Il Salento delle leggende
Misteri, prodigi e fantasie nell’antica Terra d’Otranto
di Antonio Mele ‘Melanton’
Quando muoiono le leggende finiscono i sogni.
Quando finiscono i sogni, finisce ogni grandezza.
Un uomo con i piedi per terra e la testa fra le nuvole.
Questo, forse, potrebbe essere l’ideale dell’uomo moderno. Col suo impegno quotidiano, la fatica e la gioia di costruire, ma anche il librarsi verso il desiderio e l’immaginazione: un volo irresistibile oltre le case e il tempo,cogliendo l’esistente e il fantastico, il passato e il futuribile.
Una coperta di stelle. I giochi bambini. I volti amati. E di nuovo viaggiare. Percorrendo solchi di terra rossa. O passando dentro spighe alte di grano. Tra profumi di vendemmia e dolci di festa. Tra amori forse dimenticati o mai perduti. Amori solidi, eterni come ulivi. Favole con Orchi e Fate che sorridono e rilasciano dolci paure. Strade infinite che portano a giorni nuovi o a orizzonti irraggiungibili. Sortilegi. Poesie.
Tutta la vita del mondo, infine, si compone di realtà e incantamenti, di sogno e di mistero, di cronache possibili e improbabili, di storie che non sono storia, e pure destinate a durare oltre la storia.
Ma bisogna essere forti, per questo fatale cammino. Ma ci vuole anche amore: l’intenzione-invenzione sentimentale pura e assoluta, il nudo saper sentire, partecipare, condividere emozioni. Pensando, sognando, lasciandosi portare via…
Siamo noi.
Il mito esiste perché esistono gli uomini. Angeli caduti e risorti. Forse figli prediletti della natura. Specie complessa e indefinibile, alla quale ben si addice il concetto d’infinito, sapendo tenere sempreviva, nonostante le proprie ferine contraddizioni, la scintilla della bellezza della vita.
«È scurutu lu Carniàle / cu purpette e maccarruni, / mo’ me tocca l’acqua e sale / e nu crottu de pampasciùni».
Dal mercoledì delle Ceneri, subito dopo Carnevale, e fino alla domenica di Pasqua, per antica tradizione, iniziata nel II secolo d.C., corre il periodo di Quaresima: quaranta giorni (quadragesima) che in tempi non lontani, e molto più sentitamente rispetto ad oggi, erano caratterizzati da una serie di rituali – tra il religioso e il pagano – che si tramandavano rigorosamente di generazione in generazione.
L’astinenza alimentare, per esempio. Che non era soltanto dalle carni. Oltre ad esse, per tutto il periodo, non si doveva consumare neanche un uovo, né latte, né i suoi derivati. Altrimenti, se ccambarava(cioè si cadeva in peccato, mangiando di grasso).
Sicché, nel periodo quaresimale, pranzo e cena erano costituiti da patate, legumi,e verdure di ogni genere (mùgnuli, zzanguni, cicore creste, raccolte di solito direttamente nelle campagne), compresi gli immancabili e sempre gustosi pampasciuni in agrodolce. Abbondanza, si direbbe. Invece le varietà del menu quaresimale venivano consumate in pasti assai frugali. «Pocu, masapuritu», era il motto.
Ai pampasciuni si lega una curiosa leggenda, che narra di un naviglio carico di pellegrini, proveniente dalle coste a nord dell’Adriatico e diretto a Otranto, che per un improvviso fortunale ai primi giorni di marzo rovinò sul litorale solitario delle Cesine.
Feriti e affamati, i naufraghi supplicarono la Madonna Addolorata, per un intervento miracoloso, che non si fece attendere. Dilì a poco, infatti, sul posto giunse una capretta con una campanellina al collo che, facendosi seguire, accompagnò il gruppo dei malcapitati fino al villaggio di Acaya, nei pressi di Vernole, dove furono accolti erifocillati dai paesani con i gustosi lampascioni di cui quel territorio era, ed è, ricchissimo.
Tanto che ancora oggi, il primo venerdì di marzo, Acaya dedica ai suoi preziosi cipollotti una sagra molto importante, con fantasiosi e geniali cimenti gastronomici, che nel tempo hanno portato a raccogliere più di cento ricette sul modo di preparare questo prodotto tipicamente salentino. E la stessa Madonna Addolorata, per quel giorno, diventa la Madonna te li Pampasciuni. Onore al merito.
Pubblicato su Il Filo di Aracne