di Paolo Vincenti
Dedicato “ad Andrea Ascalone, uomo onesto e maestro di vita”, esce, per i tipi della Editrice Salentina “Ditteri e ‘ngiurie di Galatina”, di Rossano Marra e Francesco Papadia (2015) con le illustrazioni di Melanton.
Non si tratta certo di operazione originale, come gli stessi autori affermano nella loro Presentazione, poiché altri esempi vi sono stati in passato non solo con riferimento al Salento ma anche alla stessa città di Galatina.
Il libro però risulta godibile, fresco, e come non ha pretese di esclusività, non ne ha di esaustività né di organicità. Si presenta al lettore per quello che è: uno strumento di immediata consultazione, di facile divulgazione, un divertissement insomma, dove per l’appunto l’elemento ludico gioca una parte fondamentale. L’opera è comunque supportata da una Prefazione di tutto rispetto, perché firmata dal professor Rosario Coluccia.
Le vignette di Antonio Mele “Melanton” costituiscono il valore aggiunto. Forse può sembrare anacronistico oggi, nell’era di Internet e della comunicazione globale, pubblicare un libro del genere, che offre uno scavo nelle radici del nostro popolo salentino, e in effetti lo è, anacronistico, ma per questo forse a suo modo poetico, romantico, della bellezza del demodé, del vintage, di tutto ciò che è passato. Non si tratta, beninteso, di un reliquario, di una collezione di antichità, ma di una riproposizione in chiave identitaria di quel patrimonio antropologico che sono i soprannomi, i modi di dire, i proverbi, le favole e i cunti, di una comunità. Nella prima parte del libro, vengono proposti i proverbi o “saggezza dei popoli”, molti dei quali già noti o semplicemente volti in dialetto galatinese dall’italiano.
Questi ditteri sono attinti dalla viva voce della gente, come specificano gli autori che ringraziano anche alcuni collaboratori che li hanno aiutati nel lavoro di ricerca. La seconda parte, certamente più interessante, riguarda le ‘ngiurie, cioè i soprannomi o nomignoli galatinesi. E in questo lungo e colorato elenco, si trovano dei soprannomi davvero curiosi, ridicoli, altri esilaranti, insomma si ride di gusto quando si incontrano alcuni di questi epiteti.
Fra gli illustri precedenti del libro di Marra e Papadia, occorre citare certamente il Rohlfs che nel suo “Dizionario storico dei soprannomi salentini” catalogò molti di essi. Gli agnomi potevano prendere spunto dal nome del padre dell’ “ingiuriato”, e in questo caso si dicono patronimici, oppure dal nome della madre, matronimici. Oppure potevano essere legati a qualche episodio particolare, a qualche evento eccezionale nella vita di coloro che ne erano marchiati. Ancora, potevano scaturire da qualche difetto fisico o mania, abitudine reiterata. Oppure potevano derivare dai mestieri o dal luogo di provenienza, toponimici.
Spesso erano causa di ilarità, sarcasmo, a scapito di coloro a cui venivano affibbiati i soprannomi, i quali ne venivano sbeffeggiati. Quello che gli autori vogliono salvare con questa “operazione simpatia”, come potremmo definire il libro in parola, è il patrimonio non solo linguistico ma soprattutto socio antropologico della città galatinese, messo a rischio oggi dal crescente processo di omologazione culturale in corso, nel senso che la globalizzazione, con la sua forza parimenti centrifuga e centripeta, tende ad azzerare le specificità, le peculiarità dei luoghi, le loro tradizioni, per fondere tutto in un una sorta di meltin pot linguistico che è un coacervo, un ibrido senza storia, senza anima; perché ciò che è senza passato è anche senza futuro. Questi modi di dire, racconti, filastrocche, proverbi erano trasmessi oralmente dalla gente prima di venire codificati e raccolti in volume dagli studiosi. Nei secoli scorsi, quando l’alfabetizzazione era ancora scarsa, ci si tramandava a viva voce soprannomi e aneddoti, i cosiddetti “culacchi”, e possiamo ben renderci conto di come gli sforzi di memorizzazione fossero notevoli pure da parte di illetterati contadini.
Con l’avvento di Internet poi, molte di queste ricerche sono state informatizzate, e oggi gli archivi sono consultabili on line. Occorre però che ci sia un interesse da parte dei giovani, altrimenti questo materiale resta inerte e non più consultato, dimenticato. Lode al merito dunque di chi rimette mano a queste pinzillacchere, carabattole, magari con nostalgia del tempo che fu, e così facendo, desta curiosità, crea interesse intorno a qualcosa che si sarebbe irrimediabilmente perduto e cioè la memoria di una terra, di una città, un patrimonio di cultura e di identità. Come per dire “ecco, così eravamo”. Lo scenario dei soprannomi è ampio.
Come per tutti i nostri paesi e paesini, si tratta di una parte considerevole della storia locale che ha coinvolto nel vivo il popolo minuto, le classi più basse, meno agiate, ma di cui anche quelle più alte serbano memoria. Un libro da leggere insieme, genitori, figli e nonni.