di Massimo Vaglio
Le mandorle ricce, dette anche confetti ricci, costituivano prima dell’universale diffusione delle chiacchiere, uno dei prodotti gastronomici tradizionalmente più legati al Carnevale. La predilezione per questi semplici dolciumi, un tempo accomunava diversi paesi della Puglia e larga parte del Salento.
Oggi non tutti li conoscono, specie tra le nuove generazioni, infatti, se sino a qualche decennio addietro, nel periodo carnevalesco, grandi vasi di vetro ricolmi di confetti colorati farciti di rosolio e soprattutto di mandorle ricce affollavano le vetrine delle drogherie e i banconi di tutti i bar di paese, attualmente, la loro presenza è limitata a pochi caffè pasticceria di più antica tradizione.
Un dolciume povero e soprattutto genuino, composto da mandorle, acqua zucchero e pochi aromi naturali, che in origine molte pasticcerie preparavano nel proprio laboratorio.
Da ormai qualche decennio la gran parte della produzione proviene da laboratori industriali che alla bisogna, con delle sorta di betoniere a gas, riescono a sfornare quintali di confetti l’ora, ma resiste stoicamente anche qualche artigiano tradizionalista che ancora applica fedelmente l’originaria tecnica manuale.
Uno degli ultimi custodi dell’ antica tecnica della loro preparazione è Cosimo Passiante, maestro copetaro, ossia produttore di croccante, che vive a Francavilla Fontana ove opera in un piccolo, antico laboratorio in piazza Dante Alighieri, proprio sotto la torre dell’orologio.
Il protocollo per la loro preparazione, qui come quasi un secolo fa, quando nel 1912 il Confetto Riccio dell’Amore di Francavilla, conquistò la medaglia d’oro alla Fiera dei Sapori di Parigi, non ha subito alcuna modifica, non ammette alcuna deroga e non lascia nessuno spazio all’innovazione tecnologica.
Le mandorle impiegate, sono rigorosamente quelle della varietà locale appellata Mandorla Decorizzo, che ha la caratteristica di essere tonda e di avere la “pellicina” ruvida, che offre quindi un appiglio ideale alla glassa.
L’attrezzatura invece, è costituita da una sorta d’enorme padella in rame non stagnato detta conca che, attraverso due occhielli, viene fissata con due corde ad un bilanciere appeso al soffitto del laboratorio. Le mandorle, vengono precedentemente tostate, quindi vengono messe ancora calde nella conca di rame appesa al soffitto.
Sotto la conca si pone un braciere con braci vive di carboni di leccio; questi mantengono elevato il calore delle mandorle e su queste viene versata un po’ per volta la glassa d’acqua calda e zucchero. Il tutto, mentre l’artigiano culla sapientemente la conca, imprimendogli, tutta una serie di movimenti ondulatori sempre uguali. L’operazione, lentissima, dura circa due ore e ciò provoca, se così si può dire, il rivestimento delle mandorle con la glassa che solidifica grazie all’elevato calore dei carboni. Queste inoltre, sfregando le une con le altre, divengono caratteristicamente bitorzolute, acquisiscono un abbagliante candore ed un’insospettata morbidezza, per finire, nelle ultime fasi di lavorazione vengono aggiunti aromi naturali di cedro o di limone.
I confetti, vengono posti ad asciugare a temperatura ambiente, in teli di cotone bianco e infine conservati in vasi di vetro a chiusura ermetica.
Sempre a Francavilla Fontana, città che ha conferito la DE.C.O. (denominazione comunale d’origine) a questo prodotto, i confetti ricci, nel periodo di Carnevale, vengono posti in vendita da bancarelle allocate soprattutto nel centro storico e sono oggetto di una simpatica tradizione che li vede protagonisti di affettuosi scambi, nei due giovedì che precedono il Martedì Grasso. Il primo giovedì, che è detto giovedì delle donne, le donne, nelle varie funzioni di mogli, fidanzate o amanti, donano i confetti ricci ai rispettivi patner, come pure le sorelle ai fratelli, le madri ai figli e le amiche agli amici. Il secondo giovedì, sono gli uomini a ricambiare quello che è stato un segno d’amore, d’affetto o di simpatia.
Il confetto riccio, da qualche anno è stato inserito nell’ Elenco Nazionale dei Prodotti Agroalimentari Tradizionali, come originario della Provincia di Brindisi, che a questo punto, possiamo considerare a buon diritto sua patria d’elezione.
Le mandorle ricce, insieme ai confetti colorati, inoltre, durante i veglioni e i festini carnevaleschi, venivano, un po’d’ovunque impiegati alla stregua dei coriandoli, venivano infatti lanciati in gran copia sui festanti e in particolare sulle coppie impegnate nel ballo e con questi, nei teatri, venivano sovente letteralmente bersagliate le povere ballerine di rivista che, con intrepida nonchalant, continuavano imperterrite le loro performance.
grande Max…e pensare che c’è ancora chi pensa siano una varietà vegetale !
