottizzò i latifondi. Fu la decadenza delle masserie, molte delle quali furono abbandonate.
Andarono perdute tante realtà-testimonianze di uno spaccato di vita salentina prezioso, al fine della conoscenza del passato, della storia di questo nostro territorio.
Per me personalmente, è doloroso vedere ridotta a pochi ruderi una delle più gloriose masserie del territorio copertinese, la Masseria Mollone, uno dei Casali che diedero origine alla “Conventio populorum”, divenuta poi Copertino.
L’esperienza della vita in masseria ebbe un profondo significato dal punto di vista umano, delle relazioni. La masseria era un microcosmo, una piccola polis.
Questi centri di aggregazione di lavoratori e delle loro famiglie divennero luoghi d’incontri, di scambi di esperienze, di solidarietà, di amori, di condivisione di ritmi di vita rispettosi dell’uomo e della natura. Tali stili di vita hanno caratterizzato buona parte delle popolazioni del Salento fino a non molti decenni or sono. Di fronte a tanti ruderi di masserie diroccate, dovremmo chiederci quanta ricchezza di storia abbiamo consegnato all’incuria.
Dovremmo pensare a quante memorie, a quanta parte d’identità salentina abbiamo lasciato perdere.