di Gianluca Fedele
Dopo aver avuto il privilegio di chiacchierare con Ercole Pignatelli e Tonino Caputo, finalmente ho un appuntamento anche con Antonio Massari, artista inimitabile, che assieme a Ugo Tapparini ed Edoardo De Candia hanno fatto la storia dell’arte di oltre mezzo secolo nel capoluogo salentino. La sua tecnica informale ha rappresentato un’avanguardia stilistica che in pochi hanno realmente colto ma che tuttavia continua a suggestionare. Ancora una volta è Sandro Tramacere l’artefice dell’incontro il quale, con una telefonata, riesce a mettermi subito in contatto col il pittore. Massari mi invita a raggiungerlo già il giorno dopo nella sua abitazione a pochi passi da Porta Rudiae.
Quando citofono una signora mi risponde che il professore non c’è e Aldo Lisi, che arriverà poco dopo con Massari, mi dirà: “ti ha fatto aspettare poco, di solito non arriva prima di un’ora più tardi rispetto all’orario dell’appuntamento!”.
L’attesa non mi è grave perché la casa è un museo fatto di opere d’arte bellissime, mobili antichi e fotografie d’epoca. Sul tavolo una cartolina commemorativa dedicata a Tapparini recentemente scomparso; mi omaggerà più tardi donandomene una.
Finalmente Massari mi raggiunge fumando il suo immancabile Toscano. È un uomo riservato e di poche parole, anche per questo lo ringrazio del tempo che mi ha voluto concedere.
D.:
Ritengo opportuno incominciare questa intervista con un ricordo su tuo padre, dal quale hai certamente raccolto una poderosa eredità artistica e morale. Chi era per te Michele Massari?
R.:
Michele Massari era un grande artista che poteva realizzare tutto ciò che pensava e ogni nuova sfida era da lui intrapresa con grande rigore: ingegneria, meccanica, architettura, scultura. Naturalmente anche pittura ma in realtà non ha dipinto moltissimo. Ricordo che quando mostrai a Pietro Cascella il libro su mio padre egli esclamò: “Ma questo è un pittore Pittore!” ripetendo la definizione e rafforzando il concetto. A me non restò che annuire con immensa soddisfazione.
Durante la dittatura però le sue posizioni politiche gli costarono dei sacrifici legati al fatto che si era rifiutato di prendere la tessera del partito fascista e di conseguenza perdette il posto di insegnante presso l’Istituto d’Arte. Io ero bambino quando fu costretto a vendere la villa che aveva in località Mater Domini e subito dopo siamo andati in affitto al civico nove di via di Vaste dove abitava anche Edoardo De Candia.
D.:
Con De Candia eravate quindi amici di giochi?
R.:
Non solo con Edoardo che era appena un anno più piccolo di me, e col quale perciò siamo diventati automaticamente amici, ma anche con tutti gli altri.
Mio padre era amico di Vittorio Pagano, celebre poeta e zio di Ugo Tapparini, così io e Ugo abbiamo stretto amicizia già all’età di dieci anni. Quando ci incontravamo, spesso io portavo con me Edoardo e Ugo ci raggiungeva insieme a Tonino Caputo. È iniziato così il nostro sodalizio, poi con l’età ognuno ha intrapreso rotte differenti: Tonino si trasferì a Roma insieme a Carmelo Bene, io a Milano mentre insegnavo a Bergamo; Edoardo addirittura visse da nomade e arrivò sino a Londra dalla quale ritornò a piedi dopo aver pernottato, nel tragitto, presso le abitazioni di vari amici.
D.:
Quando eravate insieme, cosa sognavate di fare da grandi?
R.:
Avevamo già scoperto la propensione per l’arte che assecondavamo in maniera differente, chi con gli studi e chi, come Edoardo naturalmente dotato, in maniera autonoma. Ma la nostra ingenua ambizione allora era quella di realizzare i cartoni animati, dai quali eravamo tutti molto attratti. Ricordo che un bel giorno Ugo si prese persino la briga di scrivere al direttore di una rivista per ragazzi al fine di conoscere le tecniche e le difficoltà dei disegni d’animazione e cercare magari di essere assunto in una redazione. Come risposta ricevemmo una frase indimenticabile: “I cartoni sono l’ottava fatica di Ercole”. Fummo così tristemente dissuasi da quei propositi fanciulli e ci dedicammo ad altro.
D.:
Ci sono altre persone alle quali sei legato?
R.:
Ce ne sono molte in effetti ma sicuramente una in particolare è la mia adorata sorella Anna Maria, che era un’artista brillante, oserei dire la più dotata tra tutti noi cresciuti in via di Vaste. Ella primeggiava in tutte le declinazioni della creatività, sia che dipingesse oppure che scolpisse.