Il Carnevale a Novoli qualche anno fà
20 Gennaio 2019Torino
di ErsilioTeifreto- Ricodi, pensieri e riflessioni
Della mia infanzia ricordo che mio Padre “mesciu Ucciu leccese- l’artiere” e la Mamma “la Rusina sciappò-tabacchina”, dopo il 17gennaio finita la festa della Fòcara di S.Antonio Abate,organizzavano durante
il carnevale una festa nella nostra abitazione. Il giradischi negli anni 50 era ormai alla portata di tutti.
Il Festino organizzato= “Festum” era il luogo dove si poteva ballare sino a tarda notte, purchè non
arrecasse fastidio al vicinato. Poteva essere adibita a festino la camera più grande della casa per un numero limitato di invitati.
Ogni festino aveva un nome il nostro si chiamava “Shiappò”era organizzato dal padrone di casa o da una persona di sua fiducia.
L’ingresso era presieduto dal ”portinaio” (lu purtinaru) persona di fiducia
dell’organizzazione, responsabile dell’ingresso degli invitati e delle compagnie mascherate. L’ordine e la disciplina erano tenute in sala dal “caposala”, Sig.Cesarino Godi amico fi famiglia di Novolese
il quale animava e coordinava tutta la serata.
Lui decideva i balli e chi doveva ballare, nonchè il momento dell’ingresso
e dell’uscita delle compagnie mascherate oltre al momento in cui fare espletare i giochi.
La Mascherata era costituita da una o più persone ,tutte coperte in viso (veli, mascherine, maschere,ecc.). Garantiva per le maschere il “conduttore”,
persona maggiorenne,uomo o donna, ma comunque conosciuta in loco.
Questi era responsabile delle maschere e della mascherata sia per strada che nel festino. Il conduttore unitamente alle maschere ,si portava all’ingresso dei festini e, dopo essersi fatto riconoscere presentandosi chiedeva ospitalità per la compagnia da lui guidata: Chiedeva ”Cè permèssu pe le maschere?”.
Il capo sala tramite il portinaio consentiva o meno l’ingresso alla compagnia.
Al conduttore veniva chiesto dal caposala quali balli preferisse. Nel festino entrava una compagnia per volta , alla quale era riservato un posto fisso e tutte le attenzioni di ospitalità, accogliendola con applausi. A musica
iniziata il caposala invitava maschere e conduttore al ballo:
“Maschere e conduttore possono invitare”.Le maschere solo dopo essere state autorizzate potevano invitare al ballo i cavalieri del festino e solo questi; il conduttore ,dopo le maschere,invitava al ballo una dama se uomo,un cavaliere se donna. I componenti del festino non potevano rifiutare il ballo né alla maschera né al conduttore .Il capo sala a propria discrezione decideva quanti balli
concedere alla compagnia;comunque al momento di congedarla, ringraziava la stessa con la fatidica frase:”Ringraziamo maschere e conduttore”.
Seguivano applausi a ritmo e suon di musica. Alle ore 24 dell’ultimo giorno (martedì) il capo sala esclamava
”Chiangiti lu carnevale è muertu”.
Il primo sabato e domenica di Quaresima “Ncete le pignata”.
Gli stessi componenti del festino, ormai libero da vincoli di ospitalità per le maschere ,si trovavano tra giochi e balli a vivere il clima carnevalesco attorno
”A na pignata”.
La “Pignata” era un recipiente di creta,per l’occasione contenente ceci, biscotti,cioccolatini nonchè per la sorpresa degli invitati ,qualche volatile o coniglio, unitamente a coriandoli e stelle filanti.
La pignata veniva preparata dalle dame per i cavalieri ed un’altra dai cavalieri
per le dame;. I candidati si avvicendavano alla “rottura” bendati e muniti di un bastone;essi dovevano individuare la collocazione della pignata guidata dall’intensità della musica e, con un colpo dall’alto verso il basso, rompere la stessa. Mia moglie Pina Sorrenti”La Canosina” , deceduta improvvisamente nel 2009 a soli 57 anni , mi raccontava che anche nella zona di Canosa i genitori organizzavano questo tipo di feste per creare occasioni di matrimonio per le loro figlie. Gli uomini non potevano sedere vicino alle donne. Era compito del capo sala, tenuto a far rispettare le regole, decidere quali e quanti cavalieri potevano invitare le donne al ballo. Aveva il potere di allontanare dal festino chi non avesse un comportamento consono.
Oggi i tempi sono cambiati e anche a Novoli con il C.N.G.E.I nella “Casa del fanciullo) per le strade il carnevale si festeggia con le sfilate di carri allegorici.
Proverbio Novolese
Li uai te la pignata li sape la cucchiara ca li ota
I guai della pentola li conosce il cucchiaio che li gira
Autore Ersilio Teifreto Novolese D.O.C.G classe 47 – già le mennule ricce, li cacai e li cannillini