di Nicola Morrone
Uno dei monumenti manduriani più carichi di fascino e di mistero è senza dubbio la chiesa di San Pietro in Bevagna, alla quale ormai da anni dedichiamo la nostra attenzione.
Se le varie fasi costruttive che interessano il santuario sono già state da tempo precisate, anche con l’ausilio dei documenti, resta una parte del complesso architettonico sulla cui datazione gli studiosi non sono ancora concordi. Si tratta della struttura più antica, cioè del cosiddetto “sacello”, dai manduriani identificato con il termine dialettale “nnicchju”, cioè “nicchia”.
Si tratta di una costruzione dalle dimensioni ridotte, orientata in senso liturgico (E-W) ,e che ha un notevole valore sacrale e devozionale, poiché vi sono allogati gli oggetti del culto petrino: il quadro, il fonte battesimale, la pietra d’altare.
Tra gli interrogativi che il sacello bevagnino pone c’è, come detto, quello di una sua corretta datazione, che risulta problematica anche data la vetustà della struttura. Un elemento che può agevolare gli studiosi è , tra le altre cose, la struttura del paramento murario, che riprende, anche se in maniera più rudimentale, la tecnica romana dell’ “opus Quadratum”.
I conci, squadrati e di varie dimensioni, non sono disposti a file regolari: tutta la nicchia absidale ha una tessitura irregolare, che ci fa ipotizzare l’intervento di maestranze “di tradizione”. Ulteriori interrogativi pone la natura del materiale utilizzato per la costruzione: ci pare si tratti di calcare sabbioso compatto (carparo), ben distinto dal tufo: per esplicita scelta dei committenti e dei costruttori, l’opera, destinata ad ospitare le reliquie del passaggio di San Pietro per la contrada, doveva durare nel tempo.
Tutto il paramento murario dell’abside e del vano corridoio antistante andrebbe comunque attentamente studiato, anche per chiarire se il materiale utilizzato per la costruzione sia stato cavato in loco. Di fatto, comunque, a proteggere l’absidiola, il vano ogivale antistante e la cappella del sec. X-XI, tutti ancora pienamente fruibili, è intervenuta la costruzione della torre di difesa anticorsara (sec.XVI), cui in seguito è stato addossato un avancorpo (sec.XX).
Per ciò che riguarda la committenza, gli studiosi (Jurlaro, Lepore) ipotizzano che l’iniziativa della costruzione dell’absidiola sia stata presa intorno al sec. IX dall’allora vescovo di Oria Teodosio, che volle sistemare in modo più dignitoso il luogo che ospitava le reliquie petrine. D’altro canto, pur essendo stato costruito in età bizantina, il nucleo primitivo del santuario ha sempre destato l’interesse della diocesi latina di Oria, come risulta dall’epigrafe collocata nella adiacente chiesa del sec. X-XI, che attribuisce la costruzione dell’edificio al vescovo di Oria Giovanni (996-1033).
Per ricavare ulteriori elementi di riflessione, proponiamo in questa sede di confrontare l’aspetto dell’abside di Bevagna con quello della chiesa superiore di San Pietro Mandurino.
La struttura absidale della chiesa superiore di San Pietro Mandurino (sec. XI-XII), anch’essa realizzata in “opus quadratum”, presenta un paramento murario più regolare rispetto all’absidiola di Bevagna: qui i conci sono disposti appunto su file regolari, quasi isodome (si contano 12 ricorsi) anche nelle campate. Questa differenza può essere attribuita a due fattori: la minore antichità della cappella di San Pietro Mandurino rispetto a quella di Bevagna , oppure la maggiore perizia dei costruttori.
Può anche darsi che la spiegazione possa attribuirsi ad entrambi i fattori, anche in considerazione del fatto che la cappella di Bevagna è verosimilmente più antica di due secoli rispetto a quella di San Pietro Mandurino, ed è probabile che, nel corso del tempo, il bagaglio tecnico dei costruttori possa essersi perfezionato.
Molti problemi , dunque, rimangono ancora aperti riguardo alla “nicchia” del santuario di San Pietro in Bevagna: per chiarire i punti oscuri occorreranno indagini archeologiche organiche, estese anche all’area immediatamente adiacente alla torre.