di Felicita Cordella
Mille storie salentine narrano di delfini, di sirene, di dei e semidei, di ninfe e satiri.
Una sirena a due code di nome Leucades o Leucasia insieme con due amiche sirene, Partenope e Ligia, cantava e suonava divinamente. Perseguitate e sconfitte da Ulisse, che non cede alle loro seduzioni, le tre sirene si inabissano alla volta di altri mari. Leucasia, nuotando, giunge al Capo di Leuca dove vede un pastore che suona il flauto e se ne innamora. Leucasia inizia il suo canto irresistibile, ma il pastore, Mèliso, ama Aristula. Quando Leucasia sorprende i due amanti, pazza di gelosia, scatena una tempesta. I due giovani, scagliati sulla scogliera, muoiono.
Ma la dea Athena, impietosita, li trasforma nelle due punte che chiudono la baia di Leuca: Meliso e Ristola.
Leucasia è, nel mito, la fondatrice di Leuca, proprio come Partenope lo è di Napoli. Quante leggende sull’origine delle nostre bellezze naturalistiche! Non è inconsueto incontrare lungo la costa pescatori che, mentre riparano le nasse, hanno voglia di raccontarci qualcuno di questi antichi “cunti”.
Citata perfino da Erodoto, la leggenda di un certo Arione al servizio del tiranno di Corinto, Periandro, che si guadagnava da vivere cantando. Imbarcatosi a Taranto su una nave di Corinzi, fu minacciato di essere gettato in mare dai marinai che volevano derubarlo. Egli espresse un ultimo desiderio, chiese di poter cantare accompagnandosi con la sua cetra, poi si sarebbe buttato in mare. Cantò in onore di Apollo e un delfino, incantato dalla sua voce, lo prese sul dorso e lo trasse in salvo. Molte le storie di delfini che comprendono il linguaggio degli uomini.
Pausania parla di un navigatore che, durante il nafragio della sua nave ,viene messo in salvo da un delfino , che lo porta sul dorso fino alla terraferma. E’ Taras, il mitico fondatore della città di Taranto. Nella mitologia spesso il dio Apollo prende le forme di un delfino e a Creta viene adorato come Apollo Delfinio.
Anche il dio Poseidone prende talvolta le fattezze di un delfino e Afrodite, la dea della bellezza nata dal mare, è spesso raffigurata in mezzo a delfini.
Le storie di delfini e di sirene ci riportano alla civiltà cretese, alla Grecia, all’Oriente. Nella civiltà minoica i delfini erano adorati come dei, perché trasportavano i morti nelle isole dei Beati, ai confini dell’universo. In ciò credettero anche gli Etruschi, mentre i Cristiani raffiguravano come un delfino l’anima che raggiunge la salvezza. E talvolta il delfino rappresenta Cristo.
Un cenno merita il mito di Ercole. In una delle sue mitiche fatiche, il semidio scaraventò dall’Olimpo i giganti Luterni e li uccise nella terra dei Messapi.
Dal loro corpo in dissoluzione nacquero le acque sulfuree di Ugento, Leuca e Santa Cesarea. Anche su olivo e olivastro abbiamo interessanti narrazioni mitologiche. L’olivo era per i Greci pianta sacra ad Athena, dea della sapienza.
Ma la bellicosa dea venne a contesa col dio Poseidone, che voleva la pianta sotto la sua protezione. Athena ne uscì vincitrice e da allora l’olivo, oltre ad essere simbolo di prosperità e pace, divenne simbolo della città di Atene e di tutta l’Attica. Dell’olivastro di Messapia, invece, abbiamo notizia da Ovidio, il quale nelle “ Metamorfosi “ narra il mito di un pastore malvagio che maltrattava uomini, animali e piante. Il dio Pan, che vagava nei campi, decise di punirlo trasformandolo in un albero che non dà frutto commestibile, ma amaro: l’olivastro.
Infiniti e affascinanti racconti, dunque ,descrivono e ornano con merletti di memorie le ricchezze di questa nostra terra. Magia di intrecci tra storie e credenze, accadimenti e atavici riti; meraviglia di un immaginario collettivo che si sbriciola in diamanti da mille sfaccettature, in caleidoscopio da sfumature infinite.
Da tempo è in atto un processo di rivendicazione di salentinità che coinvolge, loro malgrado, personaggi che col Salento non hanno avuto nulla a che fare e che, al massimo, con la nostra terra hanno vissuto un contatto occasionale e fugace, come Samanta Cristoforetti, il cui record femminile di permanenza nello spazio ha ispirato tanti titoli di giornalisti (?) locali. Ultimamente su Facebook ha imperversato la bufala di questo o quel ricercatore salentino (il nome era diverso da un giorno all’altro) che aveva collaborato al rilevamento delle onde gravitazionali. Il primo buontempone che ha avuto quest’idea è stato subissato da una caterva di”mi piace” e di “condividi” (non i miei) a riprova della credulità o, meglio, della latitanza imperversante, dappertutto, dello spirito critico, nonché della mancanza di originalità, tant’è che il giorno dopo (ma il danno era già stato fatto) altri ricercatori salentini si erano sostituiti al primo.
La cosa paradossale è che la nostra terra non ha certo bisogno, grazie al suo passato (del presente è meglio che io qui non dica la mia, anche se, in realtà l’ho già detta …), di aureole di nessun tipo, tanto meno di quelle inventate, anche a scopo di promozione biecamente turistica, non certo culturale.
Ora mi accorgo che in questo processo di mistificazione viene ripetutamente coinvolto anche il nostro passato. E se la riesumazione, anche semplicemente divulgativa, di leggende antiche dovrebbe tener conto degli studi che le hanno avute come oggetto, quelle nuove creano un’artificiosa superfetazione che può suggestionare il lettore comune, per lo più ingordo e superficiale, acritico, disposto ad accettare tutto per oro colato e, quel che è peggio, a propalarlo, spacciandolo come tale, magari in buona fede.
Emblematico è a tal proposito il caso della ninfa Leucasia con cui si apre il pezzo. E a riprova di quanto fino ad ora ho affermato, invito chi ne ha voglia a tentare di capire come stanno veramente le cose segnalando il link
https://www.fondazioneterradotranto.it/2014/06/16/leucasia-una-sirena-salentina-no-unaltra-bufala-e-lo-dimostro/
Non era mia intenzione autocitarmi, ma non voglio neppure passare per il vecchio (lo sono) rincoglionito (non credo …) che ripete sempre le stesse cose …