La barchetta

barchetta

di Pier Paolo Tarsi

Erano due le ragioni per cui quello era divenuto il mio posto. La prima era la gravità. Uscendo da quella scuola che si affacciava su una strada in pendio si poteva procedere in salita o in discesa. In salita, verso destra, si andava verso un bar fighetto. Lì la musica di sottofondo era sempre quella del momento, i baristi e le bariste erano belli e giovani, sorridevano mentre servivano professionisti ben vestiti con le loro valigette 24ore. Tutto tintinnava e brillava là dentro, il corvino dei capelli di una ragazza alla cassa, i bicchieri, le tazze, le macchine per fare la cioccolata. Era tutto così pulito e armonico da vedere, persino le coreografiche decorazioni sulla schiuma di latte nelle tazzine erano impeccabili. Insomma, era tutto tremendamente insopportabile. Uscendo procedevo spedito a sinistra, spedito perché in discesa, non per altro. La mia ora buca, la mia ricreazione, le mie attese in vista di una riunione pomeridiana le trascorrevo con Battista, l’anziano barista dell’altro posto. La seconda ragione. Si stava soli nella sua bettola, e si chiacchierava o si stava in silenzio, a seconda della giornate. Ci si comprendeva al volo. La storia era semplice: quattro ripiani, un frigo, una macchina da cui quello, da secoli, mungeva come da una dea madre un caffè vero, nero, forte, una cosa che avrebbe steso almeno tre o quattro checche dell’altro bar in un solo sorso. Si poteva anche fumare là dentro, Battista le sue Muratti, io il mio mezzo toscano, tanto non sarebbe venuto nessuno a romperci i coglioni, a parte sua moglie di tanto in tanto. Eravamo a 30 metri dalla mia scuola e ancor meno dalla stazione, ma non sarebbe venuto nessuno, si poteva star tranquilli. Beh, oggi sono venuto io però, a trovarti Battista. Dopo tanti anni, costretto a passare dal tuo paese, mi sono poi spinto fin là per te. E tu mi muori così, senza nemmeno un ultimo caffè, senza una delle tue invettive su Berlusconi o un panegirico sulle fabbriche di scarpe che erano state la gloria del tuo paesino. E pensa, che ti ritrovo? Un bar fighetto, come quello là sopra, colorato e lindo, con una ventenne spalmata di fondotinta che sorride e serve birre alla moda a tutti. Per un attimo ho pensato fosse una tua nipote. Macché. Nuova gestione mi dice, e tu da un paio d’anni hai mollato tutto, pure la pelle. Va bene Battista, fatti questo viaggio se così deve essere. In discesa, mi raccomando, dove porta questa prima o poi ci si rivede. Arriverò su questa barchetta che ho fotografato per te, quando vorrà prendere il largo.

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