Inoltre conservo dentro anche tanti ricordi della straordinaria Rina Durante con la quale ho condiviso anni indimenticabili e tanta gente pensava addirittura che fossimo fidanzati.
D.:
Citavi poco fa Carmelo Bene tra i membri del vostro gruppo, dipingeva anche lui?
R.:
Si, anche Carmelo fu nostro compagno di gioventù e, com’è noto, già da ragazzino riscuoteva enorme successo. Quando si trasferì a Roma inizialmente recitava nelle cantine e ad ascoltarlo tra il pubblico spesso c’erano personaggi del calibro di Pasolini, Sandro Penna e il nostro Vittorio Bodini col quale strinse una forte amicizia.
Per tornare alla domanda ti dirò quanto so, e cioè che Carmelo era andato presso la rinomata galleria leccese “Belle Arti” di Caiulo dove aveva speso circa un milione di lire in pennelli, tele, colori e tutto l’occorrente per dipingere. C’è chi sostiene anche che con tutto quell’occorrente avesse prodotto diverse opere. Che cosa rappresentassero i suoi quadri e dove siano ora conservati purtroppo non mi è dato di saperlo ma mi piacerebbe scoprirlo per il solo scopo di allestire una mostra collettiva dei quattro più uno.
D.:
Chi guarda distrattamente le tue “Carte assorbenti” probabilmente crede che siano il prodotto di un astrattista ma in realtà c’è molto di più. Come è nata l’idea di realizzarle?
R.:
Io sono un pittore figurativo ma la mia epoca, invece, è stata caratterizzata dall’astrattismo; ragion per cui, come ho avuto modo di scrivere, o ero fuori dalla mia epoca o ero fuori da me stesso.
Ho iniziato a sperimentare le carte assorbenti perché ricordavo una immagine che mi affascinava quando ero piccolo, e cioè le iridescenze della benzina sulle pozzanghere; da lì la necessità di trovare un sistema per catturarle e riprodurle. Dal 1963 ho trascorso trentacinque anni d’avanti alla vasca da bagno piena d’acqua facendo scorrere sulla superficie le “zatterine” galleggianti su cui vi era il colore. Dapprima ho tentato attraverso l’impiego delle tinte a olio verificando che esse galleggiano solo per il quaranta percento, il restante sessanta affonda nell’acqua. Quel poco che resta è inerte. Così sono passato alla tempera che galleggia al cento percento ma comunque inutile al mio scopo poiché le immagini restano quasi totalmente inattive. Infine ho sperimentato gli inchiostri di china che hanno un grande dinamismo: sono nate in questo modo le Carte assorbenti, un filone del quale, in campo artistico, vanto la primogenitura assoluta. Le reazioni che ne scaturivano erano frutto della meccanica dei fluidi, la versione più affascinante degli inchiostri galleggianti. A me non restava che immortalarle per ribadire come anche gli elementi sappiano disegnare.
Purtroppo oggi sarebbe impossibile ripetere le stesse operazioni in quanto la composizione chimica degli inchiostri non è più la stessa.
D.:
Oltre che per il colore deduco che ci sia stata una fase di studio persino per quanto ha riguardato i supporti cartacei e ogni altro mezzo adoperato allo scopo, è così?
R.:
Certamente. Ho cominciato con le carte assorbenti per essere sicuro della presa ma quando queste venivano sollevate dall’acqua il più delle volte si laceravano. Sulla carta normale invece la resa era perfetta. In seguito mi sono spinto oltre utilizzando finanche la pellicola Domo Pack.
Durante quel lungo periodo ho prodotto circa cinquanta generi grafici differenti adoperando per esempio sfere di polistirolo espanso per provocare reazioni elettrostatiche nelle particelle di china e realizzare così Le carte elettriche; oppure mi sono servito di ciuffi di capelli per la serie I capelli di Milvia. Con l’ausilio di schermi in carta velina invece ho realizzato I Frattili, Le carte di Mozart, Le traslazioni, ecc..
E poi spago, nastro, borotalco e tante altre materie hanno interagito e reso uniche le mie opere.
D.:
Osservando alcune opere della serie Le carte di Mozart, dalla sbalorditiva precisione geometrica, mi sorge spontaneo riflettere su come oggi questo genere di rappresentazioni sia perlopiù frutto di elaborazioni informatizzate. Nell’era dei personal computer l’arte rischia di perdere il contatto con la manualità?
R.:
Per me, che insegnavo Storia dell’Arte, il contatto con la materia è sempre stato fondamentale. Non c’è evoluzione nell’arte senza un approfondito studio dei meccanismi che determinano le trasformazioni. Tutto deve partire da qui, intervenendo fisicamente e in prima persona nell’opera, diventando compartecipante più che autore. Credo perciò che sia inadeguato, specie per un artista, delegare i propri pensieri a una macchina che li simula.
D.:
È stato utile, per l’artista, emigrare a Milano?
R.:
Nel 1970 da Bergamo mi sono trasferito a Milano e ho fatto ritorno nella mia Lecce solo da pochi mesi, posso dire quindi di aver trascorso nel capoluogo lombardo gran parte della mia esistenza. Lì, ho avuto l’occasione di conoscere grandi personaggi internazionali come il critico d’arte francese Pierre Restany e il direttore della Rivista D’Ars, Oscar Signorini. Grazie alla loro esperienza e all’impareggiabile supporto ho esposto in tutto il mondo: Stati Uniti, California, Giappone, Cina, Emirati Arabi Uniti, Israele, Russia, Europa del Nord, Inghilterra, Europa Centrale e naturalmente in tutta Italia.
D.:
Le Gallerie e il mercato dell’arte come hanno accolto la novità delle Carte assorbenti?
R.:
Purtroppo devo ammettere che in pochissimi hanno realmente creduto in quel filone della mia produzione. Eccezione fatta per amici come Giorgio Randone e la famiglia di Anna Maria Castelli che hanno collezionato molte delle mie opere, o per Marcello Ferrari dell’omonima Galleria, per il resto non posso raccontare di particolari successi o di proficue collaborazioni con le pinacoteche. Spesso addirittura mi ha pervaso la sensazione che vi fosse una sorta di preconcetto in questo ambito nei miei confronti perché meridionale.
D.:
Scorrendo le pagine dell’importante monografia edita da D’Ars nel 2010 mi sono ritrovato di fronte a decine e decine di ritratti e autoritratti, così mi sono chiesto da dove fosse scaturita, d’un tratto, la necessità di quel genere di rappresentazione figurativa che talvolta è anche natura morta.
R.:
Molto semplicemente i ritratti nascono da un bisogno di immortalare la realtà, o anche i ricordi, come istantanee quasi. Infatti credo di aver tentato così di colmare in parte la lacuna dovuta al non essere stato mai troppo avvezzo all’arte della fotografia. Inoltre ci sono opere di quello stesso periodo che ritraggono grandi autori della letteratura, della poesia, della politica come Hemingway, James Joyce, Neruda, Salvador Allende e tanti altri che mi attraevano più per le loro biografie che per la produzione letteraria.
D.:
A proposito di letteratura, c’è un libro o meglio, il suo protagonista che in particolare ritorna spesso e in varie forme nelle tue raffigurazioni; mi sto riferendo naturalmente al Piccolo Principe di Antoine de Saint-Exupéry. Perché è così presente?
R.:
Il Piccolo Principe per me è quello che si definirebbe il libro del cuore. Ne ho amato ogni singola pagina, frasi, illustrazioni e copertina comprese. Il Piccolo Principe è certamente una favola per adulti e tutti dovrebbero leggerlo. L’ho fatto mio e l’ho portato alla conoscenza dei miei alunni anche se talvolta, a causa della loro giovane esuberanza, non nascondevano la noia nel doverlo studiare. Salvo poi contattarmi per ringraziarmi dopo anni come ad esempio una mia ex alunna, ora diventata dottoressa, che incontrandomi mi disse: «Professore, quando lei ci leggeva il Piccolo Principe… ma che rottura di palle! L’ho riletto adesso e… grazie Massari!» Tutto accompagnato da manate sulla schiena.
D.:
Ora che ti sei stabilito definitivamente a Lecce quali sono i programmi imminenti?
R.:
Francamente da quando sono rientrato ho badato poco alla mia produzione artistica però conto di riprendere presto a dipingere. Le idee non mancano. Attualmente sto organizzando una mostra a Nardò (LE) presso la Galleria Osanna dell’Avvocato Riccardo Leuzzi.
Buongiorno mi chiamo Giuliano del Sorbo. Ho frequentato lo Studio d’Ars di Milano e ho avuto la fortuna di conoscere e frequentare il Maestro Antonio Massari. Ero li ai tempi della meravigliosa Grazia Chiesa nostra amica in comune. Ad Antonio avevo organizzato nel lontano 1995 una mostra alla Abbazia di Chiaravalle a Milano, chissà se ha un ricordo sia della mostra che della nostra amicizia. Sono felice di sapere che è tornato alla sua Lecce.
Ad un artista meraviglioso poco capito da questa epoca cieca e buia mando un affettuoso abbraccio.
Grazie
Giuliano del Sorbo
Carissimo Giuliano, sono il nipote di Massari: lo zio la saluta con riconoscenza ed affetto e le manda un forte abbraccio